Cultura
Quando in Israele si parla di Italia

Tre (belle) storie apparse di recente sui media dello Stato ebraico

I media israeliani si occupano mai di Italia e se sì, cosa scrivono? Nell’ultima settimana abbiamo scovato tre brevi ma interessanti articoli: due storie di cultura ebraica italiana e una storia israeliana dal “gusto” italiano. Ve li presentiamo qui sotto: buffo imparare nuove cose sul nostro Paese dalla stampa estera…

Nuova scoperta al mikveh di Ortigia

“Iscrizione in ebraico scoperta in un bagno rituale antico della Sicilia”, titola un articolo del 19 giugno firmato per il Jerusalem Post da Rossella Tercatin. Il bagno rituale in questione è l’antico mikveh dell’isola di Ortigia, che oggigiorno è situato quattordici metri sotto la chiesa di S. Filippo Apostolo. La scoperta riguarda il ritrovamento di un’iscrizione sulle pareti della vasca ed è stata annunciata da Yonatan Adler, professore di archeologia presso l’Università di Ariel, durante una conferenza promossa dall’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio e dal Comune di Siracusa. L’iscrizione, composta da sei lettere in ebraico, indica probabilmente il cognome di un’importante famiglia di ebrei siciliani, Hefetz (“desiderio”) che darebbe origine all’italiano Bonavoglia. “La scoperta fornisce la prova evidente che la struttura sotto la chiesa fu costruita con la funzione di bagno rituale ebraico prima dell’espulsione degli ebrei dalla Sicilia nel 1492”, ha dichiarato il professor Adler.

 

Falafel sospeso, la rivoluzione che viene da sud

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Il sud di Israele: per molti israeliani, messo da parte il fascino paesaggistico, è un luogo depresso popolato solo di cammelli, beduini e bombe da Gaza. Ma proprio dal Kibbutz Holit (in mezzo al deserto, tre chilometri dalla Striscia) arriva una piccola grande rivoluzione sociale. “Porzione sospesa: l’idea geniale che dall’Italia arriva nei ristoranti israeliani”, scrive con entusiasmo la redazione di Mako nella sezione “Buone notizie”. Tutto è partito da cinque ragazzi del kibbutz che hanno preparato la “tesina” finale della loro mekhinah (l’anno preparatorio all’università) sul tema della povertà e della solidarietà sociale; hanno poi continuato a lavorare sul progetto, lanciando un’iniziativa ispirata alla tradizione napoletana del caffè sospeso. “Una magnifica tradizione che ora fa aliyah”, leggiamo nell’articolo del 17 giugno, “ma con l’aggiunta di un tocco israeliano”.

I ragazzi hanno infatti pensato di “importare” l’abitudine del caffè sospeso allargandola al cibo: “Molti cittadini israeliani vivono sotto o appena al limite della soglia di povertà e non sempre possono permettersi un pasto caldo, sono costretti a mangiare cibo di bassa qualità”, scrivono sulla pagina Facebook da loro creata per sensibilizzare il pubblico. Per ora, sono quindici gli esercizi che tra Beer Sheva e Sderot ad aver aderito all’iniziativa: bar ma anche pizzerie, hummusiot e falafeliot (ristoranti “informali” dove servono prevalenetemente hummus e falafel). L’app israeliana easy.co.il (איזי) ha inserito nella sua mappa i posti dove è possibile ordinare una “porzione sospesa”. Che in ebraico è un simpaticissimo gioco di parole: manah behamtanah, letteralmente “porzione in attesa”. Vi risuona dentro la parola matanah, regalo.

 

Quella strana usanza degli ebrei italiani di sposarsi il giorno prima di Pesach

Un articolo di Kobi Nachshoni su Ynet del 22 giugno racconta di una scoperta fatta per caso dal Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni: consultando l’archivio della Comunità Ebraica di Roma, è emersa una ketubah (l’accordo nuziale) finemente decorata, originaria di Firenze, vecchia di 317 anni. Nulla di strano, a parte la data: il giorno prima di Pesach. Sposarsi proprio quando ci sono le pulizie, la preparazione del Seder e tutte le tipiche incombenze di Pesach, chi sarebbe mai tanto folle?

Eppure, la celebrazione di una cerimonia collettiva per numerose coppie, seguita da un grande banchetto, nella data precedente gli otto giorni di Pesach era un costume radicato tra gli ebrei di Roma, Firenze e Urbino. “Sono rimasto davvero sorpreso, ma a quanto pare questa abitudine si diffuse perché quella è l’ultima notte prima del conto dell’Omer (periodo durante il quale non ci si sposa) e siccome le persone erano povere, volevano usare tutta la farina prima di Pesach”, ha spiegato Di Segni.

 

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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