Cultura Cibo
Tel Aviv, Vegan City: intervista a Nadia Ellis

Joimag ha incontrato la chef che rappresenta l’Italia al “Vegan Fest”, il più grande evento vegano al mondo

Tel Aviv è ormai conosciuta da anni come la “città che non dorme mai” o White City. Ma anche Vegan City. Si tratta infatti della città con la più alta percentuale al mondo di vegani, e ristoranti vegani e/o vegan friendly. Ce ne sono tantissimi e di tutti i gusti, dai fast food,a base di hamburger e fish and chips vegani, alle varie cucine mondiali: dal thai al sushi, dall’indiano al messicano.

Senza contare che alcuni piatti tipicamente israeliani, a partire dall’hummus, sono vegani. La lista di prodotti e piatti israeliani è infinita, ma ancora più interessante è vedere come gli israeliani siano riusciti ad adattare le tante cucine tradizionali dei Paesi della diaspora, proponendo varianti vegane. C’è persino una chef italiana vegana, Nadia Ellis, che ha fatto sognare il pubblico israeliano – vegano e non – portandolo in giro per i migliori ristoranti italiani, nel programma “The Vegan Italian Chef”, andato in onda lo scorso 2020 sul canale israeliano Food Channel.

In questi giorni (7-8-9 Giugno, presso il Sarona Market) Nadia rappresenta l’Italia nel corso di “Vegan Fest”, il più grande festival vegano al mondo che, ovviamente, non poteva che tenersi a Tel Aviv. In occasione di questo evento, parallelo alla settimana del Gay Pride, l’abbiamo intervistata per farci spiegare meglio il rapporto tra Israele, ebraismo e cultura vegana.

Perche è proprio Tel Aviv la capitale globale del vegan food?

Tel Aviv è una città giovane e fatta di giovani, quindi, da sempre, attenta alle nuove tendenze e aperta di mentalità. Basti pensare, non a caso, alla grande comunità e cultura LGBQT+. Ma uno dei segreti del successo della Città Bianca nel promuovere la cultura vegana è stato sicuramente  il ruolo investito da “Vegan friendly” – principale organizzatore e promotore del Festival – una delle associazioni vegane di più grande successo, su scala internazionale, nell’incentivare ristoranti e punti commerciali, non necessariamente vegani, ad allargare il proprio menù e la propria gamma di prodotti in modo da andare incontro ad una società sempre più attenta alle proprie scelte alimentari e anche al mondo animale, che a Tel Aviv si nota a vista d’occhio, anche soltanto guardando il numero di cani che vanno a passeggio.

Non sorprende che tu sia diventata vegana proprio qui

Certamente. Nonostante il mio amore per gli animali, fino a otto anni fa non mi ero mai posta neanche il dubbio. Poi, proprio mentre stavo finendo di scrivere il mio dottorato in Analisi del Discorso presso l’Università di Tel Aviv, stimolata dal contesto vegan della città mi sono imbattuta in una serie di filmati legati all’industria alimentare animale. Pur non avendo nulla a che vedere con il tema della mia ricerca, l’approccio metodologico con cui stavo affrontando il mio dottorato, basato sulla decostruzione del discorso dominante, mi ha portato a dedicare quattro mesi di ricerca per capire meglio il meccanismo di un’industria alimentare fallimentare, del tutto irrispettosa non solo nei confronti degli animali ma anche del pianeta in cui viviamo. Una volta presa coscienza, diventare vegana è stata per me una decisione ovvia e irreversibile.

Da accademica, come è cominciata la tua parallela carriera da Chef?

Una volta fatta questa scelta, ho fatto di necessità virtù. Da italiana all’estero ho sempre amato cucinare italiano, soprattutto i piatti della mia infanzia, così ho cominciato a indagare le origini vegane di alcuni piatti tipicamente italiani, o a scovarne la versione vegana, soprattutto oggi che si possono trovare tutta una serie di prodotti vegani, incluso il parmigianoQuesta è stata la prima di una serie di tappe che mi hanno portato a cucinare per piattaforme internazionali come Eatwith, partecipare a festival come quello della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, fino alla registrazione di programmi televisivi. Proprio in questi giorni stiamo girando le riprese per una nuova serie: “The Vegan Version”.

Le tue origini sono italiane ma anche ebraiche, come si coniugano ebraismo e veganismo?

Persino nel Talmud c’è un capitolo dedicato al Tsaar Baalei Haim: “il divieto di fare del male agli animali״. Il legame tra veganesimo e religione ebraica esiste dai tempi del giardino dell’Eden e del diluvio universale. L’umanità nasce vegana, cosi come il popolo ebraico. Mangiare gli animali è qualcosa che gli viene concesso, sempre nel rispetto della kasherut, che propende per un uso coscienzioso e limitato degli animali. Dai tempi di Rav Kook a oggi, con Rav Assa Keisar, sono molti i vegani influencer appartenenti alla comunità ebraica, sia laica che osservante, persino all’interno del movimento ortodosso.

Oltre alla cucina italiana, in questi anni hai dedicato il tuo interesse anche alla cucina ebraica vegana?

Soprattutto durante le feste. Dal Rosh ha Shana al Seder di Pesach, ho ormai elaborato dei menù rigorosamente vegani che includono dalle uova sode al Gefilte Fish, tutti rigorosamente cruel free. Senza svelarvi tutti gli ingredienti, posso garantirvi che, oltre alla consistenza, persino il sapore di pesce non manca, grazie al fantastico supporto delle alghe. Si tratta di solo uno dei tanti, ma essenziali, ingredienti di questa cucina che non finisce mai di sorprendere.

 

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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