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Due ebrei tre opinioni: le correnti ebraiche al di là delle apparenze

Conservative, Reform, Ortodossi, Modern Orthodox, … A cosa ci si riferisce quando si parla delle diverse denominazioni nell’Ebraismo? Sono poi così diverse?

L’ebraismo ha sempre conosciuto un elevato grado di pluralismo. Questo elemento è stato però vissuto in modi diversi. La popolare festa di Channukka per esempio, non è solo riferita alla guerra di un gruppo di ebrei contro il potere ellenistico, ma anche contro gli ebrei ellenizzanti, che perseguivano una politica di assimilazione culturale. Da sempre, infatti, uno dei principali problemi dell’ebraismo è stato quello di mediare fra la necessità di conservazione e stabilità, tipica di ogni cultura religiosa, e il bisogno di un rinnovamento che permettesse alla cultura stessa di non diventare obsoleta a causa delle mutazioni sociali e storiche. Un classico esempio di questo fu l’opposizione fra Sadducei e Farisei alla fine dell’epoca del Secondo Tempio. Secondo Giuseppe Flavio “I sadducei hanno il loro appoggio solo tra i ricchi, e il popolo non li segue, mentre i farisei hanno il popolo come loro alleato.” (Antichità ebraiche 13.298). I sadducei erano infatti una forma di élite aristocratica sacerdotale molto conservatrice. I farisei invece contavano fra i loro seguaci molta gente che svolgeva umili professioni e senza ascendenze particolarmente nobili, ma che si concentrava sullo studio e sulla pratica religiosa con grande rigore.
Diversi studiosi hanno mostrato come dal punto di vista sociale, ma anche religioso e legale, la differenza ricalcasse in modo abbastanza fedele quella fra patrizi e plebei nella società romana, che era quella dominante all’epoca (cfr. Louis Finkelstein, The Pharisees: The Sociological Background of Their Faith). Pur considerando il tempio di Gerusalemme come una realtà di grande importanza, i farisei elaborarono una tradizione orale molto più ardita e innovativa, forse anche perché sentivano che l’epoca del tempio e dei sacrifici stava per concludersi. I sadducei scomparirono nel nulla poco dopo la distruzione del tempio, e da allora tutti i generi successivi di ebraismo, compresi quelli moderni, non possono che dirsi neo-farisaici.

Vi è poi l’aspetto etnico/geografico, che rese necessario un adattamento di leggi e costumi a tradizioni locali. Abbiamo quindi una versione del Talmud detta di Gerusalemme, e una più completa babilonese. Si svilupparono diverse tradizioni sia esegetiche che legali. Per questo quando parliamo dello Shulchan Aruch, uno dei più importanti codici di legge ebraica, non ci riferiamo a un libro, ma alla combinazione di due testi. Il primo, che si riferiva alla tradizione sefardita,fu scritto da Yossef Caro (Toledo, 1488 – Safed, 1575), il secondo da Moshe Isserles (Cracovia, 1520 –1572), che indicava i punti in cui gli usi ashkenaziti differivano. Ancora oggi i sefarditi si basano sul primo, gli ashkenaziti sul secondo.

L’ebraismo moderno ha dovuto misurarsi con la nuova realtà sociale dell’emancipazione, il cui risultato forse più importante fu quello di trasformare l’appartenenza all’ebraismo in una scelta volontaria. A quel punto il grande dilemma dell’ebraismo divenne quello di capire in quale misura fosse possibile all’ebreo di restare fedele alla sua appartenenza identitaria, nazionale e religiosa, senza mancare però di rispetto e di fedeltà ai suoi doveri di cittadino.

