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La via italiana del socialismo ebraico: dai fratelli Rosselli a Enzo Sereni

Benché in Italia siano mancate organizzazioni di proletariato ebraico come il Bund o il Poalè Zion, non si può dire che sia mancato l’apporto di figure ebraiche al socialismo italiano nel XX secolo.

Avrete notato che in questo mese, su JoiMag, s’è scritto un paio di volte del Bund. E per una di quelle associazioni che a volte ci appassionano, mi sono allora chiesto come mai non si parlasse più – eccezion fatta per gli studiosi e/o addetti ai lavori – di ebrei e socialismo. Forse semplicemente perché socialismo e affini sono stati messi in soffitta da una modernità che per la verità non pare sapere bene dove andare? Forse. Comunque sia, mi è venuta voglia di offrire ai lettori – soprattutto ai giovani, a cui tengo di più – un superficiale bigino di una vicenda che, a mio modesto parere, è invece tanto interessante quanto indicativa di uno dei mille rivoli che danno acqua e dissetano l’ebraismo.

In Italia sono mancati momenti di organizzazione del proletariato ebraico in senso stretto così come non sono esistiti movimenti sionisti che abbiano partecipato alle lotte della classe operaia e delle masse più povere. Per intenderci: dalle società di mutuo soccorso alle leghe fino al sindacato vero e proprio degli inizi del ’900 da noi non sono mai nati fenomeni come l’Allgemeiner Yiddisher Arbeter Bund, l’Unione generale socialdemocratica ebraica fondata a Vilna alla fine dell’800 e che ebbe una parte di primo piano nell’organizzazione del Partito operaio socialdemocratico russo. Né abbiamo avuto un corrispettivo del Partito socialista ebraico russo oppure movimenti come il Zeirè Zion o il Poalè Zion, le due correnti principali del sionismo proletario. Accenno soltanto, per brevità, al fatto che queste organizzazioni furono in seguito combattute ed eliminate dal Partito bolscevico nel cui Comitato centrale che diresse la Rivoluzione sedevano 5 ebrei su 21 membri. Lev Borisovic Rosenfeld (Kamenev), Greegorij Evseevic (Zinoviev), Lejba Davidovic Bronstejn (Trockij), Jakov Michajlovic (Sverdlov), Moisej Solomonovic (Urickij): assimilati con però forti identità ebraiche in qualche modo paragonabili ai “correligionari” italiani cardini del movimento operaio e della lotta antifascista.

Non solo PSI, ma anche PCI e Pd’A
La storia del Partito socialista italiano è segnata da nomi come Treves, Modigliani, Mondolfo, Colorni; quella del Partito comunista dai Terracini, Sereni, Curiel… Ma senza dubbio il partito più “ebraico” fu il Partito d’Azione, figlio esemplare e poco fortunato del movimento di Giustizia e Libertà. Pilastri del Pd’A furono Franco Momigliano, Silvio Jona, Emanuele Artom, Riccardo Bauer, Leone Ginzburg e la matrice giellista dei Max Ascoli, Antonello Gerbi, Gino Luzzatto, Carlo e Mario Levi, Vittorio Foa, Sion Segre.

Sembra quindi di intravedere nell’Ebraismo italiano una predisposizione verso ciò che Carlo Rosselli chiamò “socialismo liberale”. E la storia della famiglia Rosselli è probabilmente proprio la chiave di lettura più chiara per tentare di comprendere i legami tra Ebraismo e pensiero socialista e democratico italiano. Un socialismo laico a cui Leone Trockij si oppose con forza paragonandolo ai socialisti rivoluzionari russi. Ha scritto dei Rosselli Leo Valiani (nato Weiczen): «Carlo e Nello appartenevano a una importante famiglia ebraica toscana di insigni tradizioni risorgimentali. Mazzini era morto nel 1872, a Pisa, a casa Nathan-Rosselli, prozii di Carlo e Nello». La mamma di Carlo e Nello, la scrittrice Amalia Pincherle, li aveva cresciuti «ebrei ma prima di tutto italiani». Un ebraismo culturale e religioso a suo modo che celebra Pesach innanzittutto come festa di libertà, la medesima carica emotiva che spingerà il giovanissimo Carlo alla lotta antifascista, a sfidare la repressione organizzando con Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Adriano Olivetti la fuga dall’Italia di Filippo Turati. Lo animava, scrive Valiani, un fuoco profetico assolutamente ebraico: dagli scritti al Circolo di cultura politica cui diede vita a Firenze nel 1923 con Salvemini, Calamandrei, Ernesto Rossi e il fratello Nello, fino al primo giornale clandestino non comunista, Non mollare, e poi la rivista Quarto Stato con Nenni, via via fino alla morte, assassinato, esule in Francia, nel ’37, insieme a Nello andato a trovare oltre confine l’«amato fratello».

