Voci Ebreo Non Ebraico
“L’Ubbidiente Segrè”, stralcio da uno dei mille incompiuti dell’Ebreo Non Ebraico

Questa volta l’ENE racconta Segré, personaggio che si svela generosamente nel suo essere, appunto, ebreo non ebraico

Quando non dorme, l’ENE scrive.

Lo fa senza penna o tasti, perlopiù: scrive quando legge, scrive quando ascolta musica, scrive quando guarda il volto o il corpo di una o più persone, o di più quadri.

Lo so, può sembrar strano, ed è difficile da spiegare perfino per me, che lo conosco bene, ma è vero.
E ho mentito: l’ENE scrive sempre, anche quando dorme.
In tutte queste occasioni – paradosso dei paradossi – l’ENE scrive benissimo.
Quando invece lo fa con carta e penna, al monitor e sui tasti touch dell’Iphone, beh, mica tanto.

In tempi normali si vergognerebbe di mostrarsi, ma gli ho detto che me l’ha chiesto Micol, la capa redattrice (e anche bubez, temo) di JOI.

Ha accettato di condividere due brani di uno dei suoi millemila romanzi incompiuti, dal titolo “L’ubbidiente Segrè”, il fellone !

Quello, proprio quello che – dice lui – “…è liberamente ispirato a te, Valerio…”.
Una storia ambientata fra la Scozia e Trieste, di una spia andata fuori moda che torna dove ha commesso i suoi peggiori misfatti…

Capite, il diabolico ENE, come ti sa mettere sotto scacco ?

Vabbè, mica potevo impedirglielo – ma sia chiaro: se vi piace è merito mio, se vi schifa prendetevela con lui.

 

 

L’Ubbidiente Segrè

” Non lo so, non lo so. Non dovrei stare a ricordare tutto questo, a raccontare così l’oscuro delle cose. Tutte queste lungaggini. Non dovrei. Vossignoria è di fuori, mio amico ma mio estraneo. Ma, forse, è proprio per questo. Parlare con un estraneo così , che sa ascoltare e ben presto va via lontano, offre un altro vantaggio: è come se io parlassi ancor più con me stesso. Veda un po’: quel che c’è di cattivo, dentro di noi, si è portati a pervertirlo sempre per allontanarlo di più da noi stessi. È forse per questo che si parla tanto ? ”
[ Il Grande Sērtao, Guimares Rosa, Feltrinelli, trad. Edoardo Bizzarri, pag. 35 ]

 

(…)
Una vecchia maestra di pianoforte, leggendaria ai suoi tempi, intervistata a proposito dei grandi pianisti che erano passati fra le sue sgrinfie, alla domanda Cosa conta di più per diventare un grande concertista, rispose che “nel Mestiere, non nuoce suonare bene”.
Ecco, credo di essere così, uno che nell’arte non è straordinario, ma suona bene tutte le partiture. In più, non avevo coraggio fisico, e non mi facevo notare. In quasi quarant’anni di carriera non ho mai sgomitato, e raramente litigato con i miei colleghi e superiori. Quando capitava, però, ero testardo; la mia dialettica fu definita ‘da Talmudista’ per la cavillosità e l’anedottica che esprimeva. Mi fa sorridere ogni volta che ci ripenso: non abbastanza ebreo per gli ebrei, troppo ebreo per i non ebrei. Fosse stato per il ‘mio’ rabbino dei tempi del bar mitzvah, avrei dovuto seguire la sua strada; un papà perplesso, una mamma morta, e un Guido già scettico lo esclusero, ma va a sapere, forse era la mia strada, forse non mi sarei perso.

Domani, primo treno per Trieste, alle 5.26. Voglio esser in centro prima che diventi un normale lunedì mattina, o forse andrò direttamente in cimitero, non so. Adesso, tanto so che non dormirei, scriverò. Come mi viene, come so. Senza paure, senza false speranze: con le mie giaculatorie, e le mie ‘spiritose invenzioni’ – come Lelio nel Bugiardo. E basta anche con le scuse, basta con le parentesi, basta con gli appelli alla comprensione: ‘mi capisco da me’ – come dice Eugenia a Flaminia ne Gli Innamorati. Goldoni, genio. E sono proprio nel posto giusto per citarlo, qua davanti al Campo del Ghetto Nuovo che si sta festeggiando i suoi cinquecento anni.
Quanti anni ho, io ? Viaggio da tre giorni o da un milione di anni? Sono Guido o l’Ebreo Errante? O l’Ebreo Non Ebraico?
Errante o narrante, ebreo sono – e mi sbaglio spesso. La cronaca di questa domenica di passione, addì 20 marzo duemilasedici lo dimostrerà. (…)

