Cultura
ANU Museum: viaggio al centro della storia ebraica

Il gioiello di Tel Aviv: un luogo di memoria che parla anche alle nuove generazioni tra manufatti, opere d’arte, documenti, installazioni, percorsi multimediali, foto e audiovisivi

Negli ultimi decenni il museo ha completamente rivoluzionato la sua connotazione originaria, trasformandosi da luogo delegato alla conservazione delle opere d’arte, a spazio di narrazione, strumento, mezzo, medium, cantiere e laboratorio.

Contestualmente, i dispositivi museali sono stati declinati per rispondere alle differenti esigenze determinate dalla storia contemporanea, e hanno iniziato a raccontare eventi e storie sempre più aderenti alla realtà, proponendo di volta in volta particolari modalità di fruizione. Ma solo a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale si assiste anche ad un altro tipo di narrazione museale, quella riguardante “la messa in esposizione” del trauma in spazi museali creati appositamente o nei luoghi in cui si sono consumati gli avvenimenti, più precisamente chiamati luoghi di memoria. Questi sono spazi fisici che esibiscono principalmente se stessi, e in alcuni casi nient’altro, in altri casi i resti di quei luoghi vengono utilizzati come contenitori per esporre anche reperti di vario tipo.

In questa tipologia di musei rientra anche l’ANU Museum, situato all’interno del campus universitario di Tel Aviv e riaperto nel 2021, dopo dieci anni di progettazione e lavori. Oggi l’ANU Museum è strutturato su tre piani, misurando complessivamente settemila metri quadrati. È il più grande museo al mondo sulla storia e la cultura del popolo ebraico: espone oltre millecinquecento pezzi, tra manufatti, opere d’arte, documenti, installazioni, percorsi multimediali, foto e audiovisivi. La narrazione inizia a partire dal patriarca Abramo fino ad arrivare alla contemporaneità, un lungo viaggio alla scoperta di una cultura antichissima, sospesa tra Israele e la Diaspora.

Per comprendere a pieno le scelte espositive e per immergersi negli spazi del museo, organizzato in quattro spettacolari ambienti, abbiamo intervistato la Dott.ssa Orit Shaham-Gover, Chief Curator del Museum of Jewish People.

Il Museo mette in luce le opere creative e le ricchezze culturali di una varietà di comunità in diversi periodi storici. La prima domanda riguarda proprio l’intero arco narrativo che, come già detto, si estende su un periodo molto lungo: Come può il visitatore avere una prospettiva completa sulla storia del popolo ebraico?

«Questa è una buona domanda, oltre ad essere una delle questioni fondamentali di questo museo. Nell’ideazione degli spazi espositivi e dell’allestimento museale siamo partiti dall’idea di non raccontare tutta la storia, ma di offrire al visitatore un punto di vista privilegiato. In realtà i contenuti e i dati che si trovano qui sottoforma di esposizione o nei dispositivi interattivi utilizzati, servono per far scorrere i capitoli della nostra storia e soffermare l’attenzione sulle cose più importanti, far capire le differenze tra un periodo e l’altro. In poche parole, cerchiamo di far fare un viaggio al visitatore percorrendo le tappe sugli aspetti più importanti di ogni periodo: dai babilonesi al medioevo, passando per la storia degli ashkenaziti e i sefarditi, mostrando i centri religiosi più importanti, le maggiori comunità che si sono formate nel corso del tempo, proponendo storie, filmati e altri differenti media».

Nell’ambito della museologia contemporanea viene impiegato molto più di frequente il linguaggio multimediale, in modo da poter sviscerare attraverso i differenti media lo storytelling museale.

