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Amitai Etzioni (1929-2023) e la “terza via” tra capitalismo e socialismo

Breve storia delle idee del fondatore del “movimento dei comunitari”, una strada verso la riparazione del mondo

Pochi giorni fa è scomparso il sociologo e filosofo israelo-statunitense Amitai Etzioni, nato Werner Falk in Germania nel 1929, uno dei public intellectuals più noti nel mondo ebraico d’oltreoceano, fondatore di un movimento – di idee, programmi e persone tra società civile, politica e accademia – che porta il nome di “communitarianism”, elaborato e lanciato tra gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo come una via media, una terza via tra capitalismo e socialismo, tra la difesa delle istituzioni-base di una società (famiglia, scuola, governi locali) e il consolidamento delle libertà individuali e dei diritti di tutti, contro ogni policy non inclusiva.

In questa prospettiva, le parole-chiave del suo movimento erano: diritti e responsabilità ovvero “a responsive community”. Avendo analizzato a fondo e compreso come la società americana stesse attraversando, dopo gli anni Settanta, una profonda crisi identitaria e una fase di indebilimento del proprio sistema valoriale e istituzionale, Etzioni ideò una “communitarian platform” cioè un manifesto programmatico capace di ispirare individui e gruppi, studiosi e politici all’impegno comune per la ricostruzione del tessuto morale e sociale delle sociatà avanzate, e l’iniziativa ebbe una vasta eco non solo negli Usa e nei paesi anglofoni, e in Israele, ma anche in molti altri angoli del mondo. Egli lascia una grande eredità, meglio compresibile nel solco di quella tradizione ebraica che pone al centro i diritti inalienabili della persona ma anche il primato della relazione con gli altri e del con-vivere in società giuste, nonché quel senso dei doveri e delle responsabilità che sono l’altra faccia dei diritti. Etzioni era stato, a Gerusalemme, un allievo di Martin Buber e, in un certo senso, egli si sforzò di applicare la filosofia dialogica e comunitaria buberiana a una società complessa come quella americana. Anche Bill Clinton e Tony Blair ne furono ammaliati e aderirono al suo movimento.

Nato subito prima dell’avvento di Hitler al potere, l’allora giovanissimo Falk venne portato dalla famiglia dapprima a Londra e poi fatto arrivare, da solo e per vie traverse, ad Atene; qui venne raggiunto dai genitori con un visto per la Palestina sotto Mandato Britannico; a Tel Aviv prese poi il nome pienamente israeliano di Amitai Etzioni, e di lì a poco divenne membro del gruppo militare Palmach, partecipando alla guerra di indipendenza da cui nacque lo Stato di Israele. Si iscrisse in seguito all’università ebraica di Gerusalemme, dove incontrò Buber e dove si laureò in sociologia. Completato il master, si trasferì a Berkeley in California per un dottorato e da lì passò come docente alla Columbia University di New York diventando, dopo qulche anno, preside del dipartimento di sociologia. Ultima tappa, dal 1980 al 2010, la George Washington University, nel District of Columbia, nella cui Library diede vita al ‘movimento dei comunitari’ fondando anche un istituto e una rivista-network per svilupparlo. Alcune sue opere sono state tradotte in italiano già negli anni Settanta.

A ‘capo’ di una grande famiglia allargata sparsa tra Israele, Europa e Nordamerica, Etzioni fu un punto di riferimento certo per quel mondo ebraico diasporico impegnato a promuovere i valori della Torà attraverso il superamento di ingiustizie e di egoismi corporativi, insistendo sul fatto che “non v’è rinnovamento sociale senza cambiamento del cuore”. Pose infatti grande enfasi sulla rivalutazione delle ‘virtù’ intese come impegni morali individuali messi al servizio di azioni sociali e scelte politiche altrettanto virtuose. Il suo fu un vero e proprio progetto internazionale di tiqqun ‘olam ossia di “miglioramento del mondo” (pur non usando questo specifico termine ebraico) fondato sull’assioma per cui “i diritti individuali devono combaciare con le responsabilità sociali”. Per un tale progetto esiste un solo fondamentale punto di partenza: l’educazione, familiare e scolastica; vano sarebbe infatti ogni programma di rigenerazione morale della società se al centro della cura e dell’investimento non si pongono la famiglia e soprattutto la scuola. Anche questo è molto ebraico, da sempre. Non aveva forse scritto Maimonide (nelle sue Norme sullo studio del Mishnè Torà) che una città che non ponga al centro delle sue preoccupazioni la scuola non merita di sopravvivere?