Diversi approcci furono proposti dalle autorità religiose, e tali approcci si cristallizzarono in movimenti ebraici differenti, che schematizzeremo, per chiarezza, mostrando prima le posizioni  estreme, e solo in seguito quelle centrali. Chiarendo che questa analisi è necessariamente imprecisa e parziale, vista la grande complessità del fenomeno, e quindi scusandoci per le inevitabile approssimazioni. La visione che viene spesso evocata dei vari movimenti ebraici è infatti spesso errata, e vi sono informazioni di notevole importanza che sono sconosciute alla maggioranza degli ebrei, in particolare riguardo alle sfumature interne di ogni corrente (penso, per esempio, all’esistenza di donne rabbino all’interno dell’ortodossia ebraica). Senza contare che, come in ogni istituzione, vi è una differenza fra le intenzioni dichiarate e la realtà interna, o fra le idee dell’élite pensante e quelle della “base”. Chi scrive ha un’esperienza diretta di dialogo e di lavoro pluriennale coi responsabili rabbinici e laici di diverse correnti ebraiche, che lo portano a conoscere non solo il lato ufficiale, ma anche quello reale, talvolta sommerso ma per questo decisamente interessante, di questi mondi.


Due estremi: ultra-ortodossi e ultra-liberali.
Passiamo quindi a una succinta analisi.

Da un lato abbiamo gli ultra-conservatori, la cosiddetta ultra-ortodossia che non fa concessioni alla modernità, e che continua a immaginare una vita ebraica autarchica, in cui l’interazione pratica e culturale col mondo non ebraico è ridotta al minimo, e spesso vissuta con grande disagio. Espressioni di questo disagio si ritrovano anche nella volontà di evitare riferimenti a espressioni culturali e religiose non ebraiche, in modi che talvolta possono apparire folkloristici ma che possono avere conseguenze più serie. Esponenti di questo tipo di ebraismo, in un paese come l’Italia non nomineranno neppure una piazza contenente l’espressione “Santo”, per esempio San Babila, ma diranno piuttosto “Sbabila”. Questo può far sorridere, ma una conseguenza, più inquietante, è quella che si verifica quando nelle scuole ebraiche si vieta ai ragazzi l’accesso alle chiese nel corso di viaggi e gite culturali, o quando, come in certe scuole ebraiche, i responsabili religiosi ordinano agli insegnanti “laici” di cancellare manualmente la parola “chiesa” nei libri di lettura per bambini, sostituendola a mano con “monumento”. Di fatto questo tipo di ebraismo vive in una situazione costante di auto-protezione e conservazione attraverso l’isolamento.

All’estremo opposto troviamo gli ultra-liberali, che considerano l’ebraismo come una cultura e una tradizione, ma senza nessun elemento di tipo obbligatorio, per cui ogni ebreo (rabbino o no) ha il diritto totale di scegliere in piena libertà qualsiasi cosa gli interessi all’interno del vasto patrimonio ebraico, senza limite alcuno, o di trasformare a piacimento qualsiasi aspetto della vita ebraica per farlo corrispondere a quello che crede. In tale prospettiva, nulla di scioccante nel considerarsi per esempio ebreo ma contemporaneamente anche buddista o altro (si tratta di un fenomeno in grande crescita), o nel voler sposare una persona ebrea con un rito misto a cui parteciperanno più ministri di culto di diverse religioni, cerimonia che molti rabbini appartenenti a quest’area celebrano con gioia. Se la grande apertura di questo movimento è spesso seducente per l’ebreo moderno desideroso di una sempre più grande integrazione, il risultato può essere talvolta quello di uno strano sincretismo, per esempio l’elaborazione di feste come ChrisMukka, unione di Christmas e Channukka dove alberi di Natale e luci di Hanuccà si fondono per la gioia di molti e l’imbarazzo di alcuni.

