Cultura
Che cos’è la colpa? La risposta in una mostra viennese

Il Museo Ebraico della città austriaca propone un interessante percorso artistico intorno al tema

«Piccole mostre su grandi temi». Barbara Staudinger, la direttrice dello Judenplatz Museum, ha così sintetizzato lo spirito del nuovo ciclo di esposizioni presso la sede più piccola del Museo Ebraico di Vienna. Posto nel cuore di quella che era stata la vita ebraica in città, esattamente sopra quella che era stata l’antica sinagoga medievale, e affacciato sul monumento commemorativo di Rachel Whiteread, lo spazio espositivo presenta una nuova serie di mostre, limitate nello spazio ma non certo nelle ambizioni.

La prima è stata inaugurata il 28 marzo, si intitola Schuld, colpa, e affronta le evoluzioni che questo concetto ha avuto nella storia e i modi scelti da religione e società per farci i conti. Da una parte le fedi monoteiste, incentrate sull’ammissione e la confessione, dall’altra il diritto penale come unico arbitro di colpevolezza o innocenza. Il percorso si snoda attraverso opere d’arte e oggetti, illustrando così anche le differenze all’interno delle diverse religioni abramitiche.
Si parte con Eva, protagonista di una drammatica scultura in marmo che mostra una donna nuda che si contorce in terra in preda al pentimento o al dolore. È stata scolpita nel 1909 dall’artista ebrea Teresa Feodorowna Ries, protofemminista che con la sua opera rappresenta non solo l’ingiustizia subita dalla prima donna, ma anche quella di quante vivevano nella società patriarcale di inizio Novecento, ridotte a essere solo corpo soggetto al potere dell’uomo. La presunta colpa di Eva offre uno spunto di riflessione anche sulla diversa responsabilità che le religioni hanno attribuito alla donna nella cacciata dal paradiso terrestre. Colpevole in quanto seduttrice di Adamo per i cristiani, complice e responsabile quanto il compagno perché entrambi dotati di giudizio per gli ebrei, ridotta a personaggio di secondo piano, e quindi solo relativamente colpevole, per i musulmani.
Dalla prima coppia si passa ai suoi figli con la fotografia del 2003 intitolata Cain & Abel dell’israeliano Adi Nes. Nato da una famiglia di origine iraniana, il fotografo ha spesso ritratto figure maschili omoerotiche, in particolare militari e dalla pelle scura, ed è noto per l’accento critico nei confronti della società israeliana. Trattando del primo omicidio della storia, il discorso si sposta in questo caso sulla punizione, con l’assassino che non viene giustiziato ma che è costretto a convivere per il resto dei suoi giorni con il senso di colpa.

E a proposito di coscienza sporca, non poteva mancare un riferimento agli sforzi più o meno leciti fatti dall’uomo per lavarsela. E a quanti, su tale desiderio, ci hanno marciato e mangiato. Compare così in scena una cassa di legno, quella utilizzata dal predicatore domenicano Johann Tetzel per raccogliere i soldi per le indulgenze a favore dei defunti. È alla sua opera che si riferisce il verso riportato da Martin Lutero nelle celebri 95 tesi del 1517: “Quando cade il soldin nella cassetta/l’anima vola al cielo benedetta”.

La seconda sezione della mostra si concentra sull’epoca contemporanea. E su una nuova e diversa percezione della colpa, non più appannaggio dell’artefice del male, ma estesa anche a chi lo subisce. Secondo Hannes Sulzenbacher, curatore del Judenplatz Museum,: «Il nazionalsocialismo ha cambiato radicalmente il modo in cui le persone pensano alla colpa. Ciò non riguarda solo gli autori, ma anche le vittime».

Gerhard Richter, Uncle Rudi

La complessità del tema è affrontata anche qui prevalentemente con opere d’arte contemporanea. Come il prezioso dipinto del 1965 Uncle Rudi di Gerhard Richter, donato nel 1968 dall’artista al memoriale ceco di Lidice e oggi per la prima volta esposto in Austria. Simile a una fotografia sfocata, il quadro ritrae un parente dello stesso pittore, rappresentato come un giovane sorridente vestito con la divisa della Wehrmacht.

Daniel Pilar, Ritratto di Niklas Frank

La colpa come fardello ed eredità ricorre anche nella fotografia che Daniel Pilar ha fatto nel 2017 allo scrittore e giornalista tedesco Niklas Frank. Da sempre impegnato nella damnatio memoriae dei genitori nazisti, in particolare del padre Hans, giustiziato a Norimberga e tra i più stretti collaboratori di Hitler nonché governatore della Polonia sotto l’invasione nazista, Niklas è stato ritratto dal fotografo immerso fino al collo nell’acqua del suo stesso stagno di ninfee, sul cui sfondo si distingue uno spaventapasseri con indosso un cappotto di pelle delle SS.
Dai figli si passa alle vittime e al senso di colpa dei sopravvissuti con l’immagine in bianco e nero di Piotr Ravitz. Fotografato da Adolfo Kaminisky, passato alla storia come falsario di documenti per la Resistenza, l’uomo scampò ad Auschwitz, ma si suicidò solo pochi mesi dopo.

Con un ulteriore cambio di prospettiva la mostra passa infine a indagare sulle colpe apparentemente inconsapevoli. E si interroga su chi debba assumersi le responsabilità di azioni non intenzionalmente cattive ma che hanno finito col portare ad atrocità. Per trattare questo ennesimo aspetto del problema è messo in mostra un pannello campione per i fusibili della fabbrica Dynamit Nobel di Vienna del 1911. Si parla qui di esplosivi controllabili, che hanno cambiato notevolmente il corso della guerra e quindi gli eventi mondiali e ci si chiede chi debba essere messo sul banco degli imputati: l’inventore Alfred Nobel, i produttori o gli utilizzatori? Ultimo spunto (o, se vogliamo, ultima provocazione) giunge da una bottiglia di cobalto. Indispensabile al funzionamento degli smartphone così come delle auto elettriche, questa sostanza viene estratta a costo di sconvolgimenti sociali e conflitti armati. La sua presenza in mostra rende inevitabile la domanda conclusiva: siamo dunque tutti colpevoli?

Schuld, Museum Judenplatz, Vienna, fino al 29 ottobre 2023

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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