«Infatti io credo che oggi i musei e le mostre abbiano bisogno di ricorrere ai dispositivi multimediali che si hanno a disposizione, in questo modo è possibile lavorare in una concezione completamente differente della narrazione, mi sento di dire che l’era dei musei con solo oggetti e testi è ormai superata, e soprattutto il mondo è cambiato e poche persone leggono, i più giovani non leggono molto. Quindi se si vuole inviare un messaggio in modo più immediato bisogna ricorrere ai media che abbiamo a disposizione, che sono uno strumento narrativo, così si può raccontare una storia più facilmente se si usa un film o se si usa qualcosa di interattivo come un computer. Permettono anche di elaborare il racconto in modo non pesante, non didattico, non scolastico. Ciononostante, abbiamo anche dei database a disposizione degli studenti e di altri visitatori che scelgono di approfondire. In ogni caso, i media ci permettono di trasmettere le informazioni in modo diverso, alternativo, e ampliano le possibilità di arricchire le conoscenze dei visitatori: il museo è in grado di comunicare davvero con tutti i tipi di pubblico e di trasmettere i suoi contenuti. Questa è l’idea di partenza del nostro museo».

L’ANU Museum presenta un’esposizione singolare in cui è possibile ripercorrere i capitoli di crescita, prosperità e dialogo culturale, insieme a periodi più bui di pogrom e persecuzioni. Il viaggio, che si estende per migliaia di anni, inizia con la storia delle migrazioni ebraiche, esamina i grandi centri della vita ebraica, nonché la cultura e le tradizioni ebraiche, e si conclude con la rinascita del popolo ebraico dopo l’Olocausto, l’istituzione dello Stato di Israele e una rappresentazione di varie comunità ebraiche dei nostri tempi.

Quanto spazio è dedicato alla narrazione della Shoah?

«Quando abbiamo sviluppato l’esposizione, ci siamo chiesti quanta importanza e quanto spazio avremmo voluto dedicare a questa parte della nostra storia. Raccontare la storia dell’Olocausto è molto importante, ma anche molto difficile: la nostra decisione è stata di mostrare la spaccatura generata da questo terribile evento. Infatti, prima di arrivare alle sale dedicate all’Olocausto, c’è un’area in cui si possono ascoltare le voci in tutte le lingue che leggono diari e lettere delle vittime dalla fine degli anni Trenta. Le persone qui parlano di tutti gli aspetti della vita ebraica che è stata interrotta durante l’Olocausto, poi inizia il racconto vero e proprio di quegli anni terribili: la persecuzione, i campi di concentramento e di sterminio. Inoltre, lo spazio dedicato alla memoria è stato concepito anche come uno spazio per la contemplazione. Uno spazio dove pensare a tutte le persone che sono morte nell’Olocausto, tramandando la loro memoria, ma dando spazio anche ai sopravvissuti. Il museo è impostato cercando di festeggiare la vita, cercando di ricordare chi è morto, ma anche chi è sopravvissuto e chi ha combattuto in quegli anni terribili».

Allo stesso tempo il museo è un dispositivo perfetto per conoscere la millenaria storia ebraica, rivestendo anche una funzione didattica…

«In genere considero i musei come dei luoghi emozionali con delle scritture didattiche per i dettagli e tutte le informazioni che trasmettono: visitare un museo è come leggere un libro, porre l’attenzione su alcuni aspetti, cercando di parlare al cuore dei visitatori. Io credo che i musei debbano creare delle particolari sollecitazioni e delle connessioni, e quando le persone le avvertono noi gli stiamo insegnando qualcosa. Oggi siamo costantemente bombardati da informazioni, è per questo che per l’allestimento del mio museo ho scelto di utilizzare un linguaggio prevalentemente emozionale che potesse allo stesso tempo far riflettere visitatori».

Il museo riesce a parlare di una storia particolare in una modalità universale, tanto che per Orit Shaham-Gover, non vi è differenza tra i diversi pubblici dell’ANU…

«Il museo è visitato da tutti ebrei e non ebrei, ed è stato pensato per “accontentare” ogni visitatore, non solo dal punto di vista dell’esposizione ma da ogni punto di vista, anche dal punto di vista logistico, dall’acquisto dei biglietti all’accessibilità museale. Inoltre, grazie ai questionari che somministriamo ai visitatori, abbiamo appreso che il 90% dei visitatori è soddisfatto della visita».

Eirene Campagna
collaboratrice

Classe 1991, è PhD Candidate dello IULM di Milano in Visual and Media Studies, cultrice della materia in Sistema e Cultura dei Musei. Studiosa della Shoah e delle sue forme di rappresentazione, in particolare legate alla museologia, è socia dell’Associazione Italiana Studi Giudaici.


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