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(…) Avete letto quel che Jodorowsky ha scritto, in un libro meraviglioso che in Italia si intitola “Quando Teresa Si Arrabbiò con Dio” , ma che in originale è perfetto in sé e per questo mio viaggio in forma di parole – “Donde mejor canta un pájaro”, che allude all’idea secondo la quale un uccellino canta meglio se è posato sul ramo di un albero genealogico? Quel mago di parole racconta fra l’altro della leggenda secondo la quale, ai tempi del Ghetto Vecchio, il fervore delle preghiere degli ebrei era tale – il venerdì sera per l’entrata dello Shabat – che l’intero Ghetto prendeva il volo e si trasportava: sinagoghe, fedeli e comuni cittadini della Repubblica si ritrovavano a Gerusalemme, fino alla chiusura dello Shabat. Quando uscivano dal Tempio si ritrovavano dove ora guardo io fumando, e riprendevano la vita terrena con le gioie e le insidie di tutti, ebrei o non ebrei. Non è meravigliosa, questa storia, non è poi vero che – se pensiamo intensamente, con dedizione – siamo trasportati, SIAMO altrove ?

Non sono religioso, non credo in dio. Nemmeno io sono un ‘ebreo ebraico’, come ho sentito un bambino spiritosamente chiamare suo padre, mio amico londinese, laico come pochi. Come lui ho un profondo senso del Sacro. Credo – come ancora recentemente ho letto in un libro di Bernard Henry Levy – , che gli ebrei sono al mondo più per studiare e cercare di capire che per credere, o tanto meno per adorare. Le mie radici sono ebraiche, la mia fronda è l’umanesimo; e mi piace ricordarmi di quel tipo speciale di Albero Rovesciato, quello che ha le radici per aria e i rami in terra.

Mangio salumi, e non li chiamo neppure più ‘salmone’. Chi ha bisogno di una barzelletta quando è la barzelletta? Ho letto Maimonide, ho passato mesi su Spinoza, ho cercato di capire Buber, Kafka, Jankelevitch, Levinas, Derrida. Capisco quel che filma Woody Allen, rido per i Marx Brothers, Lenny Bruce e Jerry Lewis. E credo che la salsiccia, quella buona, sia un dono di dio: secondo me se la pappa anche Lui, quando può – tanto nessuno lo ha mai visto…

Battutacce a parte: l’ebraismo è la mia casa. Forse tutti i miei beni e tutti i miei mali sono le pareti, i quadri, le stanze, i mobili e le condutture di questa casa che mi porto addosso ovunque vada. Non è una scusa, sia chiaro. È un fatto. Proprio per questo ho studiato chiunque, indipendentemente dalla sua religione o filosofia: per conoscere, per cercare di capire anche chi non ci capisce. Ma lo ammetto, siamo complessi. Non complicati, ma ormai, le parole… A cosa serve più essere precisi quando sono in pochi a poter capire la differenza? Questo mondo che non è più il mio, e che lo è ancora – voglio essere giovane quando morirò – , è un mondo di semplificazioni. Belle, comode – quando le sai usare – , ma perverse e illusorie se non sai o non puoi, e finisce che sono loro a usare te.

Ma quale complessità volete che mi spaventi, dopo aver compulsato il Talmud, che è una specie di iper-testo anti litteram ? O dopo aver riso come uno scemo, ballato come un rebbe di Vilna, pianto come un marito vedovo, stracciato le vesti come un padre traditore ? La mia G della iniziale, l’ho pensato spesso ma solo ora lo dico ad alta voce, è quella di Giobbe. Che non era il modello di virtù che sembrava, né l’esempio canonico del Giusto punito. No, i Maestri lo hanno spiegato bene. A me ha aperto gli occhi la Giacomina Limentani, ma non è la sola ad aver capito e scritto che Giobbe era il peggiore dei peccatori, perché non sapeva di peccare! Suona familiare, eh?

Ancora questo, poi basta – ché non sono né un Maestro né un buon allievo, ma un ebreo sì, e non ho più paura: siamo tutti ebrei, prima o dopo. Noi cosiddetti ‘Moderni’, poi, che siamo dispersi, offesi, senza patria, in lotta, confusi… Questa è la condizione esistenziale di una gran parte dei cittadini del Pianeta Terra, oggi. Ma siamo anche uniti, coraggiosi, radicati, pacifici, determinati, se lo vogliamo essere, se ci prendiamo il rischio di fallire, di venir presi in giro, umiliati, perfino uccisi. Non dimentico Gerusalemme quando penso e agisco con Atene, New York, Roma, Berlino, Islamabad, Teheran… Amo Tel Aviv nonostante quel che è successo a Libera: che viviate a lungo voi due! Amo Trieste, il Carso e il Mare soprattuto; amo Londra, Pechino, Bruxelles, Tokyo e Pocatello. Amo la gente che non so amare di persona.
E qui metto il punto, che mi faccio ridere da me.
Ma cosa faccio fino alle 5?
Aspetta. C’è il nuovo Nesbø che mi porto dietro intonso da King’s Cross. (…)

Valerio Fiandra
Collaboratore

Valerio Fiandra abita a Trieste ma vive altrove.

Ha sessantotto anni ma non li dimostra.

È Ebreo, ma non ebraico.


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