Desidererei soffermarmi un istante su alcuni aspetti. Anche se ho voluto sottolineare aspetti estremi, di queste correnti ebraiche, è innegabile che esse sono espressioni di volontà non prive di interesse, e pienamente comprensibili. Nella chiusura di certi movimenti ebraici vi è l’espressione di un timore nei confronti di tutto ciò che potrebbe indebolire la struttura tradizionale ebraica, e anche se questo aspetto è portato a livelli estremi, non dobbiamo dimenticare che l’ebraismo rimane una cultura minoritaria e fragile, che non va solo coltivata, ma anche protetta da una sorta di diluzione.
D’altro canto, l’apertura di un certo ultraliberalismo, si basa sull’idea che, dal momento che essere ebrei è diventato una scelta a partire dall’Emancipazione, qualsiasi elemento che un ebreo scelga di mantenere o incorporare nella propria vita costituisce comunque un punto positivo. Se desidera una presenza rabbinica al proprio matrimonio misto, o delle luci di Hanuccà sull’albero di Natale, esprime comunque un anelito alle sue radici ebraiche, ed è possibile, un quest’ottica ultraliberale, riconoscere un aspetto positivo in questo. Un’altra cosa che va sottolineata è che oggi la maggior parte degli ebrei di fatto seguono questa via ultraliberale, anche molti cosiddetti “ortodossi non osservanti”, ossia ebrei che per diverse ragioni frequenterebbero solo luoghi ebraici ortodossi, ma la cui pratica è di fatto ultraliberale.

 

50 sfumature di Ebraismo.
A questo punto, è opportuno passare alle correnti “interne”, che sono spesso più sfumate e complesse. In quest’area troveremo i movimenti Reform, Conservative/Massorti e Modern Orthodox, che hanno fra loro considerevoli differenze, ma che costituiscono una sorta di “centro”, ognuno a modo suo.

 

Ebraismo Reform, cosa sappiamo?
L’ebraismo Reform, sviluppatosi in Germania e negli Usa a partire dal XIX secolo, propone un adattamento piuttosto radicale alla modernità, ma sforzandosi di mantenere la struttura tradizionale della liturgia e dell’osservanza, con una notevole differenza però. In questa corrente la legge ebraica perde il proprio carattere obbligatorio, e di fatto viene considerata soprattutto come una serie di usanze tradizionali, che possono essere adattate alle esigenze individuali e moderne con una certa facilità. L’autonomia di scelta individuale è considerata un elemento fondamentale in tal senso. Va sottolineato che spesso in tale movimento i rabbini mantengono un certo rigore, ma il fatto di uscire dalle categorie tradizionali della vita ebraica come responsabilità obbligatoria (che è la traduzione più corretta del termine ebraico Mitsvà) trasforma ogni scelta ebraica in qualcosa che l’ebreo può decidere o meno di adottare. Ciò che avviene è, purtroppo, quello che gli ebrei ortodossi spesso criticano in questa corrente, ossia che molti scelgano questo ebraismo per facilità, e per non sentirsi troppo in colpa qualora la propria vita ebraica non sia coerente o esemplare. Anche se questo non è quanto le autorità religiose Reform vorrebbero, la tendenza in tal senso è chiara e difficilmente negabile. Se l’ebraismo Reform delle origini soppresse una gran parte degli elementi della tradizione ebraica (leggi alimentari, circoncisione, uso della lingua ebraica nella liturgia, anelito al ritorno a Sion…), vi è stata poi una fase di rielaborazione nella seconda parte del XX secolo, in cui il movimento ha adottato forme e contenuti molto più tradizionali, sia nella liturgia che in altri campi, come per esempio l’atteggiamento nei confronti del sionismo. Le frange che all’interno di questo movimento non condividevano tale ritorno alla tradizione, costituiscono fondamentalmente quell’ultraliberalismo descritto sopra. In modo generale però, una delle caratteristiche di questo movimento (animato anche da istanze senza dubbio positive e costruttive) è uno sguardo molto critico e diffidente nei confronti dell’osservanza tradizionale, che comporta in pratica un reale scoraggiamento di forme tradizionali di rispetto dello Shabbat, della Kasherut, o di altri aspetti della vita ebraica.

Contrariamente poi a quanto spesso si creda, e contrariamente anche alle posizioni “ufficiali” del movimento Reform, non tutte le sinagoghe Reform sono paritarie, in una minoranza di esse infatti le donne non contano nel Minian né montano alla Torà. Nella corrente Reform vi sono poi frange più tradizionaliste, di fatto vicine alla tendenza Massorti/Conservative, e altre più liberali, in cui assistiamo a notevoli modifiche liturgiche, e una progressiva relativizzazione dell’importanza di elementi religiosi considerati centrali per altre frange del movimento, come la circoncisione obbligatoria.

