La criticatissima nomina di Effi Eitam riporta al centro del dibattito il significato dei memoriali e della parola negazionismo
La storica Deborah Lipstadt insieme a oltre 160 persone tra accademici, curatori museali, storici, sopravvissuti della Shoah e altri intellettuali sono i firmatari di una petizione contro l’insediamento di Effi Eitam a nuovo presidente di Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme. Ne parla il Jerusalem Post che lo definisce così: “Eitam è un ex brigadiere generale dell’IDF e un politico di estrema destra che in passato ha fatto commenti a favore del trasferimento forzato della popolazione palestinese e si è espresso a favore del blocco della partecipazione araba israeliana alla politica nazionale”. Qual è il ruolo di un ente come quello di Yad Vashem?
Nella loro petizione, gli storici, i curatori e gli esperti dell’Olocausto hanno risposto con estrema chiarezza che l’obiettivo dello Yad Vashem è “non solo la documentazione, la ricerca e l’educazione, ma anche la prevenzione della barbarie e dei futuri atti di genocidio“, e che la sua Scuola Internazionale di Studi sull’Olocausto mira a combattere “l’antisemitismo, il razzismo e l’esclusione” all’interno della società in generale.
A nominare Eitam come successore di Avner Shalev è stato il ministro dell’Istruzione superiore Ze’ev Elkin, suscitando grande preoccupazione a livello internazionale. La biografia di Eitam è scandita da posizioni estremiste, sia nell’esercito sia nella politica, dove si è espresso apertamente con una frase tristemente passata agli annali. Era il 2006 quando disse, durante una cerimonia per commemorare un soldato cduto: “Noi dobbiamo espellere la maggioranza degli arabi dalla Cisgiordania e rimuovere gli arabi israeliani dal sistema politico, poiché sono una quinta colonna del nemico e dei traditori”.
In Italia, Gabriele Nissim nel suo editoriale sul sito di Gariwo pone il problema attraverso un esempio concreto: “Cosa succederebbe se a Milano improvvisamente si decidesse di sostituire il presidente del Memoriale della Shoah Roberto Jarach con un personaggio politico che chiede l’espulsione dei migranti dal nostro Paese, che pronuncia parole di odio verso i musulmani o che plaude alla pulizia etnica in nome della difesa dell’Occidente?“, scrive. E poi risponde alla domanda centrale: che cos’è un memoriale? “Un memoriale non è infatti un museo come gli altri, ma chi lo dirige deve essere una persona con un alto profilo morale, perché consegnare la memoria alle nuove generazioni significa indicare dei comportamenti esemplari. Il negazionista non è soltanto colui che manipola la memoria storica e sminuisce le persecuzioni nei confronti degli ebrei, ma anche colui che tradisce il valore del ricordo delle vittime, giustificando nuove forme di intolleranza”.
In Israele, Yitz Greenberg, emerito direttore della commissione dell’Olocausto e promotore della creazione e dei programmi di educazione del museo dell’Olocausto di Washington – che ha diretto dal 2000 al 2002, ha preso posizione duramente contro questa nomina. E in una lettera al Jerusalem Post riflette proprio sulla figura del negazionista: “Essere negazionisti non significa solo dichiarare che la Shoah non è mai avvenuta, ma affermare che la memoria della Shoah non ha lezioni e implicazioni morali per l’umanità”. Una tale nomina, prosegue Greenberg, “sarebbe il più bel regalo per i nemici più feroci di Israele, che colgono ogni opportunità per disonorare gli ebrei affermando che oggi lo Stato ebraico si sta comportando come i nazisti”.
Ecco, la memoria, il presente e il futuro. Sono questi gli elementi che danno senso ai memoriali e alle manifestazioni che riguardano la memoria. Perché agiscono nel nome del mai più: la Shoah non si deve ripetere mai più, come nessuna forma di genocidio. Forse oggi più che mai ha senso prestare attenzione a queste parole, che portano la memoria fuori dal passato, ne fanno uno strumento di costruzione del futuro e la rendono comprensibile attraverso la lettura del presente.
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