Mondo
Ciò che rimane della comunità del Kosovo

Progetti per conservare la memoria ebraica nei Balcani

La storia della comunità ebraica nel Kosovo ha inizio nel XV secolo, quando i primi ebrei iniziarono ad arrivare da varie zone dei Balcani scappando alle persecuzioni del Regno di Spagna.
Il sultano Bayezid II accolse all’epoca i profughi ebrei nell’impero Ottomano coinvolgendoli nel commercio del sale. Una comunità dinamica e fiorente che iniziò a diminuire con la conquista del Kosovo da parte della Serbia: se nel 1912 la comunità contava circa 3000 membri, il censimento della popolazione del 1921 ne registrava solo 427.
Dal 1943 il territorio passò alla Germania nazista. 258 ebrei furono imprigionati e trasferiti al campo di concentramento di Sajmiste, a Belgrado, per poi essere trasferiti a Bergen-Belsen, dove 92 ebrei del Kosovo persero la vita.
Dei circa 200 ebrei rimasti in Kosovo dopo la Guerra, molti si trasferirono in Israele, continuando specialmente dopo il collasso della Jugoslavia.

Preservare la memoria della comunità
Durante l’occupazione nazista l’archivio della comunità fu bruciato e mai più ripristinato. Le case furono occupate e le sinagoghe rase al suolo. La storia della comunità, vecchia di cinque secoli, fu praticamente distrutta.
Tuttavia nella strada principale di Pristina, il Boulevard Madre Teresa, una targa ricorda la storia della comunità ebraica della città. Ad oggi, circa 80 famiglie vivono ancora in Kosovo, soprattutto a Prizren.
La capitale Pristina è senza sinagoga: nel 1963 il regime jugoslavo distrusse l’edificio insieme ad altre istituzioni ebraiche.
In un’intervista per il Balkan InsightInses Demiri, una delle fondatrici della Comunità ebraica del Kosovo, ha dichiarato di voler ottenere dei fondi per il ripristino della sinagoga a Prizren.
Gli sforzi di Demiri fanno parte di una sensibilità da parte del Kosovo e di altri paesi balcani di un recupero alla storia delle minoranze e alla memoria collettiva nella zona.
Un esempio è il documentario del 2009, Rescue in Albania, del regista Dardan Islami, con il fine di testimoniare gli sforzi dell’Albania nel proteggere gli ebrei durante la Shoah. Durante la II guerra mondiale, il sindaco di Pristina Hysen Prishtina organizzò una spedizione dal Kosovo all’Albania per dare rifugio a famiglie ebraiche presso famiglie albanesi. Secondo i dati si salvarono così più di 2000 persone.
Un secondo tentativo si è verificato nel 2014, quando l’artista statunitense Elana Katz, con base a Berlino, ha tenuto una mostra a Pristina dal nome Spaced Memory. Il tema centrale era l’assenza di storicità ebraica nei balcani e lo scopo un invito alla memoria spaziale collettiva. Il lavoro di Katz ha avuto luogo per tutta la zona dei Balcani e l’idea centrale fu di usare spazi precedentemente ebraici per le performance.
Il processo stesso della ricerca degli spazi ebraici perduti diventa l’oggetto dell’opera, in quanto le fonti non sono spesso univoche. La performance di Pristina si è tenuta al Boxing Club, che secondo alcuni fu una sinagoga, secondo altri una yeshiva, e secondo altri ancora fu perfino un luogo che non aveva nulla a che fare con gli ebrei. L’edizione a Belgrado si è tenuta invece in un campo da basket nato sulle ceneri di una sinagoga distrutta nel 1950: l’artista teneva una palla da basket nelle mani mentre distribuiva cenere bianca sul campo. L’invito all’evento recitava: “unitevi a me in questa azione, per coprire ciò che è stato coperto per anni, e scoprire ciò che è stato riscritto durante questo tempo”.
Nonostante questi sforzi nel 2018 un Report del US State Department ha criticato le autorità del Kosovo per non aver speso sufficienti sforzi a preservare la memoria ebraica del paese, specialmente nel mantenimento dei cimiteri ebraici come a Novo Brdo, Lipjan, Kamenice. Prizren, Mitrovice, e Gjilan. Anche l’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) è intervenuta sulla questione, stabilendo un progetto di riabilitazione di un cimitero a Pristina. In un discorso di inaugurazione del progetto, la responsabile della UNDP ha dichiarato: “le condizioni atmosferiche e il tempo hanno lasciato il proprio segno sul cimitero, e come risultato, la storia, la memoria, nonché l’identità della comunità sta scomparendo. I cimiteri sono tra le fonti storiche di maggior valore, in quanto rivelano informazioni sugli eventi storici, le religioni, e le genealogie di un luogo”.

Micol Sonnino
collaboratrice

Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.