Cultura Cibo
I funghi nella tradizione culinaria ebraica

Dall’utilizzo nelle frittate, ai risotti e agli antipasti della cultura sefardita. E poi, ancora, il pollo con funghi selvatici, noto come potravka, i kreplach farciti con pollo e funghi, i funghi alla panna e le minestre di funghi

Pensate a un ingrediente tipico della cucina ebraica. Non vi vengono in mente i funghi, vero? Eppure, questi curiosi doni della terra, tanto difficili da classificare quanto da individuare tra le foglie del sottobosco, hanno una loro più che dignitosa storia legata agli ebrei. Tanto per cominciare, sono citati nel Talmud. È qui che Rabbi Gamliel decanta l’abbondanza della terra di Israele e, messo alle strette dall’allievo che non trova ci sia poi niente di così speciale sotto il sole, gli mostra delle grosse teste di fungo, simili a pagnotte e cresciute rapidamente nel corso della notte. Sempre di funghi si parla quando si distingue tra le benedizioni da riservare loro. Dimostrando una certa competenza in termini di classificazione. Non appartenenti al mondo dei vegetali, i miceti non sono né verdure né frutti, non si sviluppano grazie alla fotosintesi ma nutrendosi di altri organismi, sia vivi, quando ne sono parassiti, sia morti e in decomposizione, nel caso di quelli saprofiti (o, più correttamente, saprotrofi).

Al di là delle specifiche tecniche, si tratta comunque di alimenti diversi da tutti gli altri. E i saggi talmudici lo avevano ben capito. Decretando che un fungo non poteva essere introdotto dalla benedizione che fa riferimento a borei pri ha-adamah (“colui che crea il frutto della terra”) come accade per un frutto dell’albero o della terra, bensì con una preghiera a colui che shehakol nih’ye bidvaro (“con la sua parola ha creato tutte le cose”), come si fa, tra gli altri, con pesci, carne e acqua. Non essendo ai tempi neppure oggetto di coltivazione, sarebbero stati anche esenti dalla decima. Spingendosi più in là, Avrohom Bornsztain, importante posek (decisore su questioni halachiche) vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, li considerava benedetti. Al momento della cacciata dal Paradiso terrestre, Dio aveva infatti condannato Adamo ed Eva a faticare per procurarsi il cibo, escludendo così dalla maledizione i funghi, che crescono per i fatti loro.

Sempre a proposito di legge ebraica, i funghi in sé non avrebbero problemi con la kasherut. Peccato però che la loro stessa natura li porti ad accogliere lumache, insetti e vermetti che potrebbero renderli impuri. Anche prescindendo da ospiti indesiderati, un altro grande del pensiero ebraico come il filosofo medievale Mosè Maimonide metteva in guardia dal mangiarli. Forte delle sue conoscenze in ambito medico, lo studioso ben sapeva che alcune varietà di fungo potevano essere velenose e quindi, per non rischiare, consigliava di astenersi dal loro consumo in genere. Secondo l’esperta di studi ebraici Barbara Kirshenblatt-Gimblett, curatrice capo del POLIN, Museo della storia degli ebrei polacchi a Varsavia, l’avvertimento di Maimonide aveva segnato la percezione dei funghi presso alcune comunità ebraiche dell’Europa orientale. Che li avevano considerati treif fino al XX secolo.

Ciò detto, i funghi proliferano generosi in più parti del mondo ebraico. Anche se non tutti sono d’accordo sulla loro specificità. E se è vero che le fonti storiche ne attestano la diffusione già nell’antico Israele, è anche vero che l’associazione più immediata è quella con i territori centro ed est europei. Secondo Maxim D. Shrayer, studioso nato a Mosca e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1987, professore del Boston College e grande raccoglitore di funghi, non ci sarebbe in realtà una tradizione ebraica in questo senso nelle terre slave. Se lui si è appassionato all’argomento è stato solo grazie ai genitori e non certo ai nonni, nessuno dei quali gli aveva mai narrato di escursioni tra i boschi.

Nel lungo articolo che dedica al tema su Tablet, sempre Shrayer riconosce che i funghi sono indiscutibilmente legati alla cultura dei Paesi ex sovietici, senza però essere appannaggio dei soli ebrei. Secondo il professore, gli ebrei russi avrebbero iniziato a raccogliere funghi solo a partire dagli anni ’20 e ’30 del Novecento come  forma di assimilazione, una “russizzazione”, insomma, per gli ex residenti dal pale of settlement. Al tempo stesso, ammette che al momento di trasferirsi in America furono molti gli ebrei ex sovietici che portarono con sé anche il rito di andar per funghi. Indicati genericamente come russi, avrebbero mantenuto questa tradizione come identitaria anche del proprio ebraismo.

La teoria di Shrayer non è condivisa da tutti. Scrittori di cucina e cultura ebraica come Jayne Cohen e Gill Marks individuano al contrario una specificità nell’impiego dei funghi da parte degli ebrei anche in zone dove questi alimenti erano già protagonisti. Secondo Marks i funghi erano particolarmente importanti nella cucina ashkenazita perché tra i pochi ingredienti aromatizzanti disponibili anche per i poveri dell’Europa orientale, che potevano raccoglierli liberamente ed essiccarli per farne scorta. Anche l’autore dell’Encyclopedia of Jewish Food ricorda che presso gli ebrei polacchi c’era chi considerava gran parte delle specie fungine poco kosher, limitandosi per questo a consumarne solo un tipo. Cita comunque l’uso ashkenazita di saltare i funghi con le cipolle, di metterli in salamoia o di utilizzarli come ripieni di carni o di impasti. Senza dimenticare l’abitudine dei rumeni di gustarli insieme alla mamaliga, quella pietanza a base di farina di mais tanto simile alla nostra polenta.

