Storia, simbologia e vita biologica del rettile che nell’Eden era talentuoso quasi quanto l’uomo…
È stata lei, Eva, dice Adamo. No, è stato lui, il serpente, ribatte Eva, lui mi ha ingannata. Lo scaricabarile nella versione di Bereshit/Genesi termina con Dio che maledice tutti e tre cominciando però dal serpente, a cui secondo alcuni è riservato un tono più aspro di quello in un secondo momento diretto alla prima coppia di uomini. Al midrash il compito di aggiungere, rimescolare, inventare tante storie innestate sulla storia sempre ripetuta dell’origine del mondo e dei suoi primordiali abitanti. Tra questi, vogliamo soffermarci su colui da cui origina la rottura della condizione edenica e quindi la vera e propria parabola dell’uomo nel mondo, con i suoi corollari di fatica e sofferenza. Si tratta, naturalmente, del serpente, la più abietta delle creature.
Il midrash descrive il serpente prima della caduta come creatura eccezionalmente talentuosa e dotata di superiori doti intellettive. Proprio questo lo avrebbe spinto a invidiare l’uomo, in particolare per la sua condizione coniugale, e a cercare ogni sorta di espedienti per arrecare la morte ad Adamo. Se mangiate il frutto proibito, dice il serpente a Eva, diventerete come Dio, che vi ha vietato di consumarlo per pura malevolenza. Dopo averlo mangiato otterrete il suo stesso potere di creare e distruggere mondi, di dare la morte e restituire la vita. Dio stesso, conclude, ha mangiato il frutto dell’albero prima di creare il mondo e vedete ciò di cui poi è stato capace. Le calunnie del serpente verso Dio si concludono con l’invito rivolto agli uomini perché si affranchino dal tiranno prima che dia vita ad altre creature capaci di regnare sull’umanità proprio come l’uomo regna su piante e animali. A questo punto, secondo il trattato Avot di rabbi Nathan, il serpente scuote l’albero per farne cadere il frutto, lo raccoglie e lo mangia per mostrare a Eva che non morirà, e che dunque il frutto è consumabile anche dagli uomini senza pericolo. Nella versione contenuta nell’Apocalisse di Mosè il serpente si arrampica sull’albero, inietta nel frutto il suo veleno e piega a terra il ramo affinché Eva possa cogliere il frutto (ma ci sono anche testi in cui è il serpente stesso a coglierlo e offrirlo alla donna).
Il serpente, scrive la Torà, era il più astuto tra gli animali. Il midrash collega questo passo al libro di Qohelet secondo cui al crescere della sapienza cresce anche l’affanno, e chi aggiunge conoscenza aggiunge anche dolore. In un contesto culturale come quello rabbinico di polemica nei confronti delle filosofie ellenistiche, ma allo stesso tempo da queste influenzato, l’astuzia viene fatta coincidere con la conoscenza e considerata premessa non di pace e tranquillità bensì di insoddisfazione e dolore. La caduta, come insegna un detto attribuito a rabbi Meir, è proporzionale alla grandezza. Così il serpente, astuto più di tutti, verrà maledetto più di tutti. Non conosceva evidentemente la sfida lanciata dal “brutto” Tuco al suo aguzzino nel film di Sergio Leone Il buono, il brutto, il cattivo: “Mi piacciono quelli grandi e grossi come te, perché quando cadono fanno tanto rumore”.
In che senso il serpente era il più astuto, grande e splendido tra gli animali? Per rabbi Oshaayà il grande, secondo la tradizione collettore del materiale confluito nella raccolta di midrashim sul libro di Genesi Bereshit rabbà, il serpente stava ritto come una canna e aveva i piedi. Per rabbi Shimon era come il cammello e se non fosse stato maledetto l’uomo lo avrebbe sfruttato come bestia da soma. Per rabbi Yirmeyà era un epicureo, cioè nel lessico di epoca rabbinica un miscredente. Secondo rabbi Hiyyà tutti gli animali compiono l’atto sessuale senza guardarsi l’un l’altro tranne tre che si congiungono faccia a faccia perché la presenza divina ha parlato loro: il pesce, a cui Dio si rivolge nella storia di Giona perché rigetti il viaggiatore sulla spiaggia, il serpente e l’uomo nel giardino di Eden. Scopriamo così singolari affinità tra uomo e serpente, uniti e divisi nel medesimo episodio. Altri rabbini, come Haninà, si soffermano sugli aspetti stilistici del testo, quasi precorrendo la moderna filologia. Il serpente infatti esordisce di fronte a Eva con la parola af, “pure”, e tutti coloro che hanno iniziato in questo modo i propri discorsi sono andati perduti a causa dell’ira (in ebraico ancora af, ma scritto con alef e non con ayin). Nell’ordine, conclude rabbi Haninà, il serpente, il capo dei fornai incontrato da Giuseppe in prigione, i fautori di Korach nel libro di Bemidbar/Numeri e il crudele Aman nel rotolo di Ester.
Che cosa faceva Adamo mentre il serpente parlava a Eva? Per Abbà ben Qurià dormiva placidamente, appagato dopo essersi congiunto con la donna. Per altri Dio lo aveva preso con sé e gli stava mostrando tutti i diversi luoghi del mondo, indicandogli i terreni migliori per la semina e la piantagione. Dio non vuole concorrenti e vi inganna, spiega nel frattempo il serpente a Eva, teme che diventiate come lui spodestandolo dal suo trono e magari prendendone il posto. E voi non volete che questo succeda, vero?
Consumato il pasto proibito, scocca l’ora della maledizione divina. Come quando si onora si comincia citando il maggiore, spiega rabbi Hiyyà, quando si disprezza si comincia citando il minore. È quindi perfettamente ragionevole che Dio si rivolga per primo al serpente, in un secondo momento a Eva e solo da ultimo a Adamo. Secondo Bereshit rabbà l’errore del serpente è la maldicenza, il fatto cioè di aver sparlato del suo creatore, e la pena quella di strisciare sul ventre. Come la parola falsa sussurrata si insinua strisciando, così in un perfetto contrappasso il serpente viene condannato a strisciare. Il serpente è poi avvicinato, sulla scorta del libro dei Proverbi, a “chi semina discordia, e colui che mormora allontana l’amico”. L’amico è qui Dio, amico del mondo, che lo maledice immediatamente per le parole false mormorate a Eva. La parola cattiva (lashon harà) è così all’origine della discordia. Il midrash si sofferma inoltre su una differenza tra la maledizione che colpisce il serpente e quelle rivolte in seguito a Eva e Adamo. Nel primo caso infatti Dio non tratta, nel secondo e nel terzo invece sì. “Se io gli parlo, questo serpente è capace di accampare pretesti”, riflette Dio, “potrebbe infatti obiettare: tu hai dato loro un ordine e io ho dato loro un ordine: perché non dovrebbero trasgredire al tuo comando e obbedire al mio?”. Così, chiosa il midrash, Dio taglia corto e emette subito la sentenza.
Poiché la lebbra è la punizione per la maldicenza nell’episodio di Miriam raccontato in Bemidbar, rabbi Yehoshua di Siknin in nome di rabbi Levì suggerisce che sia la lebbra la punizione comminata da Dio al serpente. Allo stesso tempo, il serpente sarebbe costretto a una gestazione lunga ben sette anni che diventano addirittura settanta per l’aspide. Nella raccolta di midrashim mistici Alfa Beta di rabbi Aqivà compare invece un motivo eziologico: Dio, infatti, avrebbe reso bifida la lingua del serpente per punire la sua maldicenza. La lingua tagliente, così, viene resa biforcuta, cioè tagliata. Il testo biblico dice inoltre che il serpente camminerà sul dorso. Il midrash immagina la discesa degli angeli del servizio divino per tagliare al colpevole mani e piedi. Per il dolore il serpente urla talmente forte da essere udito da un capo all’altro del mondo. Numerose fonti concordano sul fatto che in futuro tutti saranno affrancati eccetto il serpente, che rimarrà maledetto in eterno. Eppure anche nella maledizione più terribile si può rintracciare una benedizione, almeno secondo rabbi Eleazar. Strisciando, infatti, il serpente può facilmente rifugiarsi nelle crepe dei muri quando si trova in pericolo. Per rabbi Yudan e rabbi Hunà il fatto che gli uomini afflitti per un lutto procedano chini è da attribuire ancora una volta al serpente che ha portato la morte nel mondo. Allo stesso tempo gli uomini chini, avvicinandosi alla terra, emulano in certa misura la creatura strisciante.
Il serpente, monco di mani e piedi e costretto a rinunciare alla posizione eretta, sembra una sorta di doppio dell’uomo punito per l’eternità. Di esso Bereshit dice che mangerà la polvere. Non polvere qualsiasi però, aggiunge rabbi Hilfai, perché il serpente sbriciola il terreno fino a quando arriva alla roccia sottostante e si nutre di filamenti di terra. Il serpente mangia la terra mentre Adamo fatica chinandosi sulla terra per sostentarsi attraverso il duro lavoro, è polvere e tornerà alla polvere dopo la morte. Anche Eva partecipa del generale movimento verso il basso in cui consiste la punizione divina piegandosi su se stessa nel momento delle doglie. È giusto che la maledizione sul serpente duri per sempre poiché, come specificano rabbi Yosè e rabbi Oshaayà in nome di rabbi Ahà, Dio lo aveva reso re di tutti gli altri animali, ma lui ribellandosi lo ha rifiutato. Lo aveva creato in modo che camminasse a testa alta come l’uomo e si alimentasse degli stessi cibi dell’uomo, ma lui non ha voluto. Ha cercato di procurare la morte a Adamo in modo da avere per sé Eva, perciò, come riporta il testo biblico, verrà posta inimicizia fra il serpente e la donna. Il serpente non solo non ha ottenuto ciò che desiderava, ma ha anche perso ciò che gli era stato dato.
Secondo fonti di epoca tarda come i Pirkè di rabbi Eliezer Dio avrebbe avuto pietà di Adamo ed Eva dopo la cacciata e avrebbe confezionato loro tuniche con la pelle strappata al serpente, mentre le raccolte più antiche come Bereshit rabbà parlano di tuniche di luce. In testi intermedi i vestiti sono fatti con la pelle del Leviatano, che irradia splendore. Nell’interpretazione allegorizzante del cristiano Origene, secondo Louis Ginzberg basata molto probabilmente su Filone, la prima coppia riceve vesti di pelle, cioè corpi, dal momento che prima della caduta erano esseri spirituali. Simile la spiegazione dello Zohar, per cui Adamo ed Eva indossavano “vesti di luce” (or, scritto con alef) prima della caduta e dopo la caduta “vesti di pelle” (or, scritto con ayin) utili solo per il corpo, ma non per l’anima.
Secondo l’Apocalisse di Mosè, testo apocrifo di genere apocalittico di cui abbiamo la versione in greco, il serpente non agisce di sua iniziativa ma viene sobillato da Satana, tentatore per eccellenza di cui sarebbe stato il servitore. Satana, furente per essere stato cacciato dalla schiera celeste, avrebbe deciso di vendicarsi conducendo l’uomo alla rovina. Questa lettura, che compare a partire dal I secolo e.v., si affianca a quella della prima letteratura rabbinica secondo cui il serpente era fisicamente e mentalmente simile all’uomo e precede una terza lettura, presente per esempio nell’Apocalisse di Abramo, secondo cui è Satana stesso a provocare la caduta assumendo l’aspetto di un serpente. L’interpretazione più marcatamente allegorica secondo cui l’uomo viene traviato dal desiderio carnale, accennata già in Filone e nell’Apocalisse di Giovanni confluita nel Nuovo testamento, si afferma infine nella letteratura apologetica e patristica cristiana. Giovanni, per esempio, identifica “il grande drago” che combatte contro le schiere angeliche fedeli a Dio guidate da Michele con “il serpente antico”, cioè “colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra”. Nel racconto sempre rinnovato e nell’interpretazione il serpente continua a trasformarsi. Muta aspetto ad ogni stagione, abbandonando la vecchia pelle per una nuova, ma continua a strisciare nella polvere.
molto, molto pregnante. grazie