 

La reazione alla Riforma: il movimento Conservative/Massorti
L’ebraismo Conservative/Massorti (il primo nome è utilizzato negli USA, il secondo nel resto del mondo) nasce nel XIX secolo come reazione alla Riforma e ad alcuni suoi aspetti giudicati eccessivi. Fra questi, l’abbandono della lingua ebraica nella liturgia (che la Riforma ha reintegrato poi progressivamente negli ultimi decenni, ma che usa spesso in alternanza alla lingua vernacolare), e del carattere obbligatorio della Halachà, la legge ebraica, che i rabbini del movimento Massorti considerarono come un’espressione fondamentale dell’ebraismo, ma con una componente evolutiva da sempre presente che poteva essere sfruttata per adattarla almeno in parte alla modernità. Con la differenza che, se nella Riforma la legge ebraica diventa soprattutto un elemento culturale suscettibile di cambiamento con una certa facilità, teoricamente nel movimento Massorti vi sono dei limiti, perché il fatto che alcune leggi possano essere modificate dipende dal fatto che vi siano precedenti, oppure opinioni minoritarie ma comunque presenti nella storia del diritto ebraico. Non tutte le modifiche desiderate sono quindi possibili, perché alcune leggi non possono essere cambiate per diverse ragioni di diritto ebraico, e il carattere obbligatorio della legge ebraica resta intatto. In tal modo si mantiene una maggiore continuità con l’elemento tradizionale. Questo almeno teoricamente. Una battuta spesso ascoltata è quella che definisce l’ebraismo Massorti/Conservative come un movimento con rabbini ortodossi e fedeli Reform, il che è spesso corrispondente a realtà. Senza contare che talvolta la ginnastica intellettuale utilizzata dal rabbinato Massorti/Conservative per giustificare alcune scelte legali appare come molto forzata. Questo può far talvolta pensare che la semplice pratica Reform di sopprimere o modificare sostanzialmente alcuni usi perché poco inaccettabili dal loro punto di vista, senza altre giustificazioni, sia in un certo senso più onesta e coerente. Certo però, il fatto che il rabbinato Massorti/Conservative si dedichi con grande energia alla difficile opera di giustificare legalmente alcune innovazioni seguendo la struttura tradizionale della legge ebraica, garantisce un certo rigore dal punto di vista intellettuale e religioso.
Lo stretching halachico di alcune frange del movimento Massorti ha però portato a secessioni e scismi. Negli anni ’60 un’ala più liberale costituita dai seguaci del rabbino Massorti MordekhaiKaplan crearono un’ulteriore denominazione, l’ebraismo ricostruzionista (non si trattava solo di un maggior liberalismo, ma anche di un’impostazione teologica profondamente diversa). Più tardi, negli anni ’80, una frangia rabbinica più conservatrice che contava fra i suoi principali esponenti il grande talmudista David Weiss Halivni, scontenta dell’impostazione sempre più liberale del movimento Massorti, si separò dal movimento per costituire l’Union for Traditional Judaism. I temi su cui il conflitto era, ed è ancora, più forte, erano quelli della parità fra uomini e donne nel rito, la posizione nei confronti dell’omosessualità, e un atteggiamento eccessivamente liberale del movimenti nei confronti di innovazioni liturgiche significative.
Anche il movimento Massorti/Conservative non è quindi esente da paradossi. Se di fatto ammette il rabbinato femminile, non tutti i suoi responsabili laici in pratica accetterebbero una donna rabbino nella loro comunità, e questo in particolare in Europa. Di fatto, le frange più liberali di tale ebraismo corrispondono a posizioni praticamente uguali a quelle dell’ebraismo Reform più tradizionalista, mentre quelle più tradizionaliste si apparentano all’ortodossia moderna, come vedremo.