Dal canto suo, Cohen rimarca la capacità ebraica di acquisire le tradizioni culinarie locali e di farle proprie, individuando un uso tipico di boleti e compagni che precede il processo di assimilazione in epoca sovietica. Tra questi, una deliziosa versione del classico kugel di patate preparato con i funghi selvatici riportato nel volume Jewish Holiday Cooking. A farle eco troviamo anche Claudia Roden, che nel Book of Jewish Food cita i funghi in decine di punti diversi. Pochi secondo Shrayer, che considera il fungo una presenza marginale nell’opera della studiosa, abbastanza per chi è alla ricerca di buone idee per sfruttare sapore, consistenza e proprietà nutrizionali di questo alimento.

Pur senza dimenticare l’impiego dei funghi in frittate, risotti e antipasti della cultura sefardita, restando tra gli ashkenaziti Roden cita tra gli altri il pollo con funghi selvatici, indicato come potravka, i kreplach farciti con pollo e funghi e i funghi alla panna e diversi tipi di minestra di funghi. Tra questi spicca in particolare il krupnik. Zuppa d’orzo tipica della Polonia, questa pietanza diffusissima in tutte le famiglie avrebbe presso gli ebrei acquisito una sua specificità proprio grazie alla presenza dei boleti. Freschi o secchi, potevano qui convivere con la carne quando componevano un’alternativa allo cholent per Shabbat, così come sostituirla quando era richiesto un piatto pareve o le disponibilità economiche erano limitate. A questo proposito vale la capacità dei funghi, in particolare quelli più grossi e, appunto, carnosi, di fornire sostanza, proteine e gusto “umami” anche ai piatti più poveri.

Passando alle note dolenti, va ricordato come nel Medio Evo i funghi fossero paragonati dagli antisemiti agli ebrei e chiamati “carne ebraica”. Le intenzioni dispregiative furono riprese dai nazisti, tanto che il criminale di guerra Julius Streicher pubblicò nel 1938 un testo di propaganda rivolto ai bambini, scritto da Ernst Hiemer e intitolato Der Giftpilz, che recava in copertina un fungo marchiato con la stella di David. Utilizzato durante il processo di Norimberga come prova contro l’editore, il libretto intendeva addestrare i suoi giovanissimi lettori a distinguere gli ebrei dai gentili, paragonando i primi a funghi velenosi che proliferavano in maniera infida tra il resto della popolazione. Presso gli anglofoni sono state individuate intenzioni denigratorie anche nel nome di un particolare fungo a forma di orecchio e chiamato in latino auricularia auricula-judae. In realtà qui il problema sarebbe nato dalla confusione tra Giuda e giudeo e dai presunti sentimenti antisemiti nascosti nel riferimento al traditore di Gesù. Pare però che qui non ci fossero intenti offensivi, ma solo un rimando al tipo di sviluppo di questo fungo. Capace di vivere solo sui tronchi d’albero, l’orecchio di Giuda avrebbe una particolare predilezione per quelli di sambuco. Lo stesso al quale l’Iscariota si era impiccato.

Zuppa d’orzo e funghi

Ingredienti

160 g di orzo

2 cipolle medie

300 g di porcini o altri funghi

40 g di funghi secchi

4 spicchi d’aglio

3 carote

2 coste di sedano

2 foglie di alloro

1 grosso ciuffo di aneto

concentrato di pomodoro

3 litri di brodo di pollo o funghi

olio extravergine d’oliva

sale

pepe in grani

Ammollare i funghi secchi in acqua tiepida per 15 minuti, poi scolarli, sciacquarli e strizzarli prima di tritarli finemente. Spuntare e raschiare le carote, privare il sedano dei filamenti e sbucciare le cipolle, poi tritare separatamente gli ortaggi preparati. Pulire i funghi privandoli delle basi terrose e passarli con una pezzuola inumidita, poi tagliarli a fettine.

Versare il brodo in una pentola capiente e portarlo a ebollizione. Unirvi l’orzo con le foglie di alloro, abbassare la fiamma e cuocere a fuoco lento senza coperchio per 2 ore e 15 minuti. Scaldare 2 cucchiai di olio d’oliva in una padella capiente a fuoco medio-alto. Aggiungere la cipolla e farla rosolare fino a farla ammorbidire. Unire quindi anche il sedano e le carote e farle rosolare per altri 5 minuti. Aggiungere i funghi secchi con l’aglio sbucciato e schiacciato e far rosolare per altri 2 minuti. Bagnare con poca acqua (o brodo) bollente e cuocere per altri 2 minuti, poi unire quanto preparato nella pentola con l’orzo in cottura.

Scaldare un filo di olio nella padella usata per il soffritto e distribuirvi metà dei funghi freschi affettati, in un unico strato. Cospargerli di sale e pepe macinato e abbassare la fiamma. Lasciarli rosolare senza mescolare, poi cuocerli per un altro paio di minuto a fiamma più alta e rigirandoli finché saranno dorati e asciugati. Aggiungere i funghi preparati alla zuppa sul fuoco, ripetere l’operazione indicata per quelli rimasti, poi mescolare il tutto e abbassare la fiamma al minimo. Proseguire la cottura fino al termine del tempo indicato o comunque fino a quando l’orzo sarà morbido, unendo se serve altra acqua o brodo caldo. Regolare infine di sale e pepe, spolverizzare di aneto spezzettato e servire.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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