Joi in
Di inclusione e inclusioni: da Popper a Lévinas

Apertura e inclusione. Una vera e propria sfida di questi tempi, per l’ebraismo e per la società tutta. Ma che dobbiamo affrontare

JOI : Jewish, Open & Inclusive. Sembra facile. Abbiamo scelto proprio un bel momento per mettere in piedi questa nuova sfida… ma sennò che gusto c’è? Tempi assai duri per i tre aggettivi con cui ci presentiamo.

L’essere ebreo obbliga a fare i conti con razzismo e antisemitismo che un po’ ovunque rialzano la testa – anzi, qualcosa di più. Il 4 marzo, per la prima volta in vita mia, uno scrutatore ha guardato la mia carta d’identità e ha detto a voce alta: «Straniero?». Tra il basito e il furibondo, ho risposto a voce molto più alta: «Italianissimo, ebreo».

Apertura, società aperta, porte aperte. Era “di moda” anni fa, quando si teorizzava anche sui settimanali di largo consumo, cosiddetti “bassi”, che non si dovesse procedere per verità assolute e che l’autoritarismo non fosse giustificato. Roba da Henri Bergson e Karl Popper. Oggi va forte chiamarlo “buonismo”, termine senza senso alcuno usato da chi – moltissimi – intende darti del coglione, dell’anima bella oppure camuffare il proprio essere di destra/estremadestra.

Inclusione. Per me il termine principe del trio-magico-JOI. Perché ce n’è immenso bisogno al nostro interno (ebraismo e dintorni) così come all’esterno (le società in cui viviamo). E ci interroga, comunque tutti, al di là delle etichette o delle magliette indossate. Banalmente, inclusione significa dialogo. Accettazione del dialogo. Di più: propensione – quasi amore – per il dialogo. Invece, al di là dei risultati elettorali su cui forse una volta ragioneremo seriamente, si può tristemente cantare una nenia che intitoleremo “dialogo l’è morto”. Alla faccia dello sbandierare e riempirsi la bocca della Costituzione. Alla faccia delle lezioni della Torah. Alla faccia del Talmud che ci insegna come ogni opinione, qualsiasi punto di vista, vadano presi in considerazione, discussi, perfino riportati nel testo pur se assolutamente di minoranza. Una carrellata tra i blog e gruppi ebraici maggiormente frequentati è lì a dimostrare (come in quasi l’intero sistema dei social media) quanto l’attrazione del pensiero unico sia fortissima. Stiamo forse ricostruendo un vitello d’oro? Questo, io credo, sia il rischio.

Abbiamo come fine comunità di individui inclusive e dialoganti.

Mettiamoci a studiare gli infiniti modi

che esistono di essere e di sentirsi ebrei.

Noi e il mondo in cui viviamo. JOI, io credo, vuole mettere insieme e a confronto noi che ci sentiamo fin nelle viscere, e siamo stati storicamente, l’emblema, la quintessenza dell’Altro. Vorremmo continuare a esserlo. Vogliamo sostituire il canarino che usavano i minatori: lo facevano scendere in miniera, se moriva voleva dire che mancava l’ossigeno; se noi sentiamo puzza di bruciato, dobbiamo tornare a essere per il mondo un allarme, un monito, un segnale, perché no? una guida.

Abbiamo come fine comunità di individui inclusive e dialoganti. Con la consapevolezza che il rispetto della Halakhà è un dato di partenza comune, e però non è uguale in un Tempio e in un altro, e soprattutto cambia ed è cambiata non poco nel corso dei secoli e a seconda delle situazioni storiche. Mettiamoci a studiare gli infiniti modi che esistono di essere e di sentirsi ebrei. L’ebraismo non poggia le sue basi sullo studio? I rabbini non sono i maestri di questa grande scuola? Dunque, come accade in ogni scuola che funzioni a dovere, gli insegnanti non hanno semplicemente il compito di trasmettere conoscenza, bensì di facilitare l’apprendimento coinvolgendo il maggior numero possibile di allievi. Non a caso gli studi più avanzati già da parecchi anni hanno spianato la strada della pedagogia dell’inclusione.

Un piccolo aneddoto personale, tanto per rendere l’idea. Da qualche tempo aiuto a insegnare un minimo di italiano a migranti minori non accompagnati. Sapete quando ho deciso di dedicare un pizzico di tempo al volontariato? Quando mi sono detto che c’è un po’ di Mosè in chiunque scappi e affronti dolori, abbandoni, fatiche, pericoli e spesso la morte nella speranza di una vita migliore. Anche questa, a mio parere, è inclusione. E Dio sa quanto ce ne sia bisogno: socialmente, umanamente, culturalmente.

In Contro il sacrificio di Massimo Recalcati (Raffaello Cortina Editore) leggiamo che lo spirito di sacrificio è il cemento armato di ogni psicologia di massa; che i totalitarismi del Novecento ci insegnano quanto essi dipendano dal fatto che la vita del particolare viene schiacciata dall’istanza ideale della Causa. Nazismo e jihadismo islamista, in parole povere, hanno in comune – sembra una battuta macabra ma non lo è – la negazione del nostro acronimo JOI. Come scrive Lévinas, «è il carattere insostituibile del volto dell’Altro a incarnare un’alterità che non si può mai livellare, assimilare, rendere strumento, oggetto, merce spogliata di ogni nome proprio».

E noi di JOI vogliamo che ciascuno abbia il proprio nome e cerchi di vivere al meglio con gli altri. Per non parlare dei mille nomi che ognuno ha dentro di sé. Ma questo è un altro discorso.

 

Stefano Jesurum
Redazione JOI Mag
Stefano Jesurum è nato a Milano nel 1951 ed è giornalista dal 1976. Tra i fondatori di La Repubblica, ha lavorato per il Nuovo di Firenze, il Giorno, l’Europeo, il Corriere della Sera, la RAI. Autore di saggi, racconti e romanzi. Attualmente collabora con Gli Stati GeneraliPagine Ebraiche e, ovviamente, JOIMag. Marito di Carla, papà di Rachele, nonno di Annele.

2 Commenti:

  1. Però, chissà perché, io, italianissima, ebrea solo per un quarto di parte materna, studiosa in tarda età, ma con grande impegno, di cultura ebraica, seguito a non essere considerata dalle Comunità ebraiche a cui mi rivolgo (Roma, Padova…). Ed anche ora, mi pare, questa vostra iniziativa di JOI serve principalmente a un “vostro” gruppo per esercitarsi nel pubblicare, scrivere, farsi vedere, insomma. A quando una VERA apertura ai newcomers? Shalom.

    1. Cara Pia,
      la nostra intenzione non è assolutamente questa, anzi, vorremmo riuscire a coinvolgere anche quelle voci di cui non siamo ancora a conoscenza. Se, quindi, ha un argomento di cui vorrebbe scrivere, ci mandi un abstract e saremmo felici di vedere insieme come pubblicarlo!


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