Cultura
Una presenza dimenticata: gli ebrei italiani di Tunisia

Tre secoli della comunità Grana in Tunisia, tra passato sefardita e lotta per l’italianità

La Tunisia dista 370 km dall’Italia, più o meno la distanza tra Firenze e Milano. Per questa ragione, da sempre, i rapporti tra questi due territori sono stati continui. La Tunisia è stata un luogo di accoglienza per esuli, carbonari, semplici lavoratori e anche per quegli ebrei italiani che, cacciati dalla Spagna a seguito della Reconquista di Isabella la Cattolica, dopo varie peregrinazioni, decisero di metter casa in Africa del Nord.

L’arrivo non fu però immediato. Inizialmente infatti, gli ebrei che sarebbero stati chiamati in Tunisia Grana (o Livornesi o ancora Portoghesi) passarono per il Granducato di Toscana dove, nel 1593, i mercanti ebrei vennero invitati a risiedere dal Granduca Ferdinando I de’ Medici, che aveva deciso di incrementare il commercio del suo dominio creando un nuovo porto a Livorno.

Qui, attraverso un documento chiamato “Livornina”, ebbero una serie di benefici assolutamente innovativi per l’epoca, compresa una libertà religiosa totalmente fuori dal comune. Da Livorno questi commercianti cominciarono a muoversi verso la sponda Sud del Mediterraneo, risiedendo poi stabilmente sia in Algeria che in Tunisia.

In Algeria la loro storia fu collegata alla colonizzazione francese, più precisamente alla vertenza franco-algerina sul debito contratto dalla Francia per comprare il grano magrebino durante il periodo rivoluzionario fra il 1795 e il 1797. La Francia era in debito con i commercianti ebrei di Algeri, i Cohen-Bacri (di origine livornese); questi chiesero al Dey, sovrano locale algerino, che venisse giustamente pagato il loro debito che attendeva da decadi di essere saldato; non solo i francesi non pagarono ma durante un colloquio nel 1827 il console diede una risposta insoddisfacente e scatenò la reazione di Hussein Dey che lo colpì col suo ventaglio. Il console considerò questo gesto come un affronto a lui e alla Francia, uno sgarbo che fu preso come pretesto per l’assedio militare e la successiva conquista di Algeri nel 1830.

Gli ebrei Livornesi cominciarono a risiedere in Tunisia a partire dal XVII secolo, creando nella capitale una nuova comunità ebraica; in Tunisia infatti esisteva già una comunità ebraica locale, i Twansa, presente dai primi secoli dell’era cristiana e sopravvissuta anche all’arrivo degli arabo-musulmani.

Una volta che dal 1700 i Portoghesi si installarono stabilmente a Tunisi, fu evidente la grande differenza tra le due comunità che restarono separate fino al secondo dopoguerra. I Grana avevano un peso economico decisamente superiore rispetto agli ebrei locali, che continuarono a praticare i mestieri di sempre (lavori con le stoffe, la pelle e i metalli preziosi); inoltre, i riti sinagogali (spagnolo e portoghese restarono in uso per secoli) erano diversi e ogni comunità aveva il proprio rabbino, il proprio consiglio di notabili, scuole, sinagoga, macellaio e cimitero. Grana e Twansa differivano anche nel vestire, poiché i primi potevano vestirsi anche con fogge occidentali, e avevano anche un differente trattamento fiscale in quanto i Livornesi avevano vari vantaggi economici poiché europei. Questo contesto attirava ovviamente ebrei verso la comunità portoghese e dunque creava dissidi locali: la situazione venne formalmente risolta nel luglio del 1741 con un accordo secondo il quale gli ebrei provenienti da un paese cristiano sarebbero divenuti parte della comunità livornese, mentre quelli provenienti da un paese musulmano sarebbero diventati membri della comunità tunisina. Comunità locale che restava per la maggior parte povera e ammassata nella hara, il quartiere ebraico all’interno della medina di Tunisi.

