Cultura
Il mondo e la vita secondo Dylan nelle canzoni dell’ultimo capolavoro: Rough and Rowdy Days

Il blues, la poesia e il senso della vita nei nuovi brani del più ispirato e influente cantautore di sempre. Che a 79 anni è sempre un passo avanti rispetto tutti gli altri. Colleghi e non…

È in ansia per le sorti del mondo Bob Dylan. Un’ansia che il cantautore non vede condivisa dalle nuove generazioni, ma che lui ha espresso con forza nella recente ed intensa intervista concessa al New York Times alla vigilia della pubblicazione del suo primo album di inediti dal 2012: Rough and Rowdy Days.

Non sappiamo se questo sarà l’ultimo disco di Dylan (ovviamente speriamo che non sia così) ma questo è veramente l’album di un uomo che si guarda indietro che sente più vicino in senso metaforico ‘attraversamento del Rubicone, è un disco di una intensità speciale, che può pensare e comporre solo un uomo-artista che ha vissuto molto. Moltissimo…

«Abbiamo la tendenza a vivere nel passato, ma questo riguarda la mia generazione”, ha dichiarato al NYT il premio Nobel parlando di uno dei brani del nuovo album, Murder Most Foul: «I giovani non hanno questa tendenza. Semplicemente non hanno un passato, quindi tutto quello che sanno è quello che vedono e sentono, ed è facile fargli credere qualsiasi cosa. Ma tra 20 o 30 anni saranno loro in prima linea…».

Parla di George Floyd Bob Dylan («Mi ha nauseato vederlo torturato a morte, è stato un orrore, spero che la giustizia faccia il suo corso») e anche del Covid 19: «Il precursore di qualcos’altro che sta per venire. Non per forza una piaga biblica, perché questo significherebbe che sul mondo starebbe per  abbattersi un castigo divino. L’estrema arroganza produce però conseguenze disastrose, forse siamo alla vigilia della distruzione. Non saprei, ci sono molti modi per pensare al virus. Io penso che occorra lasciargli fare il suo corso».

Straordinario anche il brano My own version of you, dall’approccio gotico macabro con il poeta di Duluth che manda la protagonista della canzone a fare un tour degli obitori per raccogliere abbastanza parti del corpo femminile da poter costruire una nuova donna, una fanciulla che possa “salvarlo”, qualcuno che provi quello che prova lui. –

Conta sempre molto quello che dice Dylan nelle canzoni e nelle rarissime interviste che rilascia. Conta perché le sue parole così come le sue strofe non sono mai vane. Il premio Nobel incide brani dall’inizio dei 60’s, ha quasi ottant’anni ed una carriera che nessun altra artista contemporaneo potrà mai sognare di avere.

Quella che oggi pubblica Bob è musica fuori dal tempo, e forse questo ancor più bella, musica per chi vuole accendere il cervello ed ascoltare davvero. Le canzoni di Rough and Rowdy Days, fortemente caratterizzate da sonorità blues, non sono per tutti, non sono per arroganti denigratori del valore della cultura, non le può capire chi si informa solo e frettolosamente su uno smartphone.

Prendiamo I contain moltitudes, (il titolo deriva da un poema di Walt Whitman) un meraviglia disseminata di citazioni, un viaggio nel passato tra le infinite contraddizioni di un essere umano (che con tutta probabilità è Dylan stesso). Un viaggio in musica e parole dove compaiono, tra le strofe, Anna Frank, i Rolling Stones, William Blake, Beethoven e Chopin.

Ancora meglio i leggendari 17 minuti di Murder Most Foul, il regalo che Dylan ha fatto al mondo nelle settimane più dure del lockdown. «Era un giorno buio a Dallas, nel novembre del ’63, un giorno che continuerà a vivere nell’infamia. Il presidente Kennedy era in gran forma. Un buon giorno per vivere e un buon giorno per morire, per essere portato al macello come un agnello sacrificale…» recitano le prime strofe che poi si allargano per includere altre visioni d’America e del mondo: i Beatles, gli Who di Acid Queen, Marilyn Monroe, Glenn Frey, Don Henley, Stan Getz, Lady Macbeth e Bud Powell…

Nel segno del blues del Delta del Mississippi è invece False Prophet, con il suo incedere cinematografico noir: «Canto canzoni d’amore. Canto canzoni di tradimento. Non mi interessa cosa bevo, non mi interessa cosa mangio, ho scalato le montagne di spade a piedi nudi» spiega Dylan prima di addentrarsi nella parole forse più autoreferenziali della canzone:  «Non sono un falso profeta, ho appena detto quello che ho detto. Sono qui solo per portare la vendetta sulla testa di qualcuno…». No, non è mai stata un falso profeta Bob Dylan, e in fondo nemmeno un profeta, nemmeno la voce di una generazione. Sicuramente qualcosa di più alto e nobile, qualcosa che a modo suo ha espresso nella lettera inviata all’Accademia svedese che gli ha assegnato il Premio Nobel alla Letteratura: «Come Shakespeare, anch’io mi occupo spesso, del perseguimento dei miei sforzi creativi e mi occupo di tutti gli aspetti mondani della vita. “Chi sono i migliori musicisti per queste canzoni? “Sto registrando nello studio giusto?” “Questa canzone è nella giusta tonalità?”. Quello che invece non ho mai avuto il tempo di chiedermi è: “Ma le mie canzoni sono letteratura?».

 

 

Gianni Poglio

Giornalista, autore, critico musicale. Dopo numerose esperienze radiofoniche e televisive, ha fatto parte della redazione del mensile Tutto Musica e del settimanale Panorama (Mondadori). Conduttore dii talk show per Panorama d’Italia Tour, con interviste “live” ai protagonisti della musica italiana e di dibattiti tra scienza ed intrattenimento nell’ambito di Focus Live, ha pubblicato per Electa Mondadori il libro “Ferdinando Arno Entrainment”


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