Cultura Musica
It Sounds Jewish #7

Il progetto 929 e le letture dei Salmi. Cinque esperienze – bellissime e intense – per abbandonarsi all’intima musicalità della voce

Perché cercare la musica solo nei suoni organizzati? Perché non ascoltarne l’armonia nel linguaggio e nella poesia? E perché non farlo in ebraico?
Non ho nessuna intenzione di lanciarmi in una dotta lezione estetica, filosofica e addirittura (Dio ce ne scampi e liberi…) musicologica. Mi limito ad enunciare quello che per molti linguisti, glottologi, antropologi, etnomusicologhi (scusatemi…) è oramai una verità accertata (non che tutti siano d’accordo): la musica vocale nasce come amplificazione del linguaggio parlato, come estensione, moltiplicazione, sublimazione dei suoi suoni, dei suoi ritmi, della sua prosodia, delle sue caratteristiche retoriche. Lo affermava anche uno dei primi a studiare scientificamente le tradizioni musicali orali, un certo Béla Bártok.
In alcune lingue, l’ebraico in primis, il confine fra canto (shir) e poesia (shirà) non è ben definito, ed è bene che sia così. I Salmi sono chiamati “mizmorey tehilim”, dove “mizmor” viene dalla radice z m r, cantare con accompagnamento strumentale, e il “tehilim” ha a che fare con la lode. Cantare e lodare, questo sono quei componimenti così centrali in tante culture che vanno sotto il nome di Salmi. Scritti in ebraico. Cantati, chissà come, per secoli. Salmodiati. Poi messi in musica in tante culture. Eppure, a volte è così bello abbandonarsi al suono delle loro parole: armoniche, forti, dolci, terribili, associative, evocative e tanto altro ancora. I Salmi in ebraico possono essere anche percepiti così: puro suono, pura composizione di suoni, armonia consonante o dissonante di concetti e morfemi.

I Salmi non sono necessariamente legati ad una pratica devozionale. In Israele, per molti, che si definiscono laici, alieni da ogni pratica religiosa, sono tuttavia parte del patrimonio genetico alla base della propria cultura e identità. E così dovrebbe essere sempre e ovunque.

929 è un progetto israeliano. 929 come i capitoli dai quali è composto il TaNaCh (Torà, ovvero Pentateuco; Neviim, ovvero Profeti; Chetuvim, ovvero Agiografi), in altre parole la Bibbia. Ogni giorno persone delle più disparate idee, dei più differenti orientamenti sociali, culturali, politici, “religiosi”, leggono un capitolo del Tanach, ciascuno a modo proprio. Nelle sue tante incarnazioni, il progetto è adottato ad un certo punto dall’Orchestra Sinfonica di Haifa in una stagione ove musiche su testi dei Salmi figuravano in modo prominente. Ai concerti, si affiancavano esponenti della cultura israeliana. Ciascuno si sceglieva un salmo a lei o lui congeniale, lo leggeva ad alta voce come credeva: nel video, v’è uno sfondo sonoro sempre uguale, una serie di note fisse che modulano talvolta e fanno da bordone. Chi legge, si sdoppia. A volte contempla se stesso che legge, e si commenta con gli sguardi e con movimenti minimali. A volte, il viso è in primo piano, immobile, mentre la voce prosegue. Una scissione analoga a quanto accade dentro di noi, quando leggiamo un testo significativo, e ci vediamo e sentiamo leggere, ci guardiamo e ascoltiamo da fuori, e le parole risuonano dentro di noi e con i loro echi portano il nostro animo e il nostro intelletto in direzioni diverse.

Comincio da Dror Keren, un noto attore, regista, saggista. Salmo n. 1, naturalmente. “Beato l’uomo / che non ha seguito il consiglio dei malvagi / che non è rimasto sul percorso dei peccatori / né si è seduto in compagnia dei buffoni…” È come il bilancio di una vita trascorsa fra forze opposte e oscure, dilanianti, attraenti, imponenti, ma seguendo una via propria, seguendo una voce che porta ad altro, non alle vanità del mondo e alle gratificazioni immediate. Il volto intenso, lo sguardo puro, chiaro, di Dror Keren: soprattutto, la vibrazione sonora della lingua, nell’aria.

