Cultura Cinema
Sacha Baron Cohen nei panni (serissimi) di una spia del Mossad a Damasco

L’attore interpreta il mitico Eli Cohen nella nuova serie di Netflix

Hannah Brown, che per conto del Jerusalem Post ha avuto il privilegio di guardarla in anticipo, assicura: “Passati i primi minuti, non ho pensato a Borat nemmeno una volta”. A quanto pare dunque, la serie Netflix “The Spy” – che esce proprio oggi – non solo porta sullo schermo l’incredibile storia della spia israeliana Eli Cohen, ma rivela anche il talento drammatico dell’attore Sacha Baron Cohen. Un Cohen nei panni di un altro Cohen. Con ottimi risultati: “Allampanato, ambizioso, spesso sbigottito dalla sua stessa audacia, il comico Cohen fa della spia Cohen un personaggio avvincente, senza ammiccamenti e fronzoli”.

A guardare bene d’altronde, un’affinità tra i due Cohen esiste: l’eccentricità. Eli Cohen è stato un personaggio sopra le righe, una leggenda, una di quelle storie che danno soddisfazione perché rientra nei canoni esatti dei film di spionaggio: avventura, rischio, tradimento.

Eliyahu Ben Shaul Cohen nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1926, da una famiglia originaria di Aleppo, di valori profondamente sionisti, posizione che col passare del tempo renderà la vita sempre più difficile. Mentre i genitori e i tre fratelli emigrano in Israele nel 1949, Cohen rimane in Egitto fino al 1956, quando viene espulso per sospetto coinvolgimento nell’operazione Soshanah: un’operazione “false flag” mirata al sabotaggio delle relazioni tra l’Egitto da una parte gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dall’altra, pensata dalla polizia segreta israeliana con il coinvolgimento sul posto di ebrei egiziani, che per la sua spregiudicatezza mette in imbarazzo lo stesso governo israeliano, tanto che il Ministro della Difesa Pinhas Lavon, quando emerge tutta la faccenda, si dimette.

Eli Cohen arriva a Haifa – con una nave che passa da Napoli – presta servizio nell’IDF (reparto intelligence) e dopo averlo terminato chiede di entrare nel Mossad. Rifiuto. Cohen, deluso e offeso, cambia vita. Trova lavoro come impiegato in una compagnia di assicurazioni a Tel Aviv e sposa l’irachena Nadia Majald (sorella del noto scrittore Sami Michael); tre figli, un’esistenza tranquilla a Bat Yam. Ma non passa molto tempo che il capo del Mossad, Meir Amit, decide che serve un agente speciale che si infiltri nel governo siriano. Non soddisfatto dei candidati, si mette a esaminare i vecchi fascicoli delle aspiranti spie scartate: Eli Cohen attira la sua attenzione. Un ebreo che di arabo ha tutto, tranne il nome. E una storia che deve essere coerente con quel nome. Ma a questo si può rimediare.

È il febbraio 1962 quando un elegante uomo d’affari atterra a Damasco: si chiama Kamel Amin Thaabet e sta facendo ritorno al suo paese, dopo aver vissuto a lungo in Argentina. “A lungo”, in verità equivale a un anno: quanto è bastato a Eli per diventare Kamel, a un ebreo egiziano – di cittadinanza israeliana e origini siriane – per diventare un musulmano siriano espatriato a Buenos Aires.

La “carriera” di Eli-Kamel in Siria è fulminante: fa amicizia con capi militari, diplomatici, politici. Pare anche che Amin al-Hafiz, quando diventa Presidente nel 1963, consideri seriamente di affidargli il Ministero della Difesa. In pubblico Kamel Amin Thaabet, in segreto Eli Cohen, l’agente del Mossad. Che trasmette continuamente informazioni a Israele. Posizioni, segreti politici e militari, aggiornamenti. Per quanto riguarda il fronte siriano, la vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni deve moltissimo alle informazioni trasmesse da Eli Cohen negli anni precedenti.

Ma troppo successo dà l’illusione di impunità. Gennaio 1965: i siriani, che tutti stupidi non sono, decidono di vederci chiaro con queste strane interferenze radio che ogni tanto vengono intercettate. Assistiti da esperti sovietici, ordinano il silenzio radio per alcune ore. Così è più facile capire chi lo viola. Subito dopo, le forze di sicurezza siriane fanno irruzione a colpo sicuro nell’appartamento di Cohen e lo colgono sul fatto: lui, tranquillo e fiducioso, non si era nemmeno premurato di usare un nascondiglio per comunicare con Israele; pare anche che – per incoscienza o per troppa sorpresa – invece di spegnere immediatamente abbia continuato la conversazione per ancora qualche secondo dopo l’irruzione.

Eli Cohen viene arrestato e processato: a nulla valgono gli appelli internazionali. Il 18 maggio 1965, Piazza Marjeh, nel centro di Damasco, è gremita di gente venuta ad assistere all’impiccagione della spia del Mossad. L’ultimo desiderio del condannato? Vedere un rabbino. Richiesta accettata. E la visita del rabbino in prigione sembra sia proprio la scena che apre la serie. La fiction sarà all’altezza della storia reale? Il Cohen attore saprà farci rivivere il mito del Cohen spia?


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