Notizie da un mondo europeista, attivo e anti-populista
L’Italia è ubriaca. O almeno, così pare. Perfino all’indomani delle elezioni del 4 marzo, sia detto francamente, ben pochi avrebbero potuto immaginare che la maggioranza nata da quel voto-laboratorio avrebbe sconfinato, e così rapidamente, in una deriva tanto esplosiva. E invece, nel giro di pochi mesi, molti e troppi argini sono già stati sfondati: lo sdoganamento della cattiveria contro il diverso dalle sembianze del migrante (chi il prossimo?), l’attacco frontale alle istituzioni indipendenti (Inps, Consob, stampa, magistratura…), la presa della Rai, infine lo scontro totale con l’Ue e le altre organizzazioni sovranazionali. Il perfetto manuale del “perforamento democratico”.
Come è possibile? Semplice. Dopo averlo rincorso, preparato, costruito con – non c’è che dire – certosino lavorio, Salvini-Di Maio e le loro claques sono ebbri di potere. E così – per lo meno stando ai sondaggi – alla rabbiosa ubriacatura da onnipotenza populista si associa volentieri buona parte degli italiani.
L’atterrimento collettivo
Eppure, ciò di cui più in questa fase i timorati del populismo dovrebbero preoccuparsi è un altro rischio: quello della resa incondizionata. A leggere i titoli dei giornali, a guardare i tg, ad ascoltare molte conversazioni private, sembra essere scattata la sindrome da assedio. Una specie di terrore diffuso per i danni irreparabili che il nuovo corso potrà portare all’Italia, e forse all’Europa intera. Le preoccupazioni, sia chiaro, sono del tutto fondate. Il punto è un altro. Ed è che anche l’atterrimento collettivo – i terroristi lo sanno bene – è una forma di annebbiamento dei sensi, delle coscienze. Presi dal terrore, rischiamo di perdere la bussola rispetto all’unica azione sensata che chiunque sia seriamente preoccupato della deriva in atto dovrebbe intraprendere: lavorare per costruire visioni alternative in grado di contendere il consenso all’ideologia sovranista. Sembra impossibile, ma non lo è.
La buona notizia è che non tutti si lasciano andare allo “sconfittismo”. Nel deserto di idee lasciato dallo tsunami populista, un po’ dappertutto in Europa, iniziano a germogliare altri semi: di rivincita, di rielaborazione di ideali e parole d’ordine, di definizione di nuovi orizzonti politici. La battaglia delle Europee del prossimo maggio, d’altra parte, sarà con tutta evidenza di portata storica, e tanti, in modi e forme diverse, hanno cominciato ad attrezzarsi. Vale la pena tenere d’occhio almeno alcuni tra i segnali più interessanti emersi nelle ultime settimane.
Le nuove forze europeiste
Con i partiti socialdemocratici ovunque – Regno Unito a parte – sulla difensiva, le nuove forze progressiste potrebbero nascere dal basso, e al di fuori dai partiti tradizionali. È quello su cui scommettono, ad esempio, i promotori di Volt, movimento pan-europeo consolidatosi nell’ultimo anno che punta a presentarsi alle prossime elezioni in tutti i Paesi dell’Ue. Struttura agile, team di lavoro transnazionali e schiere di attivisti under 30, il movimento punta a unire attorno a una piattaforma fortemente europeista d’ispirazione liberal quella “generazione-Erasmus” dimenticata dalla politica, e se possibile non solo. Guidati da un italiano, Andrea Venzon, i 15mila membri attivi di Volt si accingono a definire programma elettorale e cariche formali in vista del voto di maggio nell’assemblea di Amsterdam di fine ottobre. Nel frattempo, l’operazione-radicamento necessaria per “parlare” agli elettori del continente è andata in porto, con antenne nazionali e locali del movimento in 32 Paesi.
Di “salvare l’Europa” si propone anche, in modo ben diverso, un’altra rete pan-europea e transnazionale nata ben prima di quella che Salvini e Le Pen si accingono ora a costruire in salsa sovranista: Diem25. Ispirato da Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze greco protagonista della stagione più elettrica dello scontro con la trojka internazionale, il movimento è stato lanciato due anni fa ed è ora nella fase cruciale di “strutturazione” nei principali Paesi europei. Obiettivo: “rifare” l’Ue, riformandola in profondità, per sopperire alle sue evidenti mancanze. A cominciare dal famoso deficit democratico, che tanto ha contribuito nell’ultimo scorcio di Storia ad allontanare da essa le opinioni pubbliche. La soluzione, per i promotori di Diem25, non sta nello smontare le istituzioni sin qui costruite, ma nell’aprirle radicalmente, garantendone massima trasparenza decisionale e riorientandone decisamente la missione verso l’obiettivo di risanare gli squilibri sociali ed economici prodotti dalla crisi.
Accanto ad iniziative del tutto nuove e prettamente transnazionali come queste, qualche idea costruttiva per rispondere con i fatti – anziché con accuse e rimorsi – al delirio populista potrebbe farsi largo anche tra le macerie del centrosinistra “tradizionale”. Ne è riprova, per restare in Italia, il dibattito nato sulle colonne dell’Espresso da un appello lanciato da un gruppo di artisti e docenti – tra i quali Massimo Cacciari – per una completa rifondazione del credo progressista europeo. O ancora l’attivismo di tante associazioni slegate dai partiti, che fiutato il clima tornano a far da sé, per lo meno per far sentire la propria voce “diversa”: dalla rediviva Anpi ai circoli cattolici vicini alla comunità di S. Egidio, sino alle tante reti anti-razziste.
Che la disfida dei prossimi mesi sia davvero epocale, lo testimonia infine lo “scomodamento” di peso di un grande punto di riferimento per l’establishment di tutto il mondo – per le meno sul piano delle idee: l’Economist. In coincidenza col 175esimo anniversario della sua fondazione, il settimanale britannico ha colto l’occasione per lanciare un grande manifesto per il rinnovamento del liberalismo, in cui ha lanciato sì l’allarme per l’ascesa delle forze populiste, ma si è anche prodigato in un radicale esercizio di autocritica per gli errori a catena commessi dalle élites politico-finanziarie. Dopo il collasso del “grande nemico” sovietico, riconosce l’Economist, queste hanno perso completamente di vista gli interessi ultimi dei cittadini che dovrebbero servire, rinchiusi a protezione di uno status quo che sta per essere sgretolato da un terremoto. Per evitare che ciò accada, esse dovrebbero riscoprire la natura profondamente radicale e “movimentista” del pensiero liberale, nato con l’obiettivo di dare l’opportunità a tutti di avanzare nella società, e di combattere i privilegi. Se necessario, arrivando perfino a svuotare l’arsenale dialettico dei nuovi sovranisti, sfilando loro il marchio del nazionalismo, da riempire del senso di un “orgoglio civile inclusivo”.
Idee, visioni, sfide agli assunti precostituiti su cui si può essere più o meno d’accordo. Ma che dimostrano come il dibattito attorno a un’altra ri-costruzione dell’Europa è tutt’altro che insignificante. Promette, al contrario, di fornire gli strumenti giusti per battere la deriva populista. Anche all’epoca del digitale. Cogito, ergo sum.
Politologo di formazione, giornalista di professione, si occupa in particolare di politica italiana ed europea. Già impegnato nel lancio del festival Biennale Democrazia a Torino e del think-tank ThinkYoung a Bruxelles, lavora per Reset e Good Morning Italia e collabora con altre testate nazionali.