A partire dall’Ottocento la comunità Portoghese, pur mantenendo questo nome, divenne di fatto sempre più italiana. A Tunisi si recarono infatti sempre più ebrei che erano italiani per lingua, abitudini e cultura e, per l’accordo del 1741, andarono ad arricchire la comunità Grana che, abbandonata completamente l’eredità spagnola (presente oramai solo nei cognomi) divenne un vero baluardo di italianità; i Livornesi diventarono i primi difensori della causa italiana, arrivando a considerarsi «italiani ancor prima della nascita del regno d’Italia» e furono fra i promotori delle principali istituzioni atte a propagandare l’idea di una comune nazionalità italiana.

Tanti sono gli esempi. Pompeo Sulema, carbonaro rifugiatosi a Tunisi nel 1820 insieme a sua sorella Esther e a Giuseppe Morpurgo, aprì nel 1830 la prima Scuola italiana di Tunisi; Giulio Finzi, anch’egli carbonaro, fondò la prima tipografia (ancora esistente); Giacomo Castelnuovo, personaggio particolarissimo che fu tra l’altro medico del Bey di Tunisi e del Re d’Italia, fu il principale promotore per la creazione di una scuola dell’Alliance Israélite Universelle (atta ad aiutare gli ebrei più poveri a scolarizzarsi). La presenza italiana si distingueva anche in altri campi: nell’Ospedale israelitico creato nel 1893, di tutti i medici che prestavano la loro attività solo uno era francese, mentre gli altri nove erano italiani che avevano studiato nelle università di Roma, Firenze o Torino.

A partire dal 1881, col Trattato del Bardo, la Tunisia divenne un protettorato francese; il Bey, sovrano locale, veniva mantenuto in carica ma il potere e l’influenza francese divennero fondamentali.

Il Paese maghrebino, benché nelle mani dei francesi, aveva una preponderante maggioranza di italiani al suo interno: nell’anno del Trattato del Bardo in Tunisia si trovavano 11.206 italiani, 7.000 maltesi e solo 708 francesi. A inizio ‘900 gli italiani erano circa il 4% degli abitanti del Protettorato, il numero dei francesi supererà quello degli italiani solo nel 1936, quando i transalpini saranno 108.068 mentre gli italiani si fermeranno a 94.289 (anche nel 1931 i francesi erano superiori numericamente ma solo di poche centinaia). Il totale della popolazione ebraica negli anni Trenta era di circa 60.000 unità (corrispondenti al 3-4% del totale); gli ebrei italiani erano poco più di 3.000 (3.208 nel 1941), quasi tutti a Tunisi, poi a Susa (dove ugualmente erano separati dai locali benché non esistessero due comunità formali), qualcuno a Biserta e Sfax.

La comunità portoghese si distinse per un forte legame con l’Italia, tanto che gli ebrei italiani parteciparono anche alla prima guerra mondiale; queste manifestazioni di attaccamento e il ruolo economico importante che gli ebrei italiani continuavano ad avere (essendo di fatto una élite sia tra italiani che all’interno del mondo ebraico) erano assolutamente mal viste dal potere francese.

La relazione con l’Italia si concretizzò negli anni Venti anche con l’iscrizione al partito fascista, che veniva in generale interpretata come una riaffermazione di italianità e di contrapposizione alla Francia. Ma se la parte più anziana si era avvicinata al fascismo, un gruppo di giovani livornesi aderì alle idee comuniste, facendo in seguito diventare Tunisi uno dei centri più attivi dell’antifascismo fuori dall’Italia. È il caso di ricordare Maurizio Valenzi, futuro senatore e sindaco di Napoli, Loris Gallico, docente nelle scuole del PCI, Marco Vais, che sarà direttore de L’Unità o ancora Nadia Gallico Spano, una delle 21 madri costituenti nonché in seguito deputata nel PCI. L’opera di opposizione si attuò, da parte della comunità, anche finanziando Il Giornale, un quotidiano antifascista, e attivandosi nella resistenza.

