Cultura
“Scolpire il tempo”, memorie di Jacqueline Schulhof Blum

Una storia a cura di Annalisa Comes

La curatrice Annalisa Comes lo dichiara subito, nelle prime righe della sua introduzione: “Non pensavo a un semplice libro di testimonianza: ci sono molti buchi nella memoria, fatti difficili da ricostruire, avvenimenti il cui ricordo è ancora doloroso. Non avevo nessuna intenzione di forzare quella memoria, per pudore, per rispetto e per il grande affetto che mi lega a Jacqueline. Avevo in mente un libro dove si sartebbero potute mescolare le nostre voci”. E così il racconto comincia a fluire, “Anche i frammenti di una memoria dolorosa arrivano alla superficie con naturalezza, una pacatezza e un’eleganza che non li snatura, ma li distilla, rendendoli puri, trapsarenti e brillanti come diamanti. Ogni parola si può raccogliere nella mano come pietra preziosa”.

Così comincia il racconto in prima persona, quasi sempre scritto al tempo presente, dell’infanzia e dell’adolescenza di Jacqueline Schulhof, francese di nascita, internata a 17 anni nei campi di Poitiers, Drancy e Pithiviers, perde l’intera famiglia ad Auschwitz. La sua storia diventa quella della comunità ebraica della cittadina che l’ha vista nascere, Amiens, occupata dai nazisti. Dopo la guerra Jacqueline raggiunge Roma dove studia disegno e  scultura all’Accademia delle Belle Arti, raggiunge gli Stati Uniti per poi tornare in Francia. La scultura è il suo luogo espressivo e l’autrice e curatrice del volume, Annalisa Comes, la descrive come una “nebulosa chiarità di luce” proprio come le sue opere d’arte. E quella eleganza, dichiarata nelle righe su riportate, interviene in ogni gesto, nel suo incedere e nel suo rabbuiarsi, come a comunicare di sé al mondo intero.

Qui la storia è quella dolorosa della guerra, dei lutti e della paura. Dell’assimiliazione, anche, di un sentirsi parte integrante della società francese, soprattutto per parte di padre, convinto che in quanto ex combattente e francese, sarà al riparo, lui e la famiglia, da ogni rischio. “È stato l’ottimismo a perderci”, racconta Schulhof, “Ho scritto una lettera ai miei figli da leggere dopo la mia morte, in questa lettera la mia raccmandazione è di non cedere all’ottimismo se dovessero arrivare tempi bui. L’ottimismo non ci ha fatto vedere la catastrofe…”.

Jacqueline viene liberata insieme al fratellino Pierre grazie all’intervento del padre dal campo di Pithiviers per ricongiungersi alla famiglia, ma il 4 gennaio del 1944, alle sei del mattino, irrompono i tedeschi nella sua vita. Lei e i fratelli scappano dalla finestra, mentre i genitori vengono portati ad Auschwitz da cui non faranno mai ritorno.

Poi. Poi c’è il dopo. Jacqueline incontra Pierre Cahen, che diventerà suo marito nel 1948. La vita continua, anzi, prende un nuovo corso, fatto dell’arrivo dei figli Michel e Nicole, ma presto il marito si ammala e muore. Jacqueline si risposerà nel 1955: “Nel 1956 nasce Jean-Gilles e nel 1959 Frédéric. Oggi sono nonna di nove nipoti e bisnonna di dodici bisnipoti”, racconta. Un nuovo corso. La famiglia si trasferisce a Roma nel 1964 dove “la vita scorre piacevole e leggera”. Sarà proprio nella città italiana dove Jacqueline riprenderà il disegno, per iscriversi, nel 1971, all’Accademia per riprendere dopo quasi 30 anni i suoi studi, proseguiti poi a New York, dove si trasferisce nel 1974, finché nel 1975, nel sud della Francia si cimenta per la prima volta nella scultura. Il suo territorio. Il suo strumento. La prima portata a compimento e poi vincitrice del Grand Prix di Roma per la scultura è in pietra, ma a conquistarla sarà il marmo di Carrara. “Non è facile spiegare quello che sentivo di fronte alla pietra, il mio mettermi in ascolto. è la pietra che mi indirizza, la materia, la su grana, le venature, i difetti, le crepe. […] Nella mia vita non sono mai riuscita a separarmi dalle mie sculture… Le ho regalate ai miei figli, a persone care, ma non sono mai stata capace di venderle a estranei”.

E la memoria? “Non era facile e non è facile trovare le parole, ricordare, cercare di comprendere, dimenticare… Volevo che i miei figli sapessero, ma non avevo l’intenzione di dare troppi dettaglia, non vilevo rattristarli con l’orrore che abbiamo vissuto”, spiega la scultrie, “Ho parlato coni miei figli solo quando sono diventati grandi e ho messo per iscritto tutte le vicende nel 1988 per i miei famigliari. Nel maggio 2021 si trova in Corsica, all’inizio della primavera. Sulla terrazza, da sola, un uccellino si posa su un ramo vicino a lei e sembra guardarla con aria interrogativa. “Mi viene in mente la canzone di Juliette Gréco Un petit poisson, un petit oiseau, un pesce e un uccellino che si amano ma che non possono incontrarsi. […] Allora mi sono ricordat di quella fotografia degli anni 30 dove custodisco fra le mani un uccellino e sono emozionata, felice e impaurita allo stesso tempo. Forse la memoria è proprio come quell’uccellino fragile e tuttavia ben saldo sui rami”.

Quella fotografia, di una giovanissima Jacqueline che protegge l’uccellino nella sua mano, è ora sulla copertina di questo libro. Delicato quanto il suo lavoro artistico, fatto prevalentemente di figure femminili silenziosamente imprigionate nella materia, spesso in cerca di protezione, ma anche a comporre figure archetipiche, capaci però, come sottolinea Comes, di “sollevarsi da terra con tutto il loro peso. Come a dire di un’umanità che possiede in sé, nelle sue profondità umane e terrene, tutto lo splendore e la possibilità visibile dell’invisibile”.

Jacqueline Schulhof Blum, Scolpire il tempo. Memorie di una vita, a cura di Annalisa Comes, Castelvecchi, pp. 108, 13,50 ero

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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