Cultura
It sounds jewish: una selezione

Assaggi musicali dalle puntate della rubrica curata da Massimo Acanfora Torrefranca

Difficilissimo scegliere, anzi quasi impossibile… ma ci proviamo: cinque edizioni della rubrica curata da Massimo Acanfora Torrefranca per raccontare quel sound… tutto ebraico. Che significa? Niente e tutto al tempo stesso: non è un genere musicale, non è la musica prodotta in un determinato luogo e in un determinato periodo, non è un particolare mix di contaminazioni… è tutto questo insieme, ma con un tocco speciale, quel non so che capace di rendere una musica, appunto, jewish. Qui di seguito trovate la puntata numero 1, là dove tutto ha avuto inizio. E a destra potrete visualizzare altri quattro episodi da rileggere e riascoltare. Enjoy…

Vi presentiamo per la prima volta la rubrica It Sounds Jewish…, un contenitore musicale di Massimo Acanfora Torrefranca, musicologo, storico della musica e ascoltatore appassionato. Ecco il primo brano, da leggere e ascoltare secondo i pensieri (eventualmente immaginifici) della nostra guida. Buon viaggio!

Va bene, il pezzo non è originalissimo. La melodia cita un tema già sentito, creato dalla band inglese Madness. Lo ska nel 1985 era cosa nuova, ma non dirompente. Il sound, bello, molto lavorato, ma certo non di quelli da wow! Il travesti del video, naive e ingenuo come pochi.
Però chiunque sia stato in Israele negli anni ’80 ’90 e 2000 lo ricorda, eccome! Ok, perché era diventato il jingle delle ferrovie israeliane. Ma soprattutto perché scatenava tutti. Indimenticabile una festa per lanciare la raccolta di fondi a favore di Tza’ad Qadima, la onlus che si occupa dei bambini e ragazzi affetti da paralisi cerebrale: accompagnatori e carrozzine a rotelle tutti lanciati in un parossismo allegro e contagioso, e a tratti anche pericoloso.

I protagonisti della serata erano loro, i Mashina, gruppo rock dalla storia complicata, piena di sberleffi, ironia graffiante e creatività e riferimenti doppi e tripli (insomma, un gruppo molto israeliano). Il pezzo, Rakevet Layla leQahir (Treno notturno per Il Cairo).
Tristezza, isolamento generalizzato, alienazione, sentirsi soli da morire nel sole di Dizengoff in piena Tel Aviv. E poi, un suono lontano, che chissà cos’è ma forse è lui, il treno notturno per Il Cairo.
Esotismo da quattro soldi? Beh, c’erano una volta i treni notturni in Medio Oriente. In un Paese piccolo, isolato, ribollente di vitalità e anche claustrofobico come Israele, è quasi naturale sognare di andare di notte, magari in wagon lit, fino alle Piramidi. Allora il sogno non sembrava così lontano. E in fondo, lo si sogna ancora oggi.

Per questo il pezzo è ancora popolare, al di là del ritmo trascinante e della performance come sempre perfetta di Yuval Banai. A riguardare Night Boat to Cairo dei Madness, ci si sente lontani, si sorride per l’ironia post coloniale. Qui si muove, almeno in me, qualcosa di ben più profondo. In un mondo dove è già complicato prendere il treno da Gerusalemme all’aeroporto Ben Gurion, ci si potrà pure illudere, a occhi aperti, di salire a bordo dell’alta velocità Tel Aviv – Baghdad – Mumbay?


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