Le leggi razziali furono avvertite come un tradimento sia da parte di coloro che si erano avvicinati al fascismo (diversi furono anche i casi di suicidio) che in generale da tutta la comunità. Due anni dopo, con la dichiarazione di guerra italiana alla Francia, i Grana furono rinchiusi nei campi di confinamento insieme agli altri italiani in quanto nemici belligeranti: gli ebrei italiani, discriminati dal governo italiano attraverso le leggi razziali, venivano considerati nemici dalla Francia in quanto italiani.

Queste contraddizioni paradossali continuarono a esistere anche negli anni successivi. La Francia collaborazionista di Vichy emanò una propria legislazione razziale, due “Statut des Juifs” (il primo nell’ottobre del 1940, il secondo nel giugno del 1941) che vennero applicati, anche se in maniera e con tempi molto differenti, anche in Tunisia. In questo caso i Grana furono tutelati dalle autorità italiane, che in Italia continuavano ad applicare le leggi razziali, perché la difesa degli ebrei italiani corrispondeva alla protezione degli interessi dell’Italia. Di fatto, sostenendo gli ebrei italiani l’Italia proteggeva i propri interessi economici dalle mire dei francesi che puntavano ad impossessarsene.

Da novembre 1942 a maggio 1943 la Tunisia venne occupata dalle armate di Italia e Germania e anche in questo frangente gli ebrei italiani godettero di un trattamento preferenziale (nessun lavoro coatto, né molestie o sanzioni specifiche); pur partecipando come il resto della comunità ebraica alle spese di mantenimento dei lavoratori ebrei obbligati dai nazifascisti e anche alle ammende collettive imposte dai tedeschi, il favore che godettero in quei mesi attirò nei loro confronti le antipatie dei francesi e anche del resto della comunità ebraica non italiana.

Al momento della liberazione nel maggio del 1943, in Tunisia vivevano circa 90.000 ebrei: 68.000 tunisini, 16.500 con cittadinanza francese, circa 3.200 italiani, 660 britannici e altri di varia nazionalità. Alla fine del conflitto, come reazione al “favore” concesso ai Grana in quei mesi tormentati, uno dei primi atti del ripristinato potere francese fu lo scioglimento della comunità ebraica italiana che venne inglobata in quella tunisina. Più di 300 anni di storia venivano cancellati e con essi veniva condannata all’oblio anche la storia di questa particolarissima comunità italiana.

* Per una trattazione più ampia si veda: –“Una comunità nella comunità: gli ebrei italiani a Tunisi”, in Altreitalie, Rivista internazionale di studi sulle migrazioni  italiane nel mondo, n. 36-37, Luglio 2008

“Dalla Tunisia verso l’Europa: alcuni percorsi di emigrazione della comunità ebraica italiana dopo il 1945”, in Ricerche Storiche, anno XLVII , numero 1, gennaio-aprile 2017 p. 65-81;

“The dispute between Italy and France in Tunisia: the role of language and the position of the Italian Jewish people”, in The Jews in Italy: Their Contribution to the Development and Diffusion of Jewish Heritage edited by Yaron Harel and Mauro Perani, Boston, Academic Studies Press, 2019.

Filippo Petrucci
collaboratore
Giornalista e dottore di ricerca in storia dell’Africa. Si occupa di ebraismo in Africa del Nord in epoca contemporanea e moderna, della storia della comunità ebraica italiana in Tunisia, delle dinamiche storico-politiche nel Vicino Oriente e in Israele e di Storia dell’Africa del Nord. Collabora con l’Università di Cagliari e attualmente lavora per lo United States Holocaust Memorial Museum, istituto per il quale rintraccia e intervista gli ultimi testimoni della seconda guerra mondiale.
Vive e lavora a Cagliari, sua città natale.

3 Commenti:

  1. Leggo sempre con molto interesse,la storia degli ebrei, un popolo a me caro. Articolo interessantissimo grazie a tanti dettagli,che disvelano la storia del popolo ebraico spesso nel mondo.

  2. Grazie Professore, bellissimo articolo. Mi piacerebbe seguire le sue lezioni. Dove posso trovare informazioni? Grazie ancora di cuore. Etta Barracciu


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