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Essere ebrei adolescenti a Milano

Piccola inchiesta condotta da una liceale della scuola ebraica di Milano tra i suoi coetanei

“Che cosa significa essere ebreo/a per te?” E’ stata questa la domanda principale che ho posto ad alcuni amici, che mi hanno aiutato a farmi un’idea più precisa riguardante i pensieri di noi ragazzi sulla nostra religiosità. Il mondo ebraico è incredibilmente sfaccettato ed attribuisce grande importanza alle generazioni future. Secondo noi, adolescenti, ma già adulti per la religione, essere ebreo/a significa rispettare delle tradizioni, avere dei valori etici e morali ed appartenere ad un’enorme famiglia, una comunità di persone unite dall’unico filo conduttore che è la Torah ed i suoi precetti. Sì, perché a pensarci bene oltre a questo non c’è tanto in comune tra un ebreo libanese, uno italiano o uno tedesco. Le tradizioni, le usanze, i riti sono diversi, ma riusciamo comunque a sentirci parte di qualcosa di grande e meraviglioso, perché siamo un popolo, abbiamo questo grande spirito di appartenenza che indifferentemente dall’osservanza è presente, e va oltre la religione. Ebraismo è calore famigliare, identità e responsabilità. Siamo tutti diversi, con storie ed educazioni differenti.

Siamo stati tutti d’accordo sul fatto che spesso si avverte un po’ di imbarazzo nell’approccio con i nostri coetanei di altre religioni, forse perché non se ne parla tanto, a causa di un po’ di ignoranza generale e per la paura del giudizio. Purtroppo, spesso, è proprio chi non conosce che si permette di parlare di un argomento, risultando a volte offensivo ed ostile, adottando soprattutto la tecnica “dell’ironia”, che “massì dai non fare quella faccia, stavamo solo scherzando!”. È emerso anche il peso del giudizio tra di noi, ragazzi con stili di vita e pensieri differenti, che può capitare ci faccia sentire in difetto o meno inclusi. È invece così appagante il confronto schietto, la diffusione di un po’ di conoscenza in più, anche su cose che magari vengono ritenute ovvie ma che alla fine così ovvie non sono. Sono fondamentali il rispetto e la curiosità per ciò che non conosciamo bene, per evitare di parlare a sproposito.

E poi ci sono gli aspetti più specificamente ebraici e che, in questo confronto con i miei coetanei, a volte sono risultati poco entusiasmanti, soprattutto alcune regole, che nella società in cui viviamo sono restrittive, prime fra tutte quelle sul cibo, altri invece sono stati definiti belli e gratificanti, come le festività e lo Shabbat. Le feste sono fonte di gioia e serenità e ci permettono di rivivere la nostra storia, passando del tempo con le nostre famiglie ed adempiendo alle mitzvot. La Torah è basata sull’amore verso il prossimo, una religione del fare e del dare, che rafforza sempre molto i rapporti tra le persone e il sentimento di comunità, grazie all’aiuto reciproco e alla condivisione dei precetti di D-o. Non importa quanto una persona sia osservante, o sia profonda la sua fede, il rapporto tra essa ed il Signore è personale e, sebbene, ci siano spesso discussioni e diverbi d’opinioni, trovo che sia proprio questo il bello dell’ebraismo: la varietà di interpretazioni e dei modi di sentirsi ebrei.

Abbiamo parlato, inoltre, del nostro rapporto con Israele, ognuno sente un legame più o meno forte, che però è presente in tutti, e che viene considerato come un posto in cui è possibile “sentirsi a casa”, trovare rifugio e comprensione. È un luogo speciale, con un’aria diversa, che si percepisce subito, anche solo passeggiando tra le vie piene di vita; offre opportunità soprattutto per i giovani, di studio ed esperienze umanistiche ed ha un significato profondo in tutti noi, da tutti punti di vista.

Infine, abbiamo parlato dell’importanza della scuola ebraica , su cui naturalmente ci sono stati pareri opposti; chi è convinto che sia assolutamente necessaria per crescere con consapevolezza e chi invece pensa che per mantenere la propria fede e religiosità non sia indispensabile, ma sia necessario partecipare attivamente alla vita ebraica della propria comunità, insieme all’insegnamento da parte dei genitori. Personalmente, penso che la scuola ebraica sia estremamente rilevante sull’educazione religiosa e che sia nostro compito preservarla. Questo per far sì che i giovani sviluppino il loro senso di appartenenza e la loro cultura, basati su solide fondamenta e princìpi, sostenendo anche la propria comunità. Ciò nonostante credo dipenda tanto dalla volontà, perché conosco ragazzi che hanno preferito frequentare altre scuole, ma che riescono ad avere un bellissimo rapporto con la loro fede e che anzi, sia stato incrementato da questa esperienza diversa. Poiché spesso si vive la propria quotidianità con gli amici, non parliamo tanto di argomenti religiosi, proprio perché li viviamo abitudinalmente, più che altro ci confrontiamo su cose pratiche come la kasherut e come abbiamo passato le feste, e riserviamo le discussioni più profonde ai ritrovi dei movimenti giovanili ed alle lezioni di ebraico ed ebraismo. In conclusione, sono dell’opinione che in questo periodo di costante crescita, sia normale avere opinioni contrastanti e facilmente mutevoli, e che da ogni cosa possano nascere interessanti spunti di riflessione e confronto reciproco.

Ghila Schreiber


3 Commenti:

  1. Una osservazione che viene da tempi lontani. Quando io frequentavo il liceo (1958/63) i ragazzi ebrei non avevano ancora a disposizione la sede di Sally Meyer e frequentavano quindi gli istituti pubblici (dove, peraltro, si andava a scuola anche il sabato). I mie compagni di liceo si chiamavano Jona, Gerbi, Jarach…. Il rapporto era molto “normale” :intendo dire che nessuno ci faceva caso.
    Se ci si trovava a far merenda insieme, si evitava serenamente il prosciutto… e morta lì. Ritengo che questa naturale non separatezza fosse un elemento assai positivo.

  2. Mon fils et famille est à Milan avec mon petit fils âgé de 7 ans.
    Quelles activités avez vous pour cet âge ?
    Vous pouvez aussi me répondre en Italien et en Anglais
    Merci
    Cdlt F Moritz


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