Hebraica
La (quasi) rivoluzione egualitaria dell’ebraismo nell’Italia del Rinascimento
Foto dall'articolo originale ©Amanda Borshel-Dan

Un Siddur “femminista” del XV secolo apre una finestra sul mondo delle donne dell’epoca

Gerusalemme, Biblioteca Nazionale di Israele: le dita esperte del dottor Aviad Stollman girano con delicatezza le pagine del piccolo libro di preghiere. Scritto a mano più di 500 anni fa, riccamente illustrato, con una filigrana d’oro e un motivo floreale a volute lungo le sue pagine, tra le mani di Stollman questo volume in lingua ebraica appare decisamente grazioso. Ma le apparenze non vi ingannino: in quel libro sacro, splendidamente lavorato, c’è probabilmente la prova di una rivoluzione di genere di epoca rinascimentale.

La preghiera al femminile

Datato 1480, esso fa parte dei tre libri di preghiere “femministi” scritti da Rabbi Abraham ben Mordechai Farissol, che adattò una delle benedizioni più controverse della liturgia ebraica a favore delle donne. Ci sono due Siddurim [libri per la preghiera quotidiana; sing. Siddur] redatti in ebraico, del 1478 e 1480, e uno del 1485 in giudeo-provenzale. Secondo la professoressa Dalia Marx della Hebrew Union College di Gerusalemme, questi libri costituiscono la prima prova tangibile di una “esperienza femminile” della preghiera.

“La liturgia riflette la nostra comprensione del mondo e della realtà, il modo in cui spieghiamo l’esistenza”, dice Marx, che è anche una rabbina, spiegando perché i cambiamenti introdotti da Farissol siano importanti. Ancora oggi, durante la preghiera del mattino, la maggior parte degli uomini ortodossi recita una benedizione di lode a Dio per non averli fatti donna. Al suo posto, la maggior parte delle donne osservanti recita una benedizione di lode a Dio per averle fatte “secondo la sua volontà”.

I tre libri di preghiere destinati alle donne scritti da Farissol, invece, recitano: “Benedetto sei tu Signore, nostro Dio, Re dell’Universo, per avermi fatta donna, e non uomo”. In altre benedizioni, l’ebraico è declinato al femminile. La cosa eccezionale, spiega Marx, è che attraverso questa scelta linguistica Farissol si rivolgeva in modo mirato ed esclusivo alle destinatarie dei libri, donne di status sociale elevato che leggevano l’ebraico, adattando la liturgia ai loro bisogni.

Attraverso questi libri di preghiere e altri testi dell’epoca, possiamo risalire ad altre sorprendenti esperienze femminili: oggi, con le nuove banche dati (tra cui Sfardata, lanciata recentemente dalla Biblioteca Nazionale), gli studiosi sono in grado di farsi un’idea più completa di queste donne ebree del Rinascimento e del loro posto nella società.

Il passato ricostruito grazie agli archivi digitali 

Il libro che Stollman tiene tra le mani fu donato alla Biblioteca Nazionale da Felix Guggenheim nel 1973. Secondo quanto riportato nel suo colofone, fu scritto nel 1480 da un uomo che ne fece dono alla moglie, una ricca donna italiana. Di larghezza quasi pari alla sua altezza, il libro è rilegato in pelle bianca, con diverse fibbie a tenerlo chiuso.

© Amanda Borschel-Dan

Era originariamente suddiviso, sembrerebbe, in due o tre sezioni: Stollman mostra i tagli netti dei margini, indicanti una divisione e successiva rilegatura del libro a un certo punto della sua storia. Oltre al ciclo di preghiere per l’anno, contiene anche una Haggadah di Pesach, e una pagina dedicata alla rappresentazione illustrata di un Salmo in forma di menorah (nella foto a fianco), un costume cabalistico aggiunto da un altro scrivano in un momento successivo. Tra gli altri cambiamenti successivi, abbiamo la cancellazione di alcuni passaggi ritenuti denigranti verso i non ebrei. A operare tali censure erano spesso ebrei convertiti al cristianesimo, spiega Stollman.

Il libro è conservato presso la Biblioteca Nazionale e può essere consultato, per motivi di ricerca, soltanto su richiesta. Il suo contenuto è stato però caricato su Ktiv (il sito che, con un catalogo di circa 85000 testi, vanta la più grande collezione di manoscritti in ebraico digitalizzati) e su Sfardata. La genesi di Sfardata ha inizio nel 1969, racconta Stollman, con i dati raccolti dal professor Malachi Beit-Arié, a partire dai quali gli studiosi hanno potuto identificare alcune donne dell’epoca che leggevano o commissionavano libri in ebraico, e in alcuni casi addirittura li scrivevano.