 

Ortodossia sì, ma moderna
L’ortodossia moderna, presente soprattutto in Israele e negli USA, tenta di coniugare un rispetto profondo della Halachà tradizionalmente intesa con un’apertura filosofica alla cultura non ebraica e alle scienze. Si tratta di un movimento che conosce anch’esso un certo pluralismo piuttosto ampio, giacché al suo interno si trovano atteggiamenti aperti a notevoli riforme halachiche, specie riguardo al ruolo femminile. In tali frange più moderniste all’interno della corrente si incoraggia per esempio la formazione di minianim femminili, o la partecipazione attiva di donne per condurre alcune fasi del culto sinagogale. Inoltre, negli ultimi anni, alcuni istituzioni facenti parte di questa corrente (Yeshivat Maharat a New York, Machon Hartmann a Gerusalemme) hanno esteso la possibilità dell’ordinazione rabbinica alle donne, un cambiamento storico che chiaramente non è stato accolto con benevolenza in altri ambiti ortodossi, ma che è un segno della vitalità di questa corrente e dei suoi sforzi per misurarsi con le sfide del nostro tempo. Di fatto quindi possiamo dire che le frange più moderniste di tale movimento si confondono con quelle più tradizionaliste della corrente Massorti/Conservative. E, paradossalmente, osserviamo che, laddove in alcune frange minoritarie del movimento Reform e Conservative/Massorti l’idea di una donna rabbino non è davvero accettata, tale opzione è contemplata in alcune frange, anche se minoritarie, dell’ortodossia moderna.

 

Mi pare opportuno citare anche l’ebraismo umanista laico, che però ha una natura profondamente diversa perché i movimenti di cui ho parlato finora sono tutti movimenti religiosi, nonostante le notevoli divergenze fra di loro.

 

A quanto detto va aggiunto che ogni movimento comporta diverse istituzioni sia laiche che religiose e, fra l’altro, diversi tribunali rabbinici (battè din). Tali tribunali rabbinici hanno orientamenti diversi, spesso anche all’interno della stessa corrente, e questo genera talvolta notevoli difficoltà. Tali problemi vanno al di là di aspetti noti, come per esempio il fatto che nell’ortodossia gli atti religiosi del rabbinato non ortodosso non siano riconosciuti. Intanto questo non è sempre vero, perché vi sono casi in cui in cui determinati atti religiosi compiuti da rabbini non ortodossi notoriamente rigorosi e osservanti sono stati riconosciuti anche all’interno dell’ortodossia. Di contro invece, piuttosto spesso alcuni atti religiosi non vengono riconosciuti all’interno dello stesso movimento di cui faceva parte il tribunale rabbinico che li ha effettuati. Spesso conversioni ortodosse non sono accettate da altri tribunali rabbinici ortodossi, talvolta perché alcune istituzioni reputano altre istituzioni non sufficientemente ortodosse, ma talvolta anche per ragioni esclusivamente politiche. Incidenti simili avvengono regolarmente all’interno di tutti i movimenti ebraici, in considerazione delle diverse sfaccettature presenti all’interno. Nel movimento Reform, per esempio, vi sono molte sfumature nei confronti del riconoscimento della patrilinearità, per cui in alcune frange del movimento di fatto viene accettato come ebreo chiunque abbia un’ascendenza ebraica paterna, mentre in altre viene richiesta una conversione, anche se molto agevolata perché considerata una sorta di ritorno. Questa e altre notevoli differenze comportano confusioni e creano spesso problemi, perché accade che alcune persone cambiando sinagoga o città scoprono nella loro nuova comunità regole diverse da quelle della comunità precedente, e questo anche all’interno dello stesso movimento. Talvolta, in qualsiasi movimento, questo avviene anche nella stessa comunità se un rabbino più liberale è sostituito da uno più tradizionalista, o viceversa.


