Hebraica
Discorsi intorno alla libertà umana

La letteratura rabbinica, tra etica e giudizio

Nell’opinione comune si ripete spesso che la Torah non è un testo di filosofia e che la mentalità rabbinica è lontanissima dall’approccio filosofico. Questa idea potrebbe essere avvalorata dal fatto che una delle più importanti questioni filosofiche dibattute dall’umanità, quella relativa alla libertà, è totalmente assente nella Torah. Ma le cose sono davvero così semplici come sembrano?
Nella Torah, in effetti, il concetto di libertà è sostituto dall’idea di liberazione, come nel racconto della liberazione dall’Egitto: «Dì agli Israeliti: “Io sono il Signore! Vi farò uscire dalle fatiche dell’Egitto, vi libererò dalla loro schiavitù e vi riscatterò/redimerò con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò per Me come popolo e sarò per voi Dio e voi saprete che Io sono il Signore vostro Dio che vi fa uscire dalle fatiche dell’Egitto”» (Es 6,6-7). I quattro verbi «vi farò uscire», «vi libererò», «vi riscatterò/redimerò», «vi prenderò per Me come popolo», su cui si struttura anche l’Haggadah di Pesach, disegnano un percorso che va dalla schiavitù d’Egitto al riconoscimento del Dio di Israele.
L’idea che la libertà sia (solo) il contrario della schiavitù ritorna in molti altri passi del Tanakh, per esempio in Isaia 58: «Non è piuttosto questo il digiuno che desidero: sciogliere le catene malvage, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?», in cui la libertà è raffigurata con la distruzione dei simboli servili: gioghi spezzati e catene sciolte.

E se la libertà è originariamente la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto, nel momento in cui il popolo ebraico entra nella Terra, libertà diventa anche liberazione degli ebrei che si sono resi schiavi di altri ebrei; restituzione della terra e ogni altra forma di «liberazione» che si attui durante l’anno sabbatico o l’anno giubilare. Così, per esempio, in Deuteronomio 15,12-13: «Quando si vende a te un tuo fratello, ebreo o ebrea, ti servirà sei anni: il settimo [anno] lo manderai via da te, libero. E quando lo manderai via da te, libero, non lo manderai a mani vuote». L’istituzione dell’anno sabbatico (il settimo) e dell’anno giubilare (il cinquantesimo) servono a ricordare concretamente al popolo di Israele che esso è un popolo libero: finita la schiavitù di Faraone, un ebreo non può vendersi come schiavo o vendere la propria terra ad un altro ebreo, se non per un periodo limitato di tempo.

Ma per comprendere davvero il significato della libertà, soggiacente alle indicazioni circa la remissione dei debiti, la restituzione della terra e della libertà personale, bisogna tornare proprio al testo di Esodo 6. Qui Dio afferma, tra l’altro: «Vi prenderò per Me come popolo e sarò per voi Dio e voi saprete che Io sono il Signore vostro Dio che vi fa uscire dalle fatiche dell’Egitto» (Es 6,7). In questo versetto viene indicato il senso della liberazione: Dio libera Israele dall’Egitto per prenderlo come suo popolo, ossia per diventare il Signore Dio di Israele o, ancora, affinché Israele passi dalla servitù nei confronti di Faraone al servizio del Signore. Così in Levitico 25,55: «Poiché i figli di Israele sono miei servi. Essi sono miei servi, che ho fatto uscire dalla terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio». La liberazione ha quindi uno scopo: arrivare al monte Sinai, ricevere la Torah e servire il Signore. La liberazione dall’Egitto non è fine a se stessa, ma rappresenta il primo passo di un percorso che conduce a riconoscere la sovranità del Signore, Dio di Israele. Per questo la tradizione rabbinica propone una lettura alternativa di un’importante espressione della Torah, contenuta in Esodo 32,16: «E Mosè si voltò e scese dal monte e le due tavole della testimonianza erano nella sua mano; tavole scritte su due lati: erano scritte da una parte e dall’altra. E le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, essa era incisa (charut) sulle tavole» (Es 32,15-16). I versetti, collocati all’interno del racconto della costruzione del vitello d’oro, sono così commentati negli Avot de rabbi Nathan: «Questa è una delle cose che Mosè decise per proprio conto e la sua decisione fu approvata dall’Onnipresente. Mosè ruppe le tavole e la sua decisione fu approvata dall’Onnipresente. […]. Ruppe le tavole: perché? Si dice che quando Mosè salì per ricevere le tavole, scoprì che erano già state scritte e tenute da parte durante i sei giorni della creazione, come è scritto: “E le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, essa era incisa sulle tavole”. Non leggere “incisa” (charut), ma “libertà” (cherut), perché chiunque si affatica nello studio della Torah, si rende un uomo libero (Avot D’Rabbi Natan 2,3)». Potremmo pensare che passare dalla schiavitù di Faraone al servizio del Dio di Israele sia passare da una servitù (mancanza di libertà) ad un’altra servitù (mancanza di libertà): proprio per questo i maestri sottolineano che praticare il servizio divino è la più alta forma di libertà. Potremmo così rileggere Esodo 32,16 alla luce dell’interpretazione rabbinica: «E le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, essa era libertà sulle tavole». Nella tradizione ebraica, dunque, essere liberi significa essere stati liberati da una schiavitù (quella di Faraone o quella imposta da un altro essere umano), per servire il Dio di Israele, ossia per vivere secondo la Torah: è quello che i filosofi chiameranno passaggio dalla “libertà negativa” (libertà da qualcosa) alla “libertà positiva” (libertà per fare qualcosa).

Il discorso sulla libertà presenta però anche un altro problema: nella tradizione rabbinica ci sono molti passi che attestano il determinismo, ma l’idea di fondo dell’ebraismo va decisamente verso l’affermazione della libertà. Basta leggere il testo di Deuteronomio 30: «Guarda, oggi ho dato davanti a te la vita ed il bene, la morte ed il male. Ciò che io ti comando oggi è di amare il Signore tuo Dio, di camminare nelle Sue vie e di custodire i Suoi precetti e i Suoi statuti e le Sue leggi. Così tu vivrai e ti moltiplicherai e ti benedirà il Signore tuo Dio nella terra nella quale stai entrando per possederla […]. Chiamo oggi a testimoniare per voi i cieli e la terra: ho dato davanti a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli la vita, affinché viviate tu e la tua discendenza!» (Dt 30,15-16.19).
Da questi versetti si evince la possibilità per l’uomo di scegliere tra bene e male, tra vita e morte, nonché si deduce che la scelta dell’essere umano implicherà un premio (o una punizione) da parte del Signore. E ancora di più invita alla riflessione il passo talmudico in cui leggiamo: «Egli [l’angelo incaricato del concepimento] prende la goccia [di seme] e la presenta al Santo, Benedetto Egli sia, [e gli chiede:] “Cosa ne sarà di questa goccia? Sarà coraggioso o debole? Saggio o stupido? Ricco o povero?”. Ma non chiede: “Malvagio o giusto?”. Come è detto da rabbi Hanina: “Tutto è nelle mani del Cielo, tranne il timore del Cielo”, come è detto: “E ora, Israele, che cosa [domanda] da te il Signore tuo Dio, se non di temere [il Signore tuo Dio]?” (Dt 10,12)» (TB, Niddah 16b).
Se fin del concepimento il Signore determina molti aspetti rilevanti per la vita del nascituro, secondo rabbi Hanina resta tuttavia aperta la scelta tra bene e male, cioè la scelta etica di fondo. La citazione di Deuteronomio 10,12 fatta da rabbi Hanina sottolinea il fatto che, se Dio chiede ai figli di Israele di temerlo, i figli di Israele possono temerlo, cioè sono liberi di comportarsi come Dio chiede loro di fare oppure di comportarsi in maniera contraria.

Insomma, il rapporto tra libertà umana e prescienza divina è ben riassunto nei Pirkei Avot: «Tutto è previsto, ma la libertà è data. Il mondo è giudicato con benevolenza e tutto è secondo la maggioranza delle azioni» (m, Avot 3,15). Secondo Rabbi Akiva, benché tutto sia previsto da Dio, la libertà umana esiste e dunque il mondo può essere giudicato.

 


1 Commento:

  1. È stata una lettura a dir poco edificante.
    La limpidezza del pensiero e la facilità di espressione di Claudia sono due ingredienti fondamentali del contenuto di questo contributo. Ma c’è un altro aspetto fondamentale: la concisione!
    Grazie Claudia, giovane e brillante autrice, la libertà umana è data!


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