 

 

Le donne amanuensi

P. Ascarelli, Debora Ascarelli poetessa, Sindacato Italiano Arti Grafiche Editore, Roma, s.d. (ma 1925), p. 5 Fonte: Enciclopedia delle Donne

Le ricerche della studiosa Judith Baskin forniscono i nomi di alcune donne amanuensi del primo Rinascimento. In un saggio scritto a quattro mani con lo studioso Michael Riegler (May the Writer Be Strong: Medieval Hebrew Manuscripts Copied By and For Women) emerge in modo particolare il lavoro della poetessa Debora Ascarelli di Roma, vissuta nel XVI secolo, che tradusse alcune parti della liturgia dall’ebraico all’italiano. Un suo volume, “L’abitacolo degli oranti”, fu pubblicato a Venezia nel 1601. Secondo i due studiosi, questa traduzione italiana (rimata) di preghiere dall’originale ebraico è “presumibilmente il primo libro mai pubblicato da una donna ebrea”.

Spiegando che per le suore cristiane lavorare come copiste era piuttosto comune, gli autori menzionano diverse donne ebree, spesso figlie di copisti, che altrettanto svolgevano questo lavoro. Tra le altre, ci fu Pola, che visse nel tardo XIII secolo a Roma e ricopiò “centinaia di pagine su pergamena”, e Fromet, una donna amanuense di Ashkenaz (Germania), che visse a metà del XV secolo e ricopiò per il marito i commentari del Talmud. Baskin e Riegler citano anche Miriam, figlia di Benayah, che nello Yemen del tardo XV secolo riempì lo spazio per la dedica con una frase che molte madri possono capire ancora oggi: “Non me ne vogliate se ci sono degli errori. Sono una madre che allatta. Miriam, figlia di Benayah lo scriba”.

Riguardo il volume di preghiere di Farissol, precisa Baskin in uno scambio di e-mail con The Times of Israel, le benedizioni modificate non avevano lo scopo di scatenare un cambiamento nella società, erano bensì una forma di apprezzamento per lo status e l’erudizione delle donne che ricevevano questi libri in regalo. Aggiunge, questi libri non erano destinati alla preghiera pubblica in sinagoga.

“Ritengo che questa dichiarazione di gratitudine per ‘essere stata creata donna’ sia un forte indicatore del fatto che alcune donne ebree colte del nord Italia e della Provenza si mostrarono infastidite dall’implicazione di donna come persona di serie b, e che i loro uomini vollero rassicurarle che non era così”, dice Baskin.

L’Italia, una bolla femminista

Poiché il cambiamento linguistico si limita a questi tre soli libri di preghiere, gli studiosi sono riluttanti a parlare di “rivoluzione”. “Si tratta di un’innovazione, ma non la chiamerei rivoluzionaria perché rimase isolata, non ebbe influenza sulla liturgia ebraica, nemmeno in Italia”, dice Baskin. I tre libri di preghiere sono gli unici manoscritti mai ritrovati in cui le parole siano state adattate per le donne. Il professore di Storia della Queen’s University Howard Adelman concorda che non si possa parlare di rivoluzione della liturgia. “Credo che “armeggiare” con la liturgia sia tipico degli ebrei: rispecchia il fatto che qualcosa, nelle sue parole, viene percepito come motivo di disagio”. Adelman non esclude la possibilità che altri libri simili possano essere andati perduti.

Ritratto di Abraham ben Mordecai Farissol, dipinto da Bartolomeo Veneto. Fonte: Wikipedia

L’autore dei tre libri, Farissol (circa 1451-1525), non era affatto un riformatore, ma piuttosto un prodotto della sua società, illuminata e impegnata intellettualmente. Nato ad Avignone, si trasferì giovane a Ferrara, poi a Mantova. Nel suo Women and Jewish Marriage Negotiations in Early Modern Italy: For Money and Love, Adelman spiega che la Mantova dell’epoca offriva opportunità eccezionali alle donne ebree.

“Quasi esclusivamente solo a Mantova, le donne, previo superamento del necessario processo di certificazione, potevano ricevere la licenza ufficiale per compiere la macellazione rituale degli animali”. Citando altri esempi di donne ebree inusuali, Adelman scrive: “Fioretta o Batsheva Modena studiava la Torah, la Mishnah, il Talmud, la Halakhah, Rambam, la Cabbalah e lo Zohar. Pazienza Pontremoli corrispondeva con Isabella Gonzaga d’Este, marchesa di Mantova. Nelle loro lettere parlavano di letteratura rabbinica e classica. La cantante d’opera Madama Europa (nome d’arte di Europa Rossi) si esibiva alla corte del duca di Mantova”.

Oltre a essere un amanuense, Farissol era una personalità nota a Ferrara, tanto da essere scelto per rappresentare la comunità ebraica nella disputa teologica con due monaci domenicani davanti al duca Ercole d’Este, un diversivo di corte piuttosto comune per l’epoca. Oltre a scrivere estensivamente di teologia, Farissol fu anche giornalista ante litteram del mondo ebraico: scrisse il primo manuale moderno di geografia in ebraico, dal titolo Iggeret Orhot Olam, i cui trenta capitoli comprendono racconti sulle 10 tribù perdute e cronache del Nuovo Mondo da poco scoperto.

Nella scelta di aggiornare la liturgia del suo libro di preghiere, è probabile che non ci fosse l’intenzione di creare repentinamente dei nuovi orizzonti nell’ebraismo. È semmai possibile che il confronto con altre tradizioni di cui venne a conoscenza gli fornì gli strumenti per introdurre queste variazioni di genere in un libro destinato essenzialmente all’usato privato.

Il Siddur, il libro dei libri

Dalia Marx afferma che, in un certo senso, le formule impiegate da Farissol richiamano una versione precedente delle benedizioni ritrovata nella Geniza del Cairo – una collezione di manoscritti e frammenti scoperta in età moderna – che risale probabilmente all’inizio del secondo millennio.

“C’è una versione delle benedizioni ritrovata nella Geniza del Cairo che si rivolge a Dio in seconda persona”, spiega. Nei libri di Farissol, le benedizioni mattutine sono scritte allo stesso modo, allorché la versione moderna, a metà di ciascuna benedizione, passa alla terza persona. Questi testi della Geniza, dice la studiosa, sono molto vicini agli antichi riti palestinesi che nel corso del tempo sono andati largamente perduti.

“La cosa interessante è che a volte la liturgia italiana preserva degli antichi tratti palestinesi a causa delle rotte migratorie. Gli Ebrei che lasciarono Israele migrarono per il Mediterraneo e raggiunsero l’Italia, e da lì Ashkenaz (la Germania) e l’Europa dell’Est (…) perciò, maggiore è la distanza da Israele, minore è l’influenza palestinese”.

Allo stesso tempo, Marx definisce le modifiche linguistiche di Farissol “un’anomalia” e il testo “idiosincratico”. “Ancora oggi nelle sinagoghe di rito italiano ci sono alcune differenze nelle benedizioni mattutine rispetto ai Siddurim tradizionali, ma questa formula non c’è”.

Per la sua natura sempre in evoluzione, la varietà letteraria e l’inclusione di materiale di diverse epoche e diverse parti del mondo ebraico, il professor Joseph Tabory dell’Università di Bar Ilan definisce il Siddur come il suo “libro della proverbiale isola deserta”. In un saggio del 1997 (The Prayer Book (Siddur) As an Anthology of Judaism), Tabory asserisce: “Dobbiamo essere consapevoli che non esiste e non può esistere un’edizione standard del Siddur”.

Alcuni rabbini dell’ebraismo ortodosso moderno, tra cui Rabbi Shlomo Riskin e Rabbi Asher Lopatin hanno dichiarato di avere personalmente introdotto dei cambiamenti nella recitazione delle benedizioni del mattino. Per l’ebraismo liberale che osserva, dice Marx, l’uso di queste formule non costituisce più un problema. Tuttavia, aggiunge, il movimento femminista interno all’ortodossia sta portando avanti una discussione “molto interessante, molto fruttuosa e molto erudita”.

La studiosa mette in guardia sugli effetti che la recita quotidiana di passaggi “difficili” può avere sugli uomini e sul modo in cui vedono le donne. “Non è questa la causa del sessismo, dell’esclusione delle donne dall’istruzione o della violenza, ma quando pronunci frasi liturgicamente problematiche, non puoi dire di stare solo recitando una preghiera per poi tornare alla vita reale come se niente fosse”.

E conclude dicendo: “Il Siddur è il libro più comune tra gli ebrei, il libro dei libri, più della Bibbia o della Torah. È il testo che utilizziamo per spiegare noi stessi e la nostra esistenza”.

 

[Traduzione dall’originale inglese di Silvia Gambino]

Amanda Borschel-Dan
Giornalista presso The Times of Israel

Amanda Borschel-Dan è direttrice responsabile della sezione dedicata a mondo ebraico e archeologia di The Times of Israel.


4 Commenti:

  1. articolo molto interessante che non fa altro che dimostrare, in caso ce ne fosse bisogno, il tracollo dell’ebraismo italiano. Quante donne in italia oggi dicono birchot hashar? quante almeno sanno cosa sono?

  2. Shalom, this is Amanda from The Times of Israel. I am honored that you decided to translate my story, however you must be careful about unlicensed use of text and images. In this case, the uncredited images were taken by me and since I am happy for the topic to be made available by an Italian readership, I would only ask that you give me photographer credit as well. However, in terms of Israeli law (and likely in Italy as well), use of photographs without permission is a very clear lawsuit — and almost instantaneous win. With that in mind, please at least ask permission prior to translating any Times of Israel articles and I will be able to at the very least keep you away from potential trouble. Amanda

    1. Dear Amanda,

      thank you for writing us. Photo credits have been added. We apologize for our inaccuracy. Should there be any further requirements, please do not hesitate to contact us again.

  3. Articolo interessantissimo, alcuni di questi argomenti sono stati trattati dai due soferim invitati a Lev Chadash, per la Giornata Europea della Cultura Ebraica l’anno scorso, Marc Mordechai Pinchas Michaels e Avielah Barclay Michael . Mi aveva molto colpito il commento della soferet sulle figure femminili, e anche sulle rivendicazioni “sindacali” inserite nei colophones.


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