Delle differenze insuperabili?
Questa mappa pluralistica del mondo ebraico suscita una serie di riflessioni. L’esistenza di una tale varietà di orientamenti comporta inevitabilmente delle problematiche, che abbiamo evidenziato. Come accade per qualsiasi analisi, una visione più dettagliata provoca anche necessariamente una maggiore coscienza dei limiti e delle debolezze che sono comuni a ogni istituzione. Ma sarebbe ingiusto fermarsi a questo. Questa situazione è anche espressione della grandissima vitalità presente nell’ebraismo contemporaneo. Ognuna di queste sfumature, in questa sede semplificate in modo estremo, corrisponde a uno sforzo reale per rendere possibile e accessibile all’ebreo del nostro tempo un certo grado di vita ebraica in un mondo che tende a fagocitare tempo ed energie.
Certo però, lo abbiamo visto, questo pluralismo ha anche un costo in termini di confusione e disordine anche riguardo ad aspetti fondamentali, come per esempio la comprensione di chi è ebreo, o di quali sono i doveri fondamentali di un ebreo responsabile. Nell’esercizio del mio rabbinato incontro regolarmente ebrei perplessi e confusi da quello che viene percepito come un disordine. Il problema dell’esistenza di diversi movimenti chiaramente delineati è il rischio di un’accentuazione di questo disordine, a causa dei disaccordi presenti all’interno dei movimenti stessi, oltre che all’esterno. Quel che in origine sarebbe concepito per fare chiarezza, ossia la costituzione di un movimento, di fatto spesso non perviene a farlo, e diventa anzi fonte di ulteriori divisioni. Tutto ciò tende a esacerbare un individualismo già esasperato nella società moderna, creando degli ebraismi à la carte che finiscono poi per lasciare molti individui insoddisfatti. E’infatti noto che l’essere umano ha tendenza a desiderare sempre di più, di conseguenza se nove elementi su dieci vengono adattati per compiacerlo, esso diverrà molto intollerante se non potrà avere anche il decimo, anzi molto più che se nessuna concessione fosse stata fatta in partenza. Questo tipo di mentalità provoca scismi, scissioni e spaccature in tutto il mondo ebraico. La famosa barzelletta dei due ebrei con tre opinioni. Chiaramente l’aspetto politico ha un ruolo in questo processo, perché il fatto che semplici correnti culturali o religiose si organizzino in istituzioni con un’indipendenza organizzativa, politica ed economica, crea spesso situazioni in cui l’interesse del movimento, e le questioni di potere tipiche di queste situazioni, divengono priorità. Per questa ragione oggi siamo in grado di dialogare con le altre religioni, ma abbiamo un’impossibilità di dialogo all’interno dell’ebraismo stesso.

 

Dal punto di vista di chi scrive, la libertà individuale e di coscienza è una conquista irrinunciabile della modernità, ma è comunque fondamentale lottare contro il disorientamento e l’alienazione generati da un’esasperazione del margine di scelta. Dobbiamo sempre considerare il fine ultimo, che è quello di mantenere un ebraismo vivo ma coerente, articolato ma solido, in modo tale da poter resistere a un’assimilazione rampante che sta erodendo la cultura ebraica. Il fatto che molti ebrei oggi considerino la loro corrente ebraica come più importante dell’ebraismo stesso è a mio modesto avviso problematico. Mi è capitato varie volte di ascoltare da parte di leader religiosi affermazioni come “quando io parlo di ebraismo liberale, per me “liberale” è scritto maiuscolo, “ebraismo” minuscolo”. Tale genere di visione è presente in molte espressioni ebraiche. Questi campanilismi possono facilmente divenire forme di moderna idolatria, idolatria del sé e delle proprie convinzioni. La letteratura ebraica chiama l’idolatria avodà zarà, letteralmente “lavoro disperso”, perché provoca dispersione di energie di attenzione distraendo dal centro per attirare l’attenzione su dettagli, e trasforma il mezzo in un fine. Avremmo invece bisogno di punti di riferimento condivisi, e forse dovremmo lavorare meglio per trovarli. La parola Tsion, prima di indicare un luogo preciso, significa punto di riferimento. Nella Haggadà di Pésach diciamo che i figli di Israele furono liberati perché erano rimasti metsuyanim (dalla stessa radice della parola tsion, appunto), ossia avevano mantenuto i segni, i punti di riferimento comuni, che li avevano aiutati a non perdere di vista i punti essenziali.

Forse, affinché ciò avvenga, sarebbe necessario arrivare al superamento di un ebraismo articolato in correnti e movimenti distinti e organizzati, con le inevitabili logiche “di parte” che questo genera. Un ebraismo che, pur articolandosi in modalità diverse, possa distinguersi non attraverso etichette che troppo spesso celano un vuoto di sostanza, ma per le sue capacità di proporre contenuti di qualità, al di là di ideologie e dogmatismi di ogni tipo. Un ebraismo che sia prima di tutto, per l’appunto, ebraismo.