Poi Avraham Beniamin Yehoshua. Salmo 23. “Anche se camminerò fra le ombre della morte / non temerò alcun male, perché Tu sei con me”… Non commento, il volto così irregolare, particolare, carico di esperienza di Yehoshua, la profondità del suo sguardo e la particolare risonanza della sua voce, che sembra venire da lontano, eppure è qui, con noi, fortissima, presente, sicura, dicono tutto. E forse qualcosa di più…

La voce. La vibrazione che proviene dal nostro interno e che manifesta la nostra natura profonda all’esterno, al mondo. La voce, che viaggia nell’aria, raggiunge l’orecchio degli altri, ci presenta, comunica le nostre emozioni e riflessioni. Lo sguardo. Il volto. Ovvero le caratteristiche che ci definiscono. Le nostre vere carte d’identità. Ascoltate le inflessioni minimali della voce di Channa Azoulay, fra le attrici più grandi e importanti d’Israele, la voce e il volto di un’identità femminile e femminista “orientale” (parentesi: ci vuole una certa dose di fesseria, a definire una marocchina, proveniente da un paese ben più a Ovest di Russia e Polonia, “orientale”, ma è quello che succede in Israele…) in uno dei Salmi più duri e drammatici. Salmo 137. “Sui fiumi di Babilonia / là sedemmo e anche piangemmo… Come potremmo intonare il canto del Signore / sul suolo dell’alienazione?!”… Osservate quanto tutto sia minimale. E come questa voce forte e profonda, ma anche gentile ed esile, sottilmente disperata, continui a riverberare a lungo nell’orecchio di chi ascolta. E come gli echi terribili degli ultimi versi non ci lascino, a lungo. Come tante emozioni e considerazioni diverse, opposte a tratti, si alternino e risuonino nelle corde vocali, vibrino dal diaframma, si amplifichino e si formino nella laringe, nella faringe, nel cavo orale. Come il volto e le sue magnifiche rughe e quello sguardo vago e profondissimo aggiungano ancora più spessore alla voce. Facendo molto poco. Perché sono la vibrazione dell’aria, e il testo, a fare tutto…

È poi David Chakham Menachem ad aggiungere una dimensione ulteriore. Rabbino, magnifico musicista, ugualmente versato nell’oud, il liuto della musica araba, e nel ney, il flauto diritto di canna, cantante educato nella più grande delle tradizioni musicali ebraiche irachene, vale a dire la musica più ricca e complessa del Mashreq, l’oriente arabo. L’ultimo Salmo, il 150: “LodateLo con il suono prolungato dello sciofar, lodateLo con la cetra e la lira / lodateLo con il tamburo e le danze”… Le lettere Ayin e Chet secondo la pronuncia degli ebrei provenienti dai Paesi arabi, arrotondate e gutturali, colme di un soffio, di un vento che sembra venire dai recessi del cuore; la pronuncia che si fa quasi salmodia ripetitiva, cantilena senza note, ipnotica, nella quale anche David Menachem sembra perdersi e abbandonarsi alla contemplazione e alla meditazione: il suono della lingua che si fa strumento di cambiamento dell’animo e dell’anima…

La voce di David Menachem, le vibrazioni del Salmo 150, mi riportano alle Brahamayajna che ascoltavo al sorgere del sole in India: formule antichissime recitate dai bramani che con il loro semplice uscir di bocca, nella concezione vedica, cambiano la realtà fisica, per virtù della trasmissione del suono nell’aria e perciò delle loro frequenze. I nostri Maestri non dicono cose poi così diverse sulla recitazione dei Salmi. E se uno le ha capite solo mentalmente, tali parole dei Maestri, allora che ascolti e osservi David Menachem.

Poi, arriva l’esperienza delle esperienze. L’insieme di note e significati veicolati dal suono che assomiglia così tanto ad un inno in lode della Creazione e del Creato. Un inno che quasi ri-crea lo splendore del Creato. Certo, aiuta anche vedere il magnifico sorriso di Yael Abecassis, orgogliose origini marocchine, una delle attrici più note e migliori della scena israeliana. Notare le sottigliezze infinite di come la voce e il volto si sdoppino e commentino, amplifichino, rafforzino l’un altro. Salmo 104: “Benedici anima mia il Signore / Signore, Dio mio, Tu cresci molto e di continuo, Ti ammanti di splendore e di gloria / Ti avvolgi di luce come fosse un drappo, stendi i cieli come una cortina…” Feci vedere questo video ad una intelligentissima, profonda, colta bramina, alto ufficiale dell’aviazione indiana, nella clinica in cui entrambi curavamo le nostre schiene nell’India del Nord. Poi le lessi le parole del Salmo, in ebraico, mentre lei leggeva la traduzione inglese. I suoi occhi erano lucidi. “Questo è un magnifico mantra all’Essere Supremo che tutto ha creato con il suono”, mi disse alla fine. Risposi semplicemente, a occhi chiusi, badando bene a formare le sottili aspirazioni della hey: Hallelu-yah…

 

 

 

 


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