Cultura
“Golda”: le stanze del potere nei giorni della Guerra del Kippur

Il biopic “Golda” mostra in tutta la loro drammaticità le riunioni con i generali, dove il Primo Ministro deve tener testa ora alle intemperanze ora alle debolezze dei suoi uomini…

Sono riuscita finalmente a vedere “Golda”, il biopic sul primo ministro più amato e contestato della storia di Israele, diretto dal regista Guy Nattiv e finito nelle scorse settimane al centro di polemiche e gossip per la scelta di Helen Mirren, un’attrice non ebrea. In realtà non è la prima volta; nel 1982 era stata Ingrid Bergman a vestirne i panni in “A woman called Golda”. Per non parlare di precedenti interpretazioni di Anthony Hopkins nei panni di Yitzak Rabin e di Burt Lancaster in quelli di Shimon Peres! Poi ci si è messa Sarah Silverman che ha coniato il termine jewface, in riferimento anche all’altro film del momento, “Maestro”, anch’esso film biografico sulla vita di Leonard Bernstein, dove Bradley Cooper sfoggia una protesi al naso per assomigliare al musicista e compositore.

Accettata peraltro serenamente dagli eredi, che non si sono sentiti provocati o offesi e hanno parlato, con buon senso, di semplice make up per assecondare una somiglianza. E vedendo le immagini dei trailer in effetti quel naso non sembra così caricaturale ma si armonizza bene al volto dell’attore. Rami Malek non è forse ricorso a degli incisivi sovradimensionati per interpretare Freddie Mercury e la Kidman a un altro naso pronunciato – ancora – per diventare Virginia Woolf, per ironia della sorte una delle scrittrici inglesi più antisemite?

Tra accuse di cultural appropriation e difese della libertà espressiva, “Golda” e “Maestro” riescono comunque, grazie ai protagonisti, a rendere credibili e verosimili i personaggi che gli attori interpretano, tanto che in alcune scene è difficile distinguere Helen Mirren dalla vera Golda Meir che appare per qualche secondo in alcuni filmati. Casomai quello che lascia un po’ perplessi è il taglio del film e della sceneggiatura voluto da Nattiv.

Il plot si concentra tutto in un particolare – e discusso – momento della storia di Israele e della carriera politica della Meir, il 1973, ovvero la Guerra del Kippur. Non inquadra quindi un prima e un dopo dell’esistenza di Golda (che so, l’arrivo in Israele, i suoi amori, uno stralcio di vita personale) è come se ce ne offrisse una porzione precisa condensata in un estratto. La guerra fu particolarmente efferata e la Meir dovette chiarire che non era stato Israele ad attaccare per primo ma aveva dovuto difendersi dagli attacchi brutali e inaspettati di Siria e Egitto in prossimità della festa di Kippur. Ma la Meir si portò sempre l’enorme colpa che avrebbe potuto prevedere l’aggressione ed evitare tante perdite inutili.

Il film si concentra soprattutto sulle riunioni con i generali, dove il primo ministro deve tener testa ora alle intemperanze ora alle debolezze dei suoi uomini (come Moshe Dayan, ministro della difesa, che non regge alla tensione, vomita, risulta poco convincente nelle dichiarazioni televisive convincendo Golda a sostenerlo e ad apparire lei in tv per recuperare la fiducia degli israeliani). Racconta anche il rapporto con Henri Kissinger – nelle sequenze forse meglio riuscite del film. La prima, ormai celebre anche perché presente nei trailers, nella quale Kissinger la ammonisce: “Sono americano, segretario di stato e poi ebreo” e Golda risponda: “Noi in Israele leggiamo da destra verso sinistra”. La seconda quando Kissinger atterra in Israele e viene portato non in un luogo ufficiale e pretenzioso ma nella casa modesta di Golda ed è costretto a mangiare il borscht che la cameriera (“è una sopravvissuta” lo ammonisce lei) ha preparato con tanta cura. E Kissinger accetta di sostenere Israele (succederebbe lo stesso oggi?).

Nel film Golda-Mirren fuma continuamente, si accende una sigaretta dopo l’altra. Perfino quando fa la radioterapia per il cancro ormai in metastasi. Il fumo le nasconde il viso, ma non gli occhi che restano la parte più espressiva del personaggio e dell’interpretazione dell’attrice. Pieni di lacrime quando percepisce la morte di tanti giovani, tra cui il figlio della dattilografa del suo ufficio, quando pensa ai caduti e si tormenta, quando segue in cielo migliaia di uccelli neri che sembrano far presagire la tragedia; oppure occhi che si riempiono di tenerezza quando viene accudita dalla sua assistente personale Lou Kaddar (Camille Cottin), anche se il film non approfondisce il legame tra le due donne. Il problema del trucco facciale al silicone è che congela l’espressività della Mirren in una maschera statica e la sceneggiatura così poco emotiva non aiuta a farci entrare nell’anima del personaggio, a cogliere qualcosa che non sapevamo già. Per cui alla fine un po’ ci si annoia, ovvero si avverte una mancanza di legame tra fatti storici leggendari (anche il finale, la pace con l’Egitto, coincidente con la morte della leader) e reazioni emotive e interiori che restano imprigionate, non portate in primo piano da una scrittura concentrata su un presente doloroso, drammatico ma senza ombre.

Laura Forti
collaboratrice
Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021. Con Guanda nel 2022 pubblica Una casa in fiamme.

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