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Gli ebrei non devono più avere paura a visitare le chiese

Le fonti ebraiche dicono in più passaggi che la vicinanza con i rituali pagani e l’idolatria deve essere evitata. Eppure molto sono le personalità e autorità della storia del pensiero ebraico che hanno permesso l’ingresso nelle chiese per godere delle loro opere.

di JEREMY ROSEN, opinionista per The Algemeiner

 

Mio zio Henry mi fece conoscere il Requiem di Verdi quando ero adolescente, e da allora ho una passione per la musica cristiana. Certo, non conosco la teologia. Posso ripetere il testo in latino, ma per me le parole non hanno più significato del canto degli uccelli. In questo periodo dell’anno mi ricordo quando, qualcosa come 50 anni fa, degli amici mi portarono in una chiesa di Gerusalemme ad assistere a una Messa di Mezzanotte (i presenti erano in maggioranza israeliani e, come me, stavano in disparte a osservare). Quando studiavo a Cambridge, mi piaceva ascoltare i vespri nella cappella del King’s College. Facevo qualcosa di sbagliato? Dovrei fare penitenza?

 

Nella Bibbia e nel Talmud è detto chiaramente che ogni contatto con i rituali pagani e l’idolatria deve essere evitato. Addirittura al punto di cambiare lato della strada per tenersene il più lontano possibile. Tuttavia gli ebrei si sono sempre mescolati ai pagani, a scopo di affari e di buoni rapporti di vicinato. Il discorso vale particolarmente per gli ebrei che si sparsero per gli imperi greco, persiano e romano, vivendo quindi sotto dominio pagano. C’è un’opinione nel Talmud (Gittin 13b) secondo la quale la “vera” idolatria non esiste al di là della Terra d’Israele. Fuori da essa, l’idolatria non è altro che “seguire i costumi degli antenati”.

 

Il Cristianesimo pose un problema fondamentale agli ebrei, che vedevano le chiese piene di immagini e sculture che a loro sembravano idoli. In effetti, all’interno dello stesso Cristianesimo emersero diversi gruppi, specie durante la Riforma Protestante, che per primi mossero obiezioni a queste rappresentazioni. C’era anche la faccenda della Trinità. A molti ebrei sembrava che i cristiani credessero in tre dei. Non abbiamo bisogno di inoltrarci nella teologia della Trinità qui. Basterà dire che il termine “shituf”, “compartecipazione”, andò a definire il Cristianesimo, in opposizione all’Unicità del Dio ebraico.

 

Per l’Islam il problema non si pose, perché non aveva rappresentazioni. I musulmani veneravano Muhammad, ma lui non era Dio. Maimonide accettò che un giuramento su Allah fosse valido per gli ebrei. I problemi con i musulmani non riguardavano il concetto di Dio, se mai l’integrità dei testi e la paternità della Bibbia. Entrare in una una moschea non era considerato un problema. Gli sviluppi politici recenti hanno sollevato dubbi sull’opportunità politica di entrare nelle moschee, dove si potrebbero predicare sermoni antisemiti, ma non si tratta di una questione religiosa.

 

I Tosafisti che nel Medioevo vivevano in Francia e in Renania commerciavano con i vicini cristiani, soprattutto vino. Nella prima pagina del Trattato del Talmud Avodah Zarah, essi schierano una serie di argomentazioni per la loro indulgenza a trattare coi vicini cristiani in faccende proibite dal protocollo sull’idolatria. Con questo non vuol dire che approvassero l’ingresso nelle chiese, a meno di non esserne costretti. Ma posero le fondamenta perché l’attitudine verso il mondo cristiano fosse rivalutata.

 

Questo non vuole essere un articolo accademico, esaustivo sull’argomento. Non citerò tutte le fonti che supportano la mia posizione. (Chiunque sia interessato può consultare un accurato articolo di Rabbi J.D. Bleich in Tradition 44:2). Cionostante, ci sono certe opinioni emblematiche sulla questione che è importante evidenziare.

 

Rabbi Menachem Ben Shlomo, conosciuto come il Meiri (1249-1306), visse a Perpignano, in Francia. Commentando il Talmud (Bava Kama 113b), dice: “È proibito rubare anche agli idolatri senza morale. In generale, una persona che abbia un codice di comportamento morale e religioso e adora una Divinità, anche se in modo diverso dal nostro, è uguale agli ebrei in tutto ciò che pertiene alle leggi civili”. E continua ripetendo il noto principio che agli ebrei non è permesso sfruttare o ingannare chiunque abbia un codice morale. Tutto quanto menzionato nei nostri testi sacri a proposito dell’idolatria o in deroga a ciò non si può e non si deve applicare a nessuno, cristiani, musulmani, altre religioni, o appunto codici morali. Tale posizione è reiterata da uno dei più grandi rabbini del diciottesimo secolo, Yechezkel Landau (1713-1793), nell’introduzione del suo volume di reponsi Nodah BiYehudah.

 

Ci sono sempre state autorità religiose che hanno permesso (e per prime messo in pratica) l’ingresso nelle chiese cristiane in Europa allo scopo di ascoltare musica o ammirarne l’architettura e l’arte, come semplice arte.

 

Nonostante tutto ciò, oggi nel mondo tradizionale e haredi c’è chi usa queste antiche leggi contro i cristiani e i musulmani (e incidentalmente contro gli ebrei laici). L’argomentazione è che il Cristianesimo è stato responsabile della Shoah. E il resto del mondo libero è stato al suo fianco senza fare niente per aiutarci, tradendo così il suo status morale. L’Islam dei giorni nostri desidera quasi all’unanimità la distruzione dello Stato ebraico e similmente ha perso la sua posizione morale. Io rifiuto questo approccio senza riserve. Dopotutto è pieno di ebrei, apparentemente anche ortodossi, che hanno tradito i valori della Torah. Oltre a ciò, i pericoli per l’ebraismo oggi sono più di tipo politico che religioso o morale.

 

Esiste anche una tradizione di non discutere di questioni teologiche con non ebrei a causa della loro tendenza al proselitismo e della loro convinzione di essere gli unici depositari della vera fede. Tuttavia le stesse autorità che sostengono questa posizione, come Rav J.B. Soloveitchik nella sua dichiarazione del 1964, concordano tutte che ci si può e ci si deve incontrare per discutere di questioni politiche e sociali di interesse comune. Tale atteggiamento fu anche una risposta al Cristianesimo evangelico e alla lunga, dolorosa storia delle dispute pubbliche cristiane designate per convertire gli ebrei. Qualcosa che perlopiù appartiene al passato, eccezion fatta per un pugno di missionari.

 

Poiché ci sono molta ruggine e una storia terrificante di persecuzioni, omicidi e rapimenti associati alle chiese, molti movimenti interni all’ortodossia, in particolare quelli predominanti, si fanno ancora troppi problemi per visitarle. In pratica, ci sono numerose voci autorevoli, andando indietro di centinaia d’anni, che hanno permesso l’entrata nelle chiese per ogni sorta di motivazione, inclusa la riscossione dei debiti o, chiaramente, l’omaggio a sovrani o governanti. Su questa base, spesso i rabbini capo del Regno Unito sono entrati all’abbazia di Westminster per occasioni politiche e anche per i matrimoni della famiglia reale. E i rabbini capo di Israele sono stati in Vaticano.

 

Oggigiorno in Europa la Chiesa batte in ritirata. Molte chiese fungono da musei, sale da concerto, e attrazioni turistiche, più che da case di preghiera. Molte non hanno nemmeno più il servizio religioso. La paura che entrandovi potremmo rendere omaggio a un’altra divinità non ha più senso.

 

Ci sono sempre state autorità religiose che hanno permesso (e per prime messo in pratica) l’ingresso nelle chiese cristiane in Europa allo scopo di ascoltare musica o ammirarne l’architettura e l’arte, come semplice arte. Il grande rabbino sefardita halachico Rabbi Ovadia Yosef nel suo responso presenta una lunga lista tra grandi rabbini, opinioni e aneddoti di gente che è andata in chiesa per ascoltare musica (Yabia Omer 2, YD 11), anche se conclude che questa non debba essere veicolata come attitudine halachica. Dall’altra parte, il suo grande contemporaneo Rabbi Hayim David HaLevy è piuttosto esplicito nell’essere a favore (Aseh Lecha Rav 4.53), come pure lo è Rabbi Yosef Messas (Mayim Hayim 2, YD 108). E non menzionerò i nomi di importanti rabbonim del mondo haredi che ho accompagnato attraverso le chiese in Europa per ammirarne l’architettura e l’arte. Ci sono basi a sufficienza per considerare lecito l’ingresso nelle chiese.

 

Tuttavia, voglio andare oltre, perché le cose sono cambiate in modo epocale nel corso degli ultimi cinquant’anni, in così tanti contesti. Innanzitutto, la Chiesa Cattolica a partire da Papa Giovanni XXIII ha progressivamente e inequivocabilmente condannato l’antisemitismo. Ha rimosso le teologie e le attitudini anti-ebraiche che un tempo erano la norma. La Chiesa Cattolica non cerca più di convertire gli ebrei per “salvarli”. Il Gran Rabbinato d’Israele ha stabilito ottime relazioni col Vaticano e il Papa attuale, che come i suoi tre predecessori è un buon amico degli ebrei. Come lo sono la maggior parte dei Battisti e dei Mormoni.

 

Oggigiorno in Europa la Chiesa batte in ritirata. Molte chiese fungono da musei, sale da concerto, e attrazioni turistiche, più che da case di preghiera. Molte non hanno nemmeno più il servizio religioso. La paura che entrandovi potremmo rendere omaggio a un’altra divinità non ha più senso. Così come la paura che i nostri figli possano essere rapiti, convertiti a forza, o corrotti. Non posso più pensare che andare a visitare una chiesa sia peggio di andare a visitare un castello che un tempo fu abitato da un feroce monarca o governante antisemita. Proprio come visitare antichi siti pagani a scopo archeologico è oggi considerato normale, e un sacco di turisti ortodossi lo fanno senza pensieri. C’è da avere più paura, fisicamente e moralmente, nelle strade di una grande città che dentro a una chiesa.

 

Come per la musica, c’è una lunga tradizione per la quale essa “non può essere contaminata”. Tutta la musica ebraica ha subìto l’influenza di culture esterne, e molti dei nostri motivi più popolari hanno un origine non ebraica. Non mi faccio problemi nemmeno con le opere di scrittori antisemiti. Sono certo che molti hanno letto i libri per l’infanzia di Roald Dahl senza sapere quanto fosse antisemita. Ad un livello terra a terra abbiamo bisogno, come dice la Mishnah, di “sapere cosa rispondere agli epicurei”. Ad un livello più alto, apprezzare i doni di Dio e la bellezza che troviamo in questo mondo, anche le opere umane “difettose”, è anch’esso un atto di preghiera.

Jeremy Rosen
Giornalista presso The Algemeiner

Rav Jeremy Rosen ha ricevuto la sua ordinazione rabbinica dalla Mir Yeshiva a Gerusalemme. Dopo essersi laureato in filosofia  alla Cambridge University ha ottenuto in PhD in filosofia. Ha lavorato nel rabbinato, nell’educazione ebraica e in campo accademico per più di quarant’anni sia in Europa che negli Stati Uniti, dove adesso risiede. Lì insegna e fa il rabbino in una piccola comunità a New York, oltre che scrivere per The Algemeiner e per il suo blog .

 

 


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