Hebraica
La storia di Ruth

La mietitura, il dono della Torah e la carestia

C’è un nesso che lega il libro di Ruth, il secondo delle cinque meghillot, i cinque rotoli del canone biblico, alla festa di Shavuot. La meghillà di Ruth è un testo compatto di appena ottantacinque versetti che racconta una vicenda che si svolge durante la mietitura. Vediamo applicate alcune leggi della Torà – il diritto dei poveri alla spigolatura, il riscatto dei beni dei parenti caduti in miseria e il levirato – e Shavuot è per la tradizione la festa della mietitura e del dono della Torà. Per questa contiguità oggi in numerose comunità ebraiche a Shavuot viene letto il libro di Ruth.

Quando si svolge la storia di Ruth? Come sempre quando ci aggiriamo nelle terre del mito è un esercizio che lascia il tempo che trova cercare di comporre una precisa cronologia. La tradizione del midrash, racconto che spiega andando oltre il versetto biblico e dilatandolo, presenta per ogni vicenda varianti e alternative, cioè possibilità differenti ma altrettanto valide che rendono parziale ogni tentativo di sintesi. Secondo la meghillà la storia si svolge “al tempo dei giudici”. Il Seder Olam Rabbà specifica che ci troviamo cento anni dopo il governo di Otoniel, ma per altre fonti nel periodo di Deborah (le due versioni sono peraltro tendenzialmente compatibili, visto che Otoniel precede Deborah). Dove la meghillà fa riferimento a una carestia in Terra di Israele, il midrash descrive una situazione di ingovernabilità, malcontento popolare e fame diffusa. Dalla creazione del mondo all’avvento del messia dieci carestie vennero al mondo, riporta Bereshit Rabbà, tra cui quella del libro di Ruth. Secondo Ruth Zutà non si trattava solo di mancanza di cibo, ma anche di mancanza della parola di Dio, alimento celeste.

A causa della carestia un uomo di Bet Lechem (Betlemme), Elimelech, si trasferisce nella terra di Moab con la moglie Noemi e i figli. Secondo alcuni midrashim Elimelech e i suoi appartengono all’aristocrazia di Israele. Se ne vanno senza aver commesso quelle trasgressioni che hanno provocato la carestia, ma anche senza provare ad alleviare la condizione dei più bisognosi. Ruth Zutà aggiunge che si sentono attirati dai moabiti perché, come questi, sono incapaci di spendersi per gli altri. La loro colpa è dunque l’omissione di soccorso. Come Giobbe in un noto midrash, anch’essi sono colpevoli non di azione malvagia bensì di indifferenza e inazione. Per il Targum Ruth Elimelech e i figli a Moab diventano ufficiali dell’esercito, mentre Ruth Rabbà specifica che i figli di Elimelech sposano le figlie del re di Moab (però soltanto dopo la morte del padre, contrario ai matrimoni misti).

Le due mogli moabite si chiamano Orpà e Ruth. Secondo i materiali midrashici più antichi al momento delle nozze non si erano convertite all’ebraismo mentre in un testo ormai del pieno medioevo come lo Zohar si fa riferimento a una conversione, che nel caso di Orpà è però superficiale perché dopo la morte del marito la donna torna a adorare gli idoli. In seguito alla morte di Elimelech anche i due figli muoiono, secondo il midrash, per le colpe del padre che si era rifiutato di condividere i beni con il suo popolo affamato e aveva preferito lasciarlo nelle difficoltà emigrando altrove. Rimangono tre donne sole.

Noemi “la dolce” viene aiutata dalle due nuore, che rinunciano ai beni dei defunti mariti a suo vantaggio. Per il midrash Noemi decide di tornare a casa, a Bet Lechem, per ispirazione divina oppure per aver saputo da alcuni viaggiatori ebrei che la carestia era finita. Cerca di convincere le due vedove più giovani a non seguirla perché immagina che sarebbero disprezzate in quanto straniere. A quell’epoca in Terra di Israele la popolazione era rigidamente distinta in gruppi diversi, spiega Ruth Zutà, ciascuno dei quali con un differente abbigliamento ben codificato. Noemi teme dunque che le nuore si sentano fuori posto e siano umiliate. Orpà si lascia convincere dopo breve insistenza (e appena lasciata Noemi torna alla condotta immorale, cioè all’idolatria), Ruth invece le rimane accanto a ogni costo.

Dopo quella di Abramo, che però ha caratteristiche molto differenti, la storia di Ruth diventa il principale modello biblico di conversione. Il Talmud e il midrash sottolineano la sua decisione ferma a entrare a far parte del popolo di Israele. Noemi, come vuole la tradizione sulle conversioni codificata in età rabbinica, rifiuta la prima richiesta di Ruth ma la accoglie come convertenda, ghiurà, quando la giovane ripete la richiesta. Le spiega allora le regole a cui dovrà attenersi, come l’osservanza dello Shabbat e delle feste e il guardarsi bene dalle pratiche idolatre e dalla frequentazione di spettacoli e divertimenti pagani. Noemi conclude chiarendo l’unità della Torà divina. Ruth allora replica con il versetto biblico: “Ovunque andrai tu andrò anch’io e dormirò dove dormirai; il tuo popolo è il mio popolo, il tuo Dio è il mio Dio”. Le due donne giungono a Bet Lechem nel periodo della mietitura dell’orzo.

Ruth, racconta la meghillà, va a spigolare nei campi del ricco Boaz, parente di Elimelech. Per il testo biblico la giovane capita lì per caso, ma il midrash specifica che è stata accompagnata da un angelo, un inviato divino. Fin da subito l’educazione ricevuta da Noemi – in termini moderni potremmo dire il ghiur – rende Ruth particolarmente umile e pia. Lo stesso Boaz nota che quando ai mietitori cadono numerose spighe Ruth ne raccoglie soltanto due, lo stretto necessario per la sussistenza propria e della suocera. Così Ruth Rabbà. Boaz ammira la grazia e la modestia di Ruth, l’attaccamento a Noemi e alla legge ebraica a cui ha scelto liberamente di aderire. Secondo il Talmud Dio mette la sua benