Dal sermone del rabbino di New York scritto utilizzando ChatGPT al caso Haggad.AI: limiti e possibilità della tecnologia che rivoluzionerà il mondo
La domanda se l’Intelligenza Artificiale possa entrare in sinagoga e più in generale nella vita quotidiana ebraica ha cominciato a circolare già da un po’. All’inizio di quest’anno, ad esempio, il rabbino senior di New York Josh Franklin, del Jewish Center of the Hamptons, aveva pronunciato un sermone un po’ particolare. Strutturalmente impeccabile, era stato scritto utilizzando, il chatbot ChatGPT, un programma di AI capace di produrre testi a partire dal suggerimento di temi e parole chiave. La cosa sconvolgente era che la maggior parte della congregazione newyorkese era convinta che il testo fosse stato redatto da un ministro del culto. Da qui le inevitabili resistenze verso l’ennesimo ritrovato tecnologico potenzialmente capace di sostituirsi all’uomo, portando via non solo posti di lavoro, ma soprattutto mettendo in discussione l’insostituibilità della mente umana. Per fugare questi timori lo stesso Franklin aveva affermato che, per quanto i sermoni prodotti dal software fossero tecnicamente perfetti, sarebbero comunque sempre stati privi di anima.
Oggi un altro duro colpo potrebbe intaccare queste certezze, con la creazione di una Haggadah illustrata utilizzando il programma Midjourney e scritta, come nel caso del sermone citato, usando il simulatore di conversazione ChatGPT.
All’origine di Haggad.AI, questo il nome del racconto di Pesach in versione 2.0, troviamo due creativi di Gerusalemme. Sono il grafico e fotografo Yitzchak Woolf, comproprietario di Let’s Bench, azienda specializzata nella creazione di articoli religiosi ebraici, e l’architetto Royi Shamir. Questo il racconto che hanno fatto al Jerusalem Post: «Alcuni mesi fa, eravamo seduti e giocavamo con ChatGPT e Midjourney e pensavamo a come potesse essere rilevante per il mondo ebraico e quali fossero le implicazioni», ha detto Woolf. «Entrambi siamo interessati alla connessione tra testo ebraico design, e abbiamo pensato che l’Haggadah potesse essere un grande parco giochi per l’AI». Considerato che combina sia elementi testuali sia visivi, l’Haggadah sembrava perfetta per mettere alla prova i due campi principali in cui al momento si muovono i programmi liberi di AI, ossia l’elaborazione del linguaggio e la creazione di immagini. Non basta. Secondo Woolf e Shamir le nuove tecnologie potevano non solo riscrivere in modo coerente e credibile il testo centrale del seder di Pesach, ma anche sbloccare «nuove intuizioni e prospettive», illuminando la «complessità sia dell’Haggadah stessa sia delle tradizioni più ampie che rappresenta».
Se le intenzioni erano più che nobili, e l’operazione sembrava in discesa, all’atto pratico le cose non sono andate in modo così lineare. «Abbiamo pensato che se avessimo fornito suggerimenti semplici e ovvi, i motori di intelligenza artificiale avrebbero fornito esattamente ciò che stavamo cercando», ha detto Shamir al Post. Ma se per la riscrittura della Torah il programma ChatGPT ha fatto mediamente bene il suo dovere, «la parte grafica della creazione si è rivelata molto più difficile». A differenza di quanto sperassero i creativi, spesso non era sufficiente fornire a Midjourney la descrizione delle persone, dei luoghi o degli alimenti in gioco perché il programma generasse automaticamente l’immagine desiderata. A volte ci sono voluti numerosi tentativi e diverse settimane per ottenere un risultato che fosse pienamente soddisfacente. In alcuni casi l’AI non sembrava proprio in grado di rispondere alle richieste. Racconta ancora Shamir: «L’afikoman è stato il più difficile da trovare. Continuava a creare immagini di matzah che sembravano pizza o focaccia». A suon di tentativi e di prove andate male, però, alla fine i due hanno capito come fornire le indicazioni al software affinché questo producesse immagini credibili. E i risultati sono effettivamente sorprendenti.
Anziché chiedere al programma di imitare questo o quell’artista (attività in cui Midjourney va piuttosto forte), Woolf e Shamir hanno preferito fargli fare un excursus nella storia dell’arte e dell’illustrazione. Così, attingendo ora al cubismo ora all’arte medievale, ai dipinti rupestri come alla cartellonistica pubblicitaria degli anni Cinquanta, i designer sono giunti alla creazione di oltre trenta immagini completamente diverse.
La redazione dei commenti ha aperto una breccia di speranza nell’unicità dell’intervento umano. Onesti quanto disarmanti, i creatori di Haggad.AI hanno dichiarato che «in alcuni casi era chiaro che l’AI non capiva di cosa stesse parlando», ma con l’ottimismo tipico di quanti si occupano di informatica hanno anche intravisto un bagliore creativo negli apparenti errori di ChatCPT. Infatti, pur creando commenti mai sentiti prima e privi di fondamento storico, il programma aveva fornito comunque midrash affascinanti, se non altro per la loro originalità. Onde evitare comunque di creare confusioni e fraintendimenti, i due hanno introdotto nel libro la figura di Rabb.AI, un rabbino digitale che accompagna il Seder mettendo in chiaro i limiti dei propri interventi con queste parole: «È importante notare che il mio commento è limitato dalla sua dipendenza da dati e programmazione preesistenti… In definitiva, i lettori dovrebbero avvicinarsi al mio commento con una mente aperta e un occhio critico, usando il proprio giudizio e consultando fonti autorevoli, come è scritto in Mishlei 14:15, “L’ingenuo crede a tutto, ma l’uomo prudente guarda dove va”».
Facendo di difetto virtù, Woolf ha anche fatto notare: «Questo disclaimer è in linea con il principio fondamentale del seder, che è porre domande. Vediamo tutta questa Haggadah come una grande domanda che viene posta. Questo midrash è vero? Ci auguriamo che susciti interesse, conversazione e discussione attorno alla tavola del seder». Scritto in ebraico con traduzione dei commenti in inglese, Haggad.AI è in vendita in Israele direttamente dal sito www.haggad.ai mentre il resto del mondo lo può trovare su Amazon.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.