Nello Rosselli, né socialista, né sionista
Ed è di Nello che si deve ragionare se si vogliono cogliere appieno i legami indissolubili che legavano i due fratelli all’Ebraismo italiano. Lui che non fu mai socialista (anche se il suo liberalismo democratico lo collocherebbe oggi senza dubbio nella sinistra), grande storico del Risorgimento, eretico all’interno del sionismo nostrano dove suscitò forti emozioni e altrettanto forti critiche con il famoso intervento al Convegno giovanile ebraico di Livorno del ’24: «(…) prima bisogna sapere chi siamo. Io sono un ebreo che non va al Tempio il sabato, che non conosce l’ebraico, che non osserva pratiche di culto. Eppure io tengo al mio Ebraismo e voglio tutelarlo da ogni deviazione. Non sono sionista. Non sono dunque un ebreo integrale (…) Mi dico ebreo, tengo al mio Ebraismo perché è indistruttibile in me la coscienza monoteistica, perché ho vivissimo il senso della mia responsabilità personale e quindi della mia ingiudicabilità da altri che dalla mia coscienza e da Dio. Perché mi ripugna ogni pur larvata forma d’idolatria. Perché considero con ebraica severità il compito della nostra vita terrena, e con ebraica serenità il mistero dell’oltre tomba. Perché amo tutti gli uomini come in Israele si comanda di amare, come anzi in Israele non si può non amare, e ho quindi quella concezione sociale che mi pare discesa dalle nostre migliori tradizioni (…) Gli ebrei integrali trovano la loro pace, o cercano la loro pace, in Sion. E anche io devo trovare la mia pace, la serenità della mia vita. Essa non può trovarsi che dove sono le fondamenta della mia individualità: nell’Ebraismo e nell’Italianità».

Enzo Sereni fu tra i primi a comprendere come la lotta per la libertà degli ebrei non potesse essere in alcun modo scissa dalla causa per la libertà in generale

Questa posizione fu a lungo la più matura tra gli ebrei che non intrapresero la strada dell’antifascismo attivo. E non a caso, ebbe a osservare Renzo De Felice, questa teoria è confermata dal lento avvicinarsi ad essa, soprattutto dopo il ’38, di gran parte dei sionisti italiani: nel comprendere come la lotta per la libertà degli ebrei non potesse essere in alcun modo scissa dalla causa per la libertà in generale. Tra i primi a capirlo fu Enzo Sereni, amico di Nello, intrepido militante e martire del sionismo, un sionismo che sempre a Livorno lo caratterizzò come borochovista. Con l’eco di Dov Ber Borochov, fondatore del già citato Poalè Zion, Sereni parlava di necessità di proletarizzazione del popolo quale condizione per una soluzione positiva e costruttiva in Israele. Così molti italiani fecero l’aliyah e andarono a morire in Eretz Israel proprio per costruire il socialismo. Ho avuto l’immensa fortuna di conoscerne alcuni.

Mi piace concludere esprimendo la commozione che mi prende ogni volta che alla sfilata del 25 aprile guardo la determinazione delle ragazze e dei ragazzi della Hashomer Hatzair e sento la forza del loro imperituro sogno di sionismo socialista. Eppure nella nostra storia non esiste un Dov Ber Borochov, nelle nostre scuole non si accenna minimamente al contributo dato dall’Ebraismo italiano al progresso, alla lotta antifascista, al socialismo; nei manuali di filosofia probabilmente Martin Buber non è neppure citato. Ma per fortuna in qualche famiglia ebraica – sempre meno – alla sera si parla ancora dei fratelli Rosselli. Midor ledor, di generazione in generazione

 

Stefano Jesurum
Redazione JOI Mag
Stefano Jesurum è nato a Milano nel 1951 ed è giornalista dal 1976. Tra i fondatori di La Repubblica, ha lavorato per il Nuovo di Firenze, il Giorno, l’Europeo, il Corriere della Sera, la RAI. Autore di saggi, racconti e romanzi. Attualmente collabora con Gli Stati GeneraliPagine Ebraiche e, ovviamente, JOIMag. Marito di Carla, papà di Rachele, nonno di Annele.

3 Commenti:

  1. Comunque gli ebrei di Giustizia e Libertà non erano sionisti perché non erano nazionalisti, e tanto meno colonialisti. E l’Israele di oggi dà loro ragione.

  2. mi e piaciuto ed interessato molto l‘articolo.Seguo e difendo il più possibile gli interessi ebraici,anche se come il Rosselli seguo poco la vita della Comunità. Che non ci sia stato un movimento proletario ebraico non mi stupisce perché tranne che nell‘Unione Sovietica gli ebrei erano esclusi da questi movimenti . Non bisogna scordare che l‘Italia era molto più tollerante di altri paesi. pensiamo al caso Dreyfuss in Francia o ai libri di Roth in Austria.Se la classe borghese era molto poco aperta ai nuovi arrivati,ancora meno lo era la classe operaia. Il liberalismo era l‘unica forma ed e che ci permette l‘accesso a tutte le professioni.

  3. Essere vivere credere amare e conparole e azioni dimosrtare a noi stessi. E atutta lumanita che essere ebreo significa esserere capaci di benedire tutti e tutto cio che in nostro signre a dato per tutti


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