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Kasher, biologico, Vegan… E se si trattasse solo di marchi commerciali?

Filosofia della Kashrut ai tempi dell’ossessione (consumistica?) della dieta perfetta

Perché è importante mangiare Kasher? E perché oggi gli alimenti con questo marchio sono ritenuti “più sani” di altri? Che rapporto c’è tra le norme alimentari ebraiche e il mantenimento della buona salute? E ancora, in un momento storico in cui la questione del benessere personale comincia proprio a tavola, dove si colloca la Kashrut? Ne abbiamo parlato con Rav Haim Fabrizio Cipriani, che precisa subito: “La Kashrut ha costituito nella storia ebraica un efficace mezzo di separazione fra Ebrei e Gentili. La modernità ha offerto ai primi come ai secondi la possibilità di vivere in un mondo più aperto, in cui le energie e le culture possono conoscersi e confrontarsi, con enorme vantaggio per tutti. Se da un lato l’ebreo moderno deve tenere presente il rischio reale di assimilazione, dall’altro è importante cercare un cammino equilibrato. Conservare questo codice comportamentale che rafforza l’identità, evitando estremismi che esprimano un rifiuto di integrazione e mostrino una visione ostile del mondo non ebraico, è senza dubbio difficile. In ogni caso, la scelta di mangiare Kasher oggi non potrebbe che essere libera, perché la vita ebraica stessa costituisce oggigiorno, in un mondo libero ed aperto, una scelta”. Queste le premesse al pensiero di Rav Cipriani, raccolto nel testo che segue.

La questione del rapporto fra Kashrut e salute è molto antica. Già nel Medioevo M. Maimonide [XIII sec.], che era medico oltre che rabbino, reputava che in origine le regole alimentari fossero radicate in principi di tipo salutistico e igienico. I. Abravanel [V sec.] invece pensava che leggere queste prescrizioni in tal senso significasse ridurre la Torà a un piccolo manuale medico. Senza contare che, come Abravanel fa notare, questo implicherebbe che i non ebrei, i quali consumano tutti i cibi proibiti, dovrebbero avere un livello di salute decisamente inferiore, cosa che già all’epoca appariva evidentemente falsa.

Anche in epoche più moderne, con una maggiore conoscenza del funzionamento del corpo umano, si è tentato di leggere le norme alimentari in questo senso. Alcuni hanno fatto notare che la combinazione fra latticini e altri alimenti potrebbe creare difficoltà all’organismo perché il nostro stomaco digerisce le diverse tipologie di alimenti con ritmi propri; nel caso di carne e latte, che la Torà proibisce di consumare congiuntamente, si tratta di cibi molto proteinici che potrebbero dare un apporto nutritivo squilibrato. Ma io ritengo, con Abravanel, che questo non sia il punto. Nella mia visione l’idea fondamentale della Kashrut è quella del limite, ossia del fatto di permettere una soddisfazione degli appetiti degli essere umani, ma solo attraverso prudenza, analisi, e mediazione fra le pulsioni e gli atti che vanno a soddisfarle. Quando si parla di Kashrut ci si riferisce quindi a una pedagogia, il cui fine è quello di canalizzare le pulsioni dell’individuo. In tal senso è importante ricordare che la Kashrut non solo è un’insieme di norme. Essa nasce dalla necessità di avere un rapporto equilibrato ed etico con l’appetito, e in senso più generale con ogni tipo di appetito.

Oggi la salute alimentare occupa un posto di rilievo, e questo ha generato diverse ortoressie alimentari (cioè modalità di alimentazione considerate “corrette”): quella del “senza” (senza zucchero, uova, latte…), quella vegana, quella rigorosamente biologica, ecc. Analogamente alla Kashrut, questi sistemi pongono il problema della necessità di mangiare responsabilmente, e in tal senso da un punto di vista ebraico essi non possono che essere visti positivamente, sottolineando anche l’importanza di un rapporto di rispetto nei riguardi della natura e degli animali. Una posizione particolare è quella della dieta vegetariana e vegana, che in alcuni ambienti ebraici è osteggiata perché tradizionalmente viene considerato importante consumare carne nei momenti di festa. Ma si tratta di una concezione legata ad epoche di povertà in cui la carne era segno di ricchezza, e varie fonti rabbiniche ritengono che il vino possa svolgere la stessa funzione.

Nel contesto attuale di ricerca e riflessione sull’alimentazione, la Kashrut riveste senza dubbio un ruolo importante perché costituisce una presa di coscienza alimentare, che richiede riflessione e quindi lentezza. Non a caso, prevede di recitare le benedizioni prima di consumare qualsiasi cibo. Queste benedizioni non sono standard, ma evocano l’origine dei vari generi alimentari (frutti della terra, dell’albero, ecc…), obbligandoci a mantenere un legame con questa e il modo con cui i vari alimenti sono giunti a noi.

Senza questa visione etica, la Kashrut, come altre ortoressie, rischiano di essere alimentate da logiche strettamente commerciali e di mercato. Il marchio Kasher tende a imporsi anche tra i non ebrei come garanzia di qualità, insieme a quello biologico. Molti ritengono che sia una garanzia di qualità e sicurezza, di conseguenza che i prodotti a marchio Kasher facciano meglio di altri. In una certa misura, è vero: i cibi Casher sono sottoposti a rigide regole in base alle quali vengono prodotti e a ispezioni e controlli approfonditi per essere certificati. Ma in realtà spesso i prodotti Kasher sono ricchi di additivi chimici, usati per sostituirne altri considerati potenzialmente problematici. Anche nei confronti della carne Kasher vi è spesso una presunzione di maggiore qualità. In realtà gli animali macellati sono gli stessi, allevati nello stesso modo degli altri, ed è solo il metodo di macellazione a cambiare. A mio avviso, per ora non si è riusciti a combinare l’idea di Kashrut con una visione più olistica della cura dell’ambiente e delle persone. Io cerco e sogno da tempo di realizzare un progetto in tal senso.

 

Haim Fabrizio Cipriani
Rabbino presso la Comunità Etz Haim

Haim Fabrizio Ciprianiè rabbino e musicista.

Svolge il ministero rabbinico in Italia presso la comunità da lui fondata Etz Haim, unica comunità ebraica italiana associata al movimento Massorti/Conservative, e in Francia presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier. È autore di diversi saggi a tema ebraico editi da Giuntina e Messaggero.

In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche.


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