Fu, se posso tentare un’analogia, un mussarnik – un seguace del mussar – laico e democratico, è vero, ma come ogni sincero moralista anche molto esigente e metodico, e non privo di simpatie ascetiche. Chi scrive lo conobbe alla fine del secolo scorso proprio nella Library della GWU, e ne restò intrigato. La sua insistenza sulla necessità di “sviluppare il carattere” sembra un’eco del movimento del Mussar fondato dal Salanter, rabbi Israel Lipkin, nel XIX secolo. “Cos’è il carattere – si chiede Amitai Etzioni – se non un muscolo psicologico che permette a una persona di controllare i propri impulsi e di differire l’auto-gratificazione, due cose fondamentali per ogni realizzazione, anzi per ogni azione e per ogni condotta che vogliano qualificarsi come morali”. Concludeva con un aforisma semplice e comprensibile persino in un basic English: “Hard work pays, even in an unfair world”. E ancora: “Tratta gli altri con la stessa dignità essenziale con la quale vorresti che gli altri trattino te”. E infine: “Ti sentirai meglio dopo aver fatto la cosa giusta, più di quanto ti sentiresti nell’evadere i precetti morali”.

La sua passione per la sociologica era di stampo filosofico classico, e il suo metodo di indagine oggi si direbbe più qualitativo che quantitativo, attento più alle persone che alle statistiche, molto ancorato a valori e verità, come l’emet che fece riverberare nel suo bel nome israeliano. La scelta di vivere in America e di insegnare, scrivere e comunicare in inglese fu dettata dalla volontà di universalizzare la passione sociale e politica che lo animava. In America Amitai Etzioni si inserì nel solco di una grande tradizione di ebrei accademici (o accademici ebrei?) che furono al contempo ‘filosofi pubblici’ dediti a pensare la società e i suoi complessi meccanismi: dalla New School newyorkese di Hannah Arendt e Hans Jonas alla rivista Tikkun di rav Michael Lerner, passando per filosofi politici e morali del calibro di Michael Walzer (Princeton), Martha Nussbaum (Chicago), Robert Nozick e Michael Joseph Sandel (Harvard)… In Europa, il primo nome da accostare a questa lista è quello di Zigmund Bauman; ma anche l’ultimo libro di rav Jonathan Sacks è stato un messaggio morale e politico alle società occidentali per instillare il primato del ‘noi’ sugli eccessi dell’‘io’. Rabbi Hillel diceva: “Se io sono soltanto per me stesso, chi sono davvero?” (Pirqè avot I,14).

Se volessimo accostare a questa scuola di pensiero e al movimento politico-sociale del ‘communitarianism’ di Etzioni una qualche corrente o personalità italiana, sempre in ambito ebraico, dovremmo fare il nome dei fratelli fiorentini Carlo e Nello Rosselli e del loro “socialismo liberale”, che ispirò tra le due guerre molta resistenza al fascismo, al fascismo come ‘ideologia’ prima ancora che al fascismo come ‘sistema di potere’, e che fu alla base del movimento di Giustizia e Libertà. Non è un caso che all’eredità intellettuale di Carlo Rosselli faccia riferiemento l’ultimo libro di Michael Walzer Che cosa significa essere liberale (Raffello Cortina Editore). Amitai Etzioni appartiene a questa grande famiglia di pensatori, che vollero essere anche practitioners ossia militanti, affinché, come insegna il Talmud, “l’interno non sia diverso o addirittura l’opposto dell’esterno”. La differenza tra morale e moralismo sta tutta qui.

Massimo Giuliani
collaboratore

Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma


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