 

Haim Fabrizio Cipriani
Rabbino presso la Comunità Etz Haim

Haim Fabrizio Ciprianiè rabbino e musicista.

Svolge il ministero rabbinico in Italia presso la comunità da lui fondata Etz Haim, unica comunità ebraica italiana associata al movimento Massorti/Conservative, e in Francia presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier. È autore di diversi saggi a tema ebraico editi da Giuntina e Messaggero.

In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche.


3 Commenti:

  1. E’ stato oltremodo interessante leggere questo articolo,ma piuttosto “deludente”, (non è questo il termine più appropriato ma ora non mi viene in mente altro), nello scoprire quante differenze esistono all’interno, fin’ora la mia conoscenza si fermava a poche correnti tra i riformati e gli ortodossi…… In una cultura così estremamente individualista penso si dovrebbe cercare di essere più uniti. Per poi chi come me sta cercando di operare una conversione e tornare così all’origine, è difficile muoversi tra una corrente e l’altra. Condivido pienamente il suo pensiero ” affinché ciò avvenga, sarebbe necessario arrivare al superamento di un ebraismo articolato in correnti e movimenti distinti e organizzati, con le inevitabili logiche “di parte” che questo genera. Un ebraismo che, pur articolandosi in modalità diverse, possa distinguersi non attraverso etichette che troppo spesso celano un vuoto di sostanza, ma per le sue capacità di proporre contenuti di qualità, al di là di ideologie e dogmatismi di ogni tipo. Un ebraismo che sia prima di tutto, per l’appunto, ebraismo.”

    1. Gentile Silvia Pellegrini,
      La ringrazio per il suo commento. L’unico problema di quanto da me auspicato e da lei citato, ossia il “superamento di un ebraismo articolato in correnti e movimenti distinti e organizzati”, è che questo equivale alla costituzione di una ulteriore corrente ebraica, il cui fine sarebbe appunto quello di proporre tale ebraismo, che negli USA è chiamato “post-denominational”. Di fatto è quanto mi propongo di fare io, ma mi rendo conto del paradosso inerente alla cosa, e lo assumo.
      Cordialissimo Shalom,
      Rav Haim Cipriani
      http://www.etzhaim.eu

  2. Carissimo Haim,
    la lettura di questa riflessioni è molto interessante per approfondire aspetti che aiutano a comprendere sempre più profondamente il “mistero” del Popolo Ebraico. Sono convinto che l’Ebraismo non sia una religione e tanto meno religione del libro perché, penso, che sia la storia del futuro che deve accadere e accadrà mentre accade (concetto dello Zikkaròn). Allo steso tempo mi pare di poter dire che le religioni tradizionali siano superate e bisogna trovare una forma che, senza rinnegare il passato, possa gustare il presente con lo sguardo volto al futuro, cioè alla terra della promessa. Oggi c’è nel mondo e in ogni persona un bisogno immenso di spiritualità non come dimensione staccata dalla vita, ma come pienezza di vita.
    Il cristianesimo, latinizzatosi, ha abbandonato del tutto il suo ambiente vitale che è l’ebraismo e per questo, a mio parere, ha perso anche la possibilità di comprendere all’80% lo stesso messaggio dell’ebreo Gesù. Occorre liberarsi (o accettare di essere liberati – senso dell’esodo – da qualsiasi pre-comprensione, ideologia, esclusivismo, perché ognuno di noi si costruisce il ghetto su misura. Accettare di essere finiti (basàr – carne mortale/fragile) e non presumere di avere l’esclusività della verità è il primo passo verso il nuovo mondo che è già cominciato, ma forse non vogliamo accorgercene. Grazie Rav Haim perché imparare sempre di più è la misura del limite nostro, ma anche la nostra speranza di diventare migliori ascoltando gli altri. Un abbraccio
    Paolo Farinella, prete


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