Joi in
Che significa essere ebreo? #2

Seconda puntata di un’indagine identitaria. La parola a tre rabbini

Alla seconda puntata della nostra inchiesta su cosa significa essere ebrei, rispondono altri tre rabbini.

Rav Avraham Hazan, inviato del Rebbe di Lubavitch in Italia dal 1979. Rabbino, direttore del Merkos L’Inyonei Chinuch e Coordinatore dei Shluchim Chabad in Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rav Amedeo Spagnoletto, nato a Roma, sofer e docente al Collegio Rabbinico Italiano, è attualmente rabbino capo della Comunità di Firenze.

 

 

 

 

Rav Barbara Aiello, rabbino della Sinagoga Ner Tamid del Sud e fondatrice del Centro culturale ebraico della Calabria, è nata a Pittsburgh, Pennsylvania.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1) Cosa significa essere ebrei? Una definizione “scientifica”

Avraham Hazan: Non esiste un ebraismo religioso, esiste l’Ebraismo! Gli Ebrei sono un Popolo con delle leggi, la Torà, e una terra, Eretz Israel. Ogni ebreo rimane tale a prescindere dal proprio comportamento: dal più osservante al meno osservante, egli rimane profondamente Ebreo.

Amedeo Spagnoletto: La domanda “Chi è ebreo?” fu quella che si posero Ben Gurion e gli altri padri del sionismo agli albori dell’edificazione di uno Stato ebraico nell’allora Palestina del Mandato Britannico. La definizione che dà la Halakhah è molto precisa: è ebreo chi nasce da madre ebrea o chi completa il percorso di conversione.

Barbara Aiello: Ogni settimana ricevo tra le quindici e le venti mail di persone che, dopo aver fatto il test del Dna, hanno scoperto di avere radici ebraiche. La domanda più ricorrente che mi pongono è: adesso che lo so con certezza che cosa dovrei fare? Certo, il Dna dal punto di vista scientifico offre informazioni importanti, ma la questione che si pone è quale uso fare di queste informazioni. Desideri studiare, far parte di un comunità, vuoi convertirti? Io sono aperta a tutti, perché rifiuto l’idea di frapporre ostacoli a chiunque voglia sentirsi ebreo. Questo succedeva ai tempi dell’inquisizione, quando non potevi sentirti libero di essere ebreo apertamente. Io e la mia congregazione non rifiutiamo nessuno, siamo aperti e diamo il benvenuto a tutti, indipendentemente dal background di ciascuno. Siamo pronti a condividere con chiunque la nostra meravigliosa esperienza spirituale.

 

2) Cosa significa essere ebrei per voi: una definizione personale

Avraham Hazan: Essere Ebreo significa cercare di osservare le regole della Torà e delle Mitzvot in un continuo crescendo. Si nasce ebrei, non si è ebrei per scelta; si sceglie soltanto se vivere ebraicamente o meno. Un convertito, che sembra fare una scelta, in realtà nasce spiritualmente Ebreo, solo che per motivi che trascendono la nostra comprensione, ha un’anima che segue un percorso diverso e ad un certo punto sente il bisogno profondo e spirituale di ritornare alla propria essenza naturale per potere seguire la Torà e le Mitzvot.

Amedeo Spagnoletto: Dal punto di vista “tecnico”, come detto sopra, cosa vuol dire essere ebrei è ben definito, mentre dal punto di vista dei sentimenti è lecito e giusto che ciascuno risponda in modo personale, come in tantissime altre cose legate al pensiero, alla religione, al credo. Impossibile pensare di voler imporre con la forza un cambiamento nei sentimenti: quelli sono e devono essere rispettati. Trovo che la domanda adeguata, più che “Cosa vuol dire essere ebreo?” sia “Quali sono le maniere con cui una persona si sente ebrea?”. Vivendo come rabbino in una piccola comunità, mi sono reso conto che sono molte e con diverse declinazioni le maniere attraverso le quali una persona si sente legata all’ebraismo: è un ventaglio di possibilità e se qualsiasi rabbino pensasse di poterle racchiudere esclusivamente nell’osservanza dei precetti, si troverebbe di fronte a un considerevole, ahimé, restringimento della platea. Invece tra gli iscritti alla comunità vediamo che il modo per mantenere l’identità è includere tutti i modi in cui si esprime. Come rabbino, ciò che cerco di fare non è solo accogliere le persone dentro al Tempio, ma anche cercare di avvicinarle prendendo in considerazione i modi in cui vivono l’ebraismo: ci sono ebrei che lo vivono attraverso un impegno nell’osservanza delle mitzvot, altri nell’impegno nella sicurezza, altri tifando per il Maccabi, altri nella cucina… sono tutte quante opzioni per poter mantenere viva la propria identità. Certo, per trasmetterla alla generazione successiva in maniera idonea e corretta bisogna far riferimento ai criteri della Halakhah: su questo non si scappa e perciò bisogna fare le scelte giuste. Trovare un partner ebreo, ad esempio, mi sembra un’esigenza che, se non tenuta in considerazione, andrà a far confliggere all’interno della persona ogni suo buono sforzo per mantenere e trasmettere l’identità con i limiti delle sue scelte di vita.

Barbara Aiello: Per me è un’esperienza spirituale e culturale al tempo stesso. Sono ebrea sulla base di una connessione spirituale con la Torà, sulla base della condivisioni di riti e valori con altri ebrei e mi sento ebrea culturalmente. Le origini della mia famiglia sono spagnole. Ai tempi dell’Inquisizione fuggirono tutti da Toledo verso Lisbona, la Sicilia, la Sardegna, le isole Eolie e la Calabria, in particolare nella zona del Reventino. Le sto parlando da una casa che appartiene alla mia famiglia da più di 400 anni. Io, la mia famiglia e la mia congregazione in questi luoghi siamo parte della cultura sefardita e siamo molto legati alla Neshamà, alla luce nell’anima, qualcosa che non muore mai. Che va oltre le persecuzioni e che ci ha permesso e ci permette di mantenere una luce nell’anima e le nostre tradizioni. Questo è quello che per me significa essere ebrea. Sono cresciuta negli Stati Uniti in un contesto di libertà religiosa, una comunità Jewish molto forte. Ho avuto un’educazione ebraica all’interno di una sinagoga ortodossa. E tutto quello che ho appreso l’ho portato con me qui in Calabria.

 

3) Esistono i “mezzi ebrei” e perché?

Avraham Hazan: No; o si è ebrei o non lo si è.

Amedeo Spagnoletto: Per quanto riguarda la definizione halakhica, torniamo sempre sugli stessi presupposti. Per quanto riguarda una potenzialità al ritorno e ad avere una forte identità, questa è, sotto tutti gli aspetti, una questione di esperienza personale. Se la persona vive in un contesto in cui uno dei due genitori è ebreo, o in cui i nonni sono per metà ebrei, è ovvio che la sua identità sarà in parte ebraica; anzi, a volte questa identità potrebbe essere persino più solida e matura rispetto a quella presente dentro un altro ebreo che invece è lontano dall’ebraismo pur avendo tutte le “carte in regola” dal punto di vista formale. Quindi come definiamo queste persone? Come persone che hanno una forte potenzialità e anche una reale identità ebraica. Sta a loro, nel momento in cui desiderano trasformare questa identità in un ritorno nell’alveo dell’ebraismo ortodosso, completare il percorso attraverso una conversione.

Barbara Aiello: A questo proposito noi facciamo qualcosa di diverso dalle altre congregazioni in Italia. Accettiamo la discendenza patrilineare, sebbene l’approccio tradizionale accetti solo coloro che sono nati da una madre ebrea. Il 15 luglio avremo tre giorni di conversione, arriveranno qui 14 persone da tutta Europa che hanno studiato con me online e che hanno una lontana discendenza ebraica. Il concetto di mezzi ebrei non ha valore dal punto di vista halakhico, ma noi lo usiamo per indicare qualcuno che vive in una famiglia interreligiosa o nasce da un matrimonio interreligioso

 

4) Un ebraismo o tanti ebraismi?

Avraham Hazan: L’ebraismo è uno solo. È come dire: la costituzione italiana è una sola o ce ne sono molte?  Naturalmente, è una sola; così  l’ebraismo, è uno solo. La differenza è che la costituzione è stata stabilita da uomini e quindi in teoria gli uomini possono cambiarla; l’Ebraismo è stabilito dalla Torà, che è stata rivelata da D.io a Mosè, e quindi non può essere cambiato! Nella storia si è sempre fatto riferimento al Popolo ebraico come Popolo del Libro, intendendo la Torà; diversamente non è corretto chiamarlo ebraismo e la storia ce lo ha insegnato.

Amedeo Spagnoletto: Non possiamo celare agli occhi il fatto che la maggioranza di coloro che si dichiarano ebrei oggi si riconosce all’interno di comunità che non sono ortodosse. Pur essendo loro ebrei a tutti gli effetti, nel senso che anche all’interno delle comunità riformate o conservative troviamo ancora oggi una maggioranza di ebrei che potrebbe essere riconosciuta tale anche dalle comunità ortodosse. Tuttavia attraverso le scelte che hanno fatte queste comunità ci si avvia verso una realtà che sarà sempre più composita. Le persone che vi appartengono si dichiarano ebree, continuano la loro esperienza secondo il modello a loro più congeniale e noi non possiamo negare questa identità. Rispetto all’ebraismo ortodosso, certamente in tanti casi i membri di queste comunità non possono essere accolte se non attraverso una conversione. Ma questo non toglie il rispetto, in quanto condividiamo tantissime tradizioni, modi di essere, di fare, di condurre una vita. Penso quindi che ci debba essere un approccio, più che di accoglienza, di condivisione delle parti che ci accumunano.

Barbara Aiello: Mio padre ha sempre sostenuto che c’è una enorme differenza tra la burocrazia ebraica e la spiritualità ebraica. Da un punto di vista ortodosso esiste un solo modo, una sola strada giusta da percorrere. Io penso invece che ci siano diverse strade per essere un buon ebreo. Noi non abbiamo un dogma, ma una sola cosa in cui dobbiamo credere: non fare agli altri quello che ritieni odioso per te stesso. A me piace tenere insieme l’osservanza per la tradizione con la realtà della vita moderna, con le istanze sociali, per esempio. E questo è il modo in cui io vivo e racconto l’esperienza spirituale alla mia congregazione.


14 Commenti:

  1. Articolo molto interessante, sono cattolica apostolica romana, ma trovo molto bello sapere di più sulla religiosità dei miei fratelli maggiori!

    1. Grazie Anna Maria per l’apprezzamento! Pubblicheremo altri approfondimenti su questo tema!

  2. Chiedo a alla rabbanit Aiello come e’ formato il Beth din che esamina coloro che chiedono la conversione Non sono certo rabbini italiani quindi immagino vengano da Europa ,Stati Uniti ,Israele. Altra domanda: il titolo di Conversione e’ valido per l’alya’? Grazie. Franca Eckert Coen

    1. Dear Franca, thank you for your comment and question. Our Bet Din partiicipants consist of ordained rabbis who practice a modern liberal approach to Judaism along with learned Jews and cantors who have roots as “b’nei anusim,” (that is that their ancestors were forced into Christian conversion), We prepare our Jews by Choice to live as Jews in the Diaspora. Some of our converts make aliyah but that is a personal choice and not one that our congregation promotes.

  3. Grazie. Un lavoro molto interessante, ricco di informazioni e spunti di riflessione su una realtà, l’ebraismo, poco conosciuto e spesso oggetto di opinioni e giudizi dettati da superficialità.


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