Storia di un dolce che ha fatto il giro del mondo
In principio fu un avanzo. Come spesso capita in cucina, le cose più buone nascono da una necessità. Nel caso del babka, pare che il bisogno fosse quello di non sprecare l’impasto avanzato della challah, il ricco pane all’uovo dello Shabbat. In particolare, sembra che la geniale idea di farcire, intrecciare e poi cuocere il tutto insieme nello stesso forno, fosse venuta alle donne più anziane delle comunità ebraiche ashkenazite in Ucrania e Polonia. Alle nonne, insomma, chiamate in slavo babcia o, affettuosamente, babka.
Secondo un’altra teoria, il nome farebbe riferimento alla forma dello stampo alto e scanalato in cui si cuoceva (e si cuoce tuttora) uno dei dolci tipici della Pasqua e delle festività cristiane in genere del Nord Europa. Sempre di babka si parla, ma il prodotto è piuttosto diverso, con una glassa allo zucchero e frutta secca e l’impasto liscio, simile a quello della brioche. Alcuni studi, tra cui quello dello scrittore e storico Lesley Chamberlain, ne farebbero derivare la composizione da quella del panettone, giunto dall’Italia alla Polonia grazie alla regina consorte Bona Sforza nel XVI secolo. Il riferimento alla nonna, in questo caso, sarebbe dovuto alla forma della torta, simile al kugelhopf, che può ricordare le larghe gonne indossate dalle donne più anziane.
Le origini del babka ebraico, invece, sarebbero più recenti, si ritiene intorno ai primi dell’Ottocento, per le esigenze di recupero cui si accennava sopra. E per quanto la delizia sfogliata che oggi conosciamo dovesse ancora giungere al suo completo perfezionamento, il dolce vantava già delle caratteristiche ben precise. Si andava dall’impiego di una pasta lievitata e avvolta su se stessa, intrecciata e quindi messa a cuocere in uno stampo lungo e basso, all’uso di un ripieno a base di marmellata, frutta secca, semi di papavero, uvetta e spezie, cannella in particolare. Questa delizia avrebbe fatto la gioia dei bambini (e non solo), che potevano già assaggiarla il venerdì pomeriggio, in attesa del giorno di festa. C’è poi da aggiungere che, per soddisfare le richieste di cibo parve, il burro dell’impasto poteva probabilmente essere sostituito con l’olio, eliminando così ogni forma di derivato del latte e consentendone il consumo anche a seguito di un pasto a base di carne.
Ora qualcuno ne potrà contestare la descrizione, ricordando che il primo babka che viene in mente è quello al cioccolato. Giusta obiezione. Che spiana però la strada a diverse considerazioni sul cammino percorso da questo dolce. Là dove è nato, infatti, il babka difficilmente poteva essere farcito di cioccolato, materia prima assolutamente da ricchi, categoria alla quale all’epoca raramente appartenevano gli ebrei dell’Est Europa.
Discorso diverso vale invece per le comunità sefardite dei Paesi affacciati sul Mediterraneo. Qui le fave di cacao e soprattutto il prodotto della loro lavorazione non erano così irraggiungibili, tanto che persino le classi meno abbienti potevano accedervi o comunque acquisirne l’impiego. Il merito di questa diffusione, avvenuta già nel Cinquecento, va attribuito tra gli altri agli ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna a partire dai decreti del 1492. La preziosa materia prima era arrivata nella Penisola Iberica dalle Americhe con i conquistadores e, seppure ancora in forma liquida, era una delizia che certo valeva la pena di portare con sé nell’esilio. Dall’Italia del Sud, appartenente all’orbita spagnola, alla Francia, passando dalla Svizzera, il cioccolato aveva dunque colonizzato questa parte d’Europa, assumendo negli anni anche la forma solida che ancora oggi apprezziamo.
Questo veloce excursus non basta comunque a spiegare l’evoluzione del babka da dolce “di recupero” a raffinatezza cioccolatosa. Per capirlo, bisogno seguire le sorti di altri ebrei, quelli giunti in America dall’Europa nel Novecento e dell’enorme carico culturale che portavano con sé, arti gastronomiche comprese. Bisogna insomma lasciare il Vecchio Continente per comprendere come il babka si sia affermato anche fuori dalle comunità ebraiche, diventando un po’ il corrispettivo dolce del bagel in quanto a diffusione e trasversalità.
L’inizio di tutto sarebbe relativamente recente, più o meno negli anni Cinquanta. Pare che intorno alla fine di quel decennio i panifici di tradizione europea abbiano iniziato a proporre ai clienti questa particolare treccia, dolce ma non troppo, abbastanza ricca da ingolosire, ma non così raffinata da essere riservata alle sole occasioni speciali. La preparazione ideale, insomma, per ogni momento della giornata, dalla prima colazione alla merenda pomeridiana, senza trascurare il fine pasto. Tale diffusione, con relativo successo, sarebbe avvenuta in contemporanea negli Stati Uniti e in Israele, con l’aggiunta di quegli ingredienti, il cioccolato in primis, ormai diventati patrimonio comune della scuola pasticciera di entrambi i Paesi.
Facendo un ulteriore salto in avanti, sarebbe a partire dal 2010 che un numero via via crescente di panetterie abbia iniziato a offrire le proprie interpretazioni del dolce intrecciato, affiancando alla sempre più amata versione al cioccolato (nonché all’immancabile crema alla nocciola Made in Italy), tante altre varianti di ogni genere e specie, dalla panna acida agli ingredienti salati. Nelle tipologie dolci, inoltre, è frequente l’uso degli streusel, briciole di pasta frolla, paragonabili al crumble, impiegate sia nel ripieno sia nella guarnizione superficiale.
In questo stesso periodo, in Israele si è andato imponendo un dolce molto simile, anche se il babka ha qui assunto una ulteriore diversificazione. Se l’impasto della treccia statunitense più diffusa resta infatti sostanzialmente quello della challah, quindi in qualche modo paragonabile alla brioche, in quel di Gerusalemme o di Tel Aviv le pasticcierie ne offrono facilmente una versione più complessa. La base qui è più simile a quella del croissant e del pain au chocolat, la stessa, va detto, impiegata nelle bakery newyorkesi più acclamate, prime fra tutte quelle fondate dall’israeliano Uri Scheft. Si tratta di un impasto più grasso e friabile, composto da strati e strati di sfoglie al burro che ricorda molto da vicino un altro dolce giunto dall’Est Europa: i rugelach, cornetti di pasta sfogliata portati in Israele dagli ebrei polacchi.
Babka al cioccolato (versione non sfogliata)
Ingredienti per 8-10
Per l’impasto:
530 g di farina più quella per la lavorazione
100 g di zucchero semolato
10 g di lievito istantaneo
3 uova grandi
150 g di burro
sale
Per la farcitura:
50 g di zucchero a velo
30 g di cacao amaro in polvere
130 g di cioccolato fondente
120 g di burro
120 g di gocce di cioccolato
Per lo sciroppo:
100 g di zucchero semolato
Mescolare la farina setacciata con lo zucchero e il lievito, poi incorporare le uova e 120 ml di acqua impastando con energia. Aggiungere un pizzico di sale e il burro ammorbidito a pezzetti, poco alla volta e sempre lavorando con forza, fino a ottenere un impasto liscio, elastico e lucido. Trasferirlo in una ciotola spennellata d’olio, coprire con pellicola da cucina e lasciare in frigo per almeno mezza giornata.
Dividere la pasta a metà e tenerne una parte coperta in frigo. Far fondere il cioccolato per la farcitura con il burro a bagnomaria e farli quindi intiepidire, poi mescolarli con lo zucchero a velo e il cacao fino a ottenere una crema spalmabile.
Stendere la pasta su una superficie leggermente infarinata formando un rettangolo di circa 40×30 cm, quindi spalmarvi metà della crema preparata, lasciando un bordo di 2 cm. Distribuire metà delle gocce di cioccolato sopra il cioccolato, poi arrotolare la pasta su se stessa partendo da uno dei lati lunghi, premere quindi i bordi per sigillarli. Usando un coltello seghettato, spuntare il rotolo di 2 cm da entrambe le estremità, poi con lo stesso coltello tagliarlo nel senso della lunghezza, ottenendo così due metà con gli strati di pasta e il ripieno ben visibili.
Avvolgere delicatamente le due parti su se stesse, formando un intreccio con i lati tagliati sempre in vista, poi premerle leggermente. Trasferire la treccia ottenuta in una teglia foderata con carta da forno, coprire con un canovaccio e lasciarla lievitare in luogo tiepido per un’ora e mezza. Ripetere le operazioni descritte con l’impasto tenuto da parte in frigo, quindi cuocere entrambe le preparazioni in forno già caldo a 190° per circa 25-30 minuti, fino a quando uno stecchino inserito al centro non ne esce pulito.
Preparare intanto lo sciroppo. Mescolare lo zucchero in una piccola casseruola con 120 ml di acqua, portare a ebollizione a fiamma media mescolando finché lo zucchero si scioglie, poi togliere dal fuoco e lasciare raffreddare. Sfornare i babka e spennellarli con tutto lo sciroppo, lasciarli raffreddare e servirli a temperatura ambiente.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.
Quel’ parolle é babicka, no babcia. Tra slavi si dice babovka… 🖐🏻 Solo cosi, bell’ giorno madam!
Ottimo articolo molto esauriente