Hebraica Parashot
Bereshit nelle parole di rav Riccardo Di Segni

Storie intorno alla lettura della Genesi

Anno nuovo, creazione nuova, verrebbe quasi da dire, un po’ blasfemicamente. Naturalmente, la creazione è sempre la stessa, ma la sua storia si rinnova di anno in anno, tutte le volte che l’uomo la legge. Perché quel principio, quei primi versi di Bereshit, sono così densi di significato che non basta una vita per comprenderli veramente. E perché ogni volta quei libri, quel percorso di parole che compone la Torah, portano il lettore in un posto nuovo. Di sicuro, lo invitano a guardare ciò che già conosce con altri occhi.

E ora, a festività concluse, si ricomincia da lì. Come sempre, come ogni anno: la lettura della Torah infatti è suddivisa in circa 54 parti, per completarla in un anno. “Ma non è sempre stato così”, spiega Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità di Roma, “Esisteva una tradizione che suddivideva la Torah in 150 parashot e il ciclo di lettura durava tre anni. Poi è prevalsa questa suddivisione e ogni nuovo anno si comincia dall’inizio, dalla Creazione”. La divisione su cui ci basiamo oggi e seguita dalle comunità di tutto il mondo è quella stabilita da Maimonide. Alcune pionieristiche comunità reform e conservative americane avevano adottato, all’inizio del XX secolo, il ciclo triennale. E poi ci sono alcune piccole differenze di rito: “C’è chi comincia a leggere Bereshit a Simhat Torah e chi, come noi, a Shabat Bereshit”.

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Quali sono gli elementi che lei, rav Di Segni, metterebbe in risalto nella lettura di Bereshit oggi? “Il concetto fondamentale: in questa lettura affermiamo la nostra fede nel Dio Creatore e il nostro essere creature di Dio. Ma questa lettura ha tanti e tali misteri e difficoltà che la sua interpretazione potrebbe essere sufficiente per un anno intero di lavoro. Ci sono tanti schemi legati a problemi di attualità, che poi l’attualità è tutto. Per esempio la cacciata dall’Eden è uno spunto per riflettere su quale sia il ruolo dell’uomo nel mondo, ma anche sulla relazione tra uomo e donna, senza trascurare di concentrarsi sul rapporto tra narrazione religiosa e scienza“.

Il rapporto tra uomo e donna pone problematiche antiche, ma anche di estrema attualità, connesse anche alla diatriba tra narrazione religiosa e esposizione scientifica. “Ci sono due racconti sulla creazione della donna. Il primo parla di un essere umano inizialmente creato come uomo e donna insieme, una sorta di ermafrodita, che poi si separa; il secondo invece dice che la donna è stata creata dalla costola dell’uomo. Ma i biologi sostengono il contrario, casomai è l’uomo a essere nato dalla costola di Eva… E questo pone delle criticità. Che dal racconto della Genesi discendono coinvolgendo tutto il resto”. Anche i fatti relativi all’ambiente, al punto che il 5780 è stato da alcuni definito come l’anno della teshuvà ambientale… “Ci sono le mode, senza nulla togliere alla questione ecologista. L’ecologia è un tema fondamentale, ma è urgente da un bel pezzo, da quando Londra, un secolo fa, era coperta da una coltre di smog letale e la gente moriva senza sapere perché”.

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Tornando invece ai diversi riti, ci sono altre caratteristiche del rito italiano? “Più che altro ci sono fatti del folklore degli ebrei italiani. Ne racconto uno che mi sembra molto indicativo. Il Hatan Bereshit, colui che è chiamato a leggere Bereshit, si chiama così e il significato di questa parola è sposo. La moglie del Hatan però non può essere chiamata sposa, perché in questo caso la sposa è la Torah. Allora, con un’ardita deformazione linguistica, nel dialetto giudeo-italiano, viene chiamata Hatanessa, esattamente come il femminile di dottore, dottoressa. E c’è un divertente sonetto di Crescenzo Del Monte, il Gioacchino Belli del giudeo-romanesco, che racconta di come la Hatanessa facesse sfoggio di abiti e gioielli in occasione di quella giornata speciale”.

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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