Israele
Israele vista da Amos Biederman, caricaturista di Haaretz

25 anni di storia nell’intervista all’artista di Tel Aviv

Da 25 anni caricaturista ufficiale del quotidiano Haaretz, Amos Biederman, oltre a raccontarci le tappe principali della sua vita come artista, ha ripercorso assieme a noi gli ultimi 25 anni di Israele e dei leader che hanno segnato la storia di questo Paese, attraverso i principali personaggi che ha raccontato con le sue caricature.

Come è cominciata la passione per il disegno unita all’interesse per la politica?
Fin da piccolo, quando leggevo il giornale dei miei genitori, ero affascinato dai disegni dei grandi caricaturisti israeliani, come Dosh e Zeev, così come dall’arte in generale. Finito il liceo mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Bezalel, a Gerusalemme, che mi ha portato inizialmente a intraprendere una carriera di art director nel mondo della pubblicità. Ma non ho mai smesso né di dipingere né di fare l’illustratore. All’inizio lavoravo come illustratore e caricaturista per il quotidiano Ha’ir (settimanale locale di Tel Aviv). Quando poi Zeev è andato in pensione mi hanno proposto di sostituirlo da Haaretz. Da allora sono passati 25 anni, di cui praticamente la metà trascorsi a commentare il governo di Bibi Netanyahu.

Come si possono riassumere questi dodici anni di governo Netanyahu?
Sono stati anni molto difficili politicamente ma molto stimolanti graficamente. Ogni giorno ce n’era una da raccontare: dai suoi guai con la giustizia ai capricci della moglie Sarah. Dai dissidi interni al Likud – il partito di Netanyahu – alla grande alleanza con Trump, altro personaggio perfetto per la caricatura. È tutta una questione di fisionomia. Per esempio, Yitzhak Shamir (Primo Ministro israeliano negli anni Ottanta) non mi hai mai dato troppe soddisfazioni né in termini politici, né grafici: piccolo di statura e anche poco carismatico, nulla a che vedere con il suo opposto, Ariel Sharon, grande sia di taglia che nelle sue imprese. Anche quando, talvolta, si rivelarono fallimentari.

Ariel Sharon è stato spesso considerato un politico controverso e imprevedibile, sia nel bene che nel male.
Nonostante la mia visione politica si discosti radicalmente dalla sua, dal mio punto di vista è stato un grandissimo generale, soprattutto per quello che ha fatto in Sinai durante la Guerra di Yom Kippur, quando tutto sembrava perduto. Sharon non si è mai arreso, fino alla sua morte, che è stata la sua unica e vera sconfitta politica. Nel corso del suo cursus honorum, sia come uomo dell’esercito che, come primo ministro, ha fatto molti sbagli ma anche avuto il coraggio di guardarsi indietro e di cambiare le sue idee, al punto di aver portato al disimpegno della Striscia di Gaza, che ha rappresentato anche il primo passo per, eventualmente, cominciare anche il disimpegno dai Territori. Un’impresa che, dopo la sua morte, non è più stata portata avanti dai suoi eredi.

Cosa è successo dopo la sua morte? Cosa ha portato al cambio di paradigma nei confronti della questione palestinese?
Sharon, prima di tutto, era un uomo che pensava alla sicurezza. È stato il suo impegno a portare alla costruzione del muro di separazione tra Israele e i Territori, perché a Sharon era del tutto chiara l’impossibilità di poter continuare a vivere a macchia di leopardo, sia a Gaza che nei Territori, salvo continuare ad alimentare la spirale del terrorismo. La sua visione di due Stati per due popoli era quella ereditata dai Trattati di Oslo e dal lavoro cominciato inizialmente da Yitzhak Rabin e portato aventi in modo decisivo da Ehud Barack. Anche Barack, come Sharon, era un uomo molto pratico e pragmatico, mentre Bibi è sempre stato più impegnato a portare avanti l’ideologia della sua famiglia che la sicurezza del Paese. Suo padre, Benzion Netanyahu, era un uomo di destra estrema, e il modo più semplice per implementare questo tipo di ideologia è stato quello di creare una situazione di stallo attraverso il cosiddetto di status quo, ovvero interrompendo ogni passo che era stato fatto durante gli anni del Processo di Pace.

Quale è stato il maggior lascito di Netanyahu, se c’è stato?
Per onore del vero, Bibi è sempre stato un uomo intelligentissimo e preparatissimo sul versante accademico. Anche come Ministro del Tesoro ha fatto tantissimo per l’economia del Paese, a partire dal taglio di molti dei privilegi e dei sussidi destinati alle comunità degli ultraortodossi. Questo taglio drastico li aveva anche costretti ad entrare, finalmente, nel mondo del lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni, ha mandato tutto all’aria per poter avere il loro appoggio in parlamento e riuscire ad avere i numeri necessari per governare alla Knesset.

Fino alle ultime elezioni. Cosa ha portato alla sua disfatta?
L’odio che ha disseminato ovunque, non solo tra i suoi alleati ma anche all’interno del partito, che non è più il Likud di una volta, perché i suoi membri storici, incluso il figlio del suo fondatore Menachem Begin, sono stati costretti a scappare. La sua consolidata strategia dividi et impera ha avuto un effetto boomerang e alla fine Bibi si è trovato completamente da solo, non solo politicamente, ma anche nella vita quotidiana. Pur di rimanere sempre e comunque fedele alla sua famiglia alla fine gli è rimasta solo quella. Bibi si è distrutto con le sue stesse mani, e questo, di fatto, ha permesso di far emergere il governo della coalizione.

Cosa pensa di questo nuovo governo?
Il personaggio più interessante negli anni avvenire, a mio avviso, non è l’attuale primo ministro Naftali Bennett, dal comportamento, ora come ora, impeccabile – salvo i denti da coniglio che mi permettono di caratterizzarlo – quanto il vero architetto di questa colazione: Yair Lapid. E’ forse l’unico caso nella storia di Israele di un individuo che ha fondato, da solo, il suo partito dal nulla e anno dopo anno, città dopo città, villaggio dopo villaggio, senza arrendersi mai, è riuscito a costruire, in dieci anni, una base davvero solida che gli ha permesso di ottenere la credibilità indispensabile non solo agli occhi dei cittadini ma anche dei membri della Knesset, da destra a sinistra, inclusi gli arabi. Il cursus honorum che ha davanti è ancora lungo, ma verrà sempre ricordato per aver saputo mettere da parte il proprio ego per la salvaguardia del Paese, rispettando anche il pluralismo che è ciò che rende unico Israele.

Parallelamente al suo lavoro di caricaturista, non ha mai smesso di dipingere. Qual è il soggetto principale delle sue opere?
Dipingo principalmente paesaggi, con o senza persone, sia in giro per il Paese, che paesaggi urbani. Ma i miei paesaggi preferiti sono quelli di Tel Aviv. Probabilmente perché vivo qui, e ogni giorno rimango colpito dai suoi angoli, dai più antichi e nascosti a quelli in costante evoluzione, soprattutto in altezza. Tel Aviv è una città perennemente in mutamento. Non si ferma mai. Ed è ciò che la rende unica.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


1 Commento:

  1. Buongiorno,
    Amos Biderman e il caricaturisto il piu magnifico e humorishi di İsraele anche molto realisto
    Felicitasioni


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