Viaggio nella città svizzera che ha ospitato nei secoli tre diverse comunità ebraiche fino a quella attuale, attenta a raccontare il passato e immaginare
Per oltre quattro secoli Basilea non ha avuto una comunità ebraica. Dalla fine del Trecento ai primi dell’Ottocento gli ebrei non hanno potuto contare su una organizzazione che li rappresentasse e per lunghi periodi non hanno neppure avuto il diritto ufficiale di risiedervi. Inoltre, molte delle antiche testimonianze di quella che nel Duecento era stata una delle comunità ebraiche più grandi in Europa sono andate perdute. Nonostante ciò, la città svizzera sul Reno è riuscita negli ultimi duecento anni a diventare (o, per meglio dire, a ridiventare) un importante punto di riferimento per gli ebrei. E questo nonostante l’antisemitismo che aveva condotto alla loro dispersione non abbia purtroppo mai abbandonato completamente il Paese. Basilea può comunque vantare più di un primato positivo. Non bisogna dimenticare ad esempio che a partire dall’agosto 1898 è stata la sede del primo e di successivi altri dieci Congressi Sionisti e che ha visto la fondazione, nel 1966, del primo museo ebraico in un paese di lingua tedesca aperto dopo la guerra, tuttora l’unico in Svizzera. La stessa città è anche la sede della Fondazione Anne Frank, fondata dal padre Otto.
Dopo il suo ritorno da Auschwitz, unico sopravvissuto della sua famiglia, l’uomo aveva scelto infatti di stabilirsi proprio a Basilea, dove in tempo di guerra aveva vissuto sua madre con la sorella minore. Ricongiuntosi qui con questa nei primi anni Cinquanta, Otto avrebbe iniziato a lavorare alla pubblicazione del diario della figlia. Al legame tra il Paese elvetico e Anne Frank è stata dedicata una mostra, visitabile fino al prossimo 6 novembre e allestita presso il Museo della Svizzera di Zurigo in collaborazione con il Familie Frank Zentrum di Francoforte, che custodisce l’archivio di famiglia, e l’Anne Frank Fonds di Basilea. Partendo dalla situazione dei due rami della famiglia Frank, l’uno costretto a fuggire ad Amsterdam e l’altro in esilio a Basilea, la mostra ne ripropone la vita sotto la minaccia nazista attraverso oggetti, foto, documenti e riproduzioni (prima tra tutte il facsimile del diario originale Anne), facendo emergere le minacce specifiche che gravavano sulla popolazione ebraica sia in Svizzera sia in Olanda. Grazie al materiale messo a disposizione dalla fondazione di Basilea e da quella di Francoforte, l’esposizione di Zurigo conduce il visitatore in un viaggio nella quotidianità di allora facendogli inoltre conoscere la politica per i rifugiati e l’assistenza che era stata fornita loro in Svizzera durante la seconda guerra mondiale. A questo riguardo è doveroso ricordare che il Paese diede sì rifugio a circa 23mila ebrei, ma anche che il governo decise di rimanere neutrale e che quindi i profughi erano qui ufficialmente solo di passaggio. A ciò va aggiunto che i rifugiati ebrei subirono un trattamento diverso da quelli di altre religioni e sia nel 1938 sia nel 1942-43, a gran parte delle persone in fuga dalle deportazioni da diversi paesi europei fu negato l’accesso al paese.
Tornando alle note positive, quando Otto Frank nel 1952 si stabilì a Basilea presso la sorella Leni Elias trovò una città che da circa 150 anni poteva contare su una nuova comunità ebraica, la terza della sua storia. Era stata fondata intorno al 1805, per quanto gli ebrei avrebbero avuto i pieni diritti di residenza e di cittadinanza solo a partire dal 1874. All’epoca la città aveva già visto la costruzione della Grande Sinagoga, avvenuta tra il 1866 e il 1869 a sostituzione di una precedente casa di preghiera datata intorno al 1840 e situata in Unterer Heuberg. Dal 2021 indicata con il nome di Beit Yosef, in onore del banchiere Joseph Y. Safra Z’L, la principale sinagoga di Basilea (l’altra è quella del gruppo Chabad ed è stata costruita nel 2012) ha subito diverse ristrutturazioni. Luogo di culto della comunità ashkenazita, era stata progettata in stile neobizantino dall’architetto Hermann Rudolf Gauss, che aveva preso come modello la sinagoga di Stoccarda, anche se, a differenza di questa possedeva una sola cupola. La seconda le sarà aggiunta nel 1892 da Paul Reber, che la amplierà fino a rendere possibile l’accoglienza di 700 membri. La ristrutturazione del 1947 ne sacrificherà gli interni colorati a favore di un più pacato grigio uniforme, ma quarant’anni dopo, un nuovo restauro restituirà in parte le decorazioni e lo stile andati perduti. Oggi al suo interno dominato dai toni del beige si possono ammirare anche i decori blu e rossi, con una moltitudine di stelle dorate che si stagliano sulla cupola. Per visitarla è possibile contattare direttamente la comunità ebraica di Basilea, che organizza (a pagamento) tour di gruppo di un’ora, oppure recarsi presso il tempio alle 15 di ogni prima domenica del mese, occasione in cui il Museo Ebraico della Svizzera propone una visita guidata gratuita.
Anche chi non partecipa alle visite né ai servizi può comunque gioire della vista di questo monumento, spettacolare fin dall’esterno. Parte integrante del paesaggio urbano di Basilea, si trova in Leimenstrasse 24 all’angolo con Eulerstrasse, in una elegante zona residenziale appena fuori dal centro e spicca per l’imponenza e per le decorazioni policrome. La facciata neoromanica presenta una struttura a doppia cupola caratterizzata da trifore che fiancheggiano il portale d’ingresso, con una finestra rotonda appena sopra l’entrata. La facciata è color crema e la metà inferiore ha mattoni disposti orizzontalmente a formare strisce rosse. L’edificio combina elementi moreschi con strutture bizantine e pittura romanico-pisana sulla parete esterna. Come fa notare sul suo sito la Comunità: “Questa sorprendente architettura dall’aspetto orientale nel paesaggio urbano di Basilea richiedeva fiducia in se stessi alla comunità ebraica e anche all’architetto per esporsi in questo modo”. Presso lo stesso indirizzo della Sinagoga ha sede anche la Israelitische Gemeinde Basel (IGB), tuttora una delle più grandi comunità svizzere con circa 860 membri che, in quanto comunità unificata, ospita ebrei di tutti gli orientamenti religiosi. Accanto, è operativa anche un’altra congregazione, fondata 1927 quando alcuni dei membri della IGB si separarono e fondarono la Israelitische Religionsgesellschaft (IRG). Rigorosamente ortodossa, ha sede in Ahornstrasse 14. Nella stessa via, al 33, si trova poi lo Chabad Feldinger Jewish Center, mentre qualche via più in là, in Herrengrabenweg 50, si trova la sinagoga riformata Migwan, fondata nel 2004. Questa piccola ma variegata realtà ha fatto sì che il viaggiatore ebreo di passaggio o in visita per qualche tempo nella bella città svizzera trovi comunque dei saldi punti di riferimento. Anche quando si tratta di mangiare.
A riportare puntualmente quali sono i prodotti kosher disponibili in zona e dove acquistarli o consumarli ci pensa tra gli altri la Comunità IGB, che sul suo sito mette a disposizione la lista aggiornata degli alimenti kosher di Basilea. A questo si aggiunge una serie di indirizzi riportati sul sito di Chabad con i supermercati e i negozi dove si possono acquistare prodotti conformi alla legge ebraica, dalle panetterie KULT in Elsässerstrasse 43 e Krebs in Spalenring 100, a rivenditori come diverse filiali della Coop e di Migros che prevedono una selezione di prodotti kosher. Per chi preferisce uscire a mangiare, allo stesso numero della Grande Sinagoga, in Leimenstrasse 24 è possibile degustare le bontà di Numnum, ristorante ufficiale della IGB. La sua mente creativa è Elli Benaiah, che dopo aver fatto l’avvocato a Toronto e a Tel Aviv ha pensato bene di trasformare il suo hobby per la cucina in un lavoro e ha portato il cibo israeliano in Svizzera. I suoi piatti sono kosher e vengono preparati sotto la supervisione del Rabbinato.
Un’altra delle eccellenze di Basilea si trova infine in Kornhausgasse 8 ed è il già citato Jüdisches Museum Schweiz, il Museo Ebraico della Svizzera. La sua impostazione giovane e brillante è ben rappresentata dal suo stesso sito, che si struttura come un blog dove leggere le più diverse testimonianze dell’ebraismo contemporaneo. Tra i pezzi esposti figurano diversi oggetti in argento da cerimonia, tessuti ricamati e documenti che testimoniano la storia degli ebrei della Svizzera. In particolare sono esposte importanti stampe ebraiche che raccontano di quanto la città di Basilea nel Cinquecento fosse diventata un importante centro di studi accademici sul giudaismo. L’ebraico veniva insegnato all’Università e le macchine da stampa di Basilea si erano guadagnate la fama mondiale anche grazie alla stampa di scritti ebraici, rigorosamente supervisionati da editori ebrei che, nonostante la loro formale esclusione dalla vita cittadina e l’impossibilità di risiedervi in modo permanente, erano in realtà particolarmente attivi a Basilea. Sempre a proposito di documenti, la collezione comprende anche quelli riguardanti i congressi sionisti qui organizzati nonché le lettere originali di Theodor Herzl.
Passando alla parte archeologica, presso il museo sono anche conservate dieci lapidi provenienti dall’antico cimitero della prima comunità medievale. Sono tra le poche recuperate delle centinaia diventate materiale da costruzione durante i lavori di ampliamento della città. Nel 1398, un anno dopo lo scioglimento della seconda comunità, durante la costruzione di nuove mura della città pare che le pietre funerarie furono impiegate insieme ad altri detriti come materiale edilizio. Lo storico Johannes Tonjola scriveva nel 1661 che passeggiando lungo le mura di Basilea si potevano contare 570 di queste pietre. Sarebbero state ulteriormente profanate nel, quando per aumentare gli spazi e migliorare le condizioni igieniche della città, le mura furono demolite e i detriti utilizzati per riempire il fossato.
Come si è detto, però, il Museo non guarda solo al passato. Ben piantato nel presente e fiducioso nel futuro, accoglie nelle sue collezioni anche oggetti ben più legati alla contemporaneità. Come il talith, lo scialle da preghiera, di Bea Wyler, classe 1951, prima donna a servire come rabbino nell’Europa di lingua tedesca dopo l’Olocausto o, guardando alla vita quotidiana di un passato non troppo lontano, gli oggetti che testimoniano la vita semplice nelle campagne di Endingen Lengnau o ancora, un orologio da tasca di La Chaux-de-Fonds che testimonia l’importanza degli ebrei nell’industria orologiera in Svizzera. Tra le iniziative volte a coinvolgere il pubblico più eterogeneo, il prossimo 14 novembre il Museo ospiterà anche Book People, la prima edizione della Fiera del Libro Ebraico, con la presenza di diversi autori che dialogheranno con il pubblico. Tra gli scrittori ospiti, Derek Penslar dell’Università di Harvard parlerà con Erik Petry dell’Università di Basilea della sua nuova biografia di Herzl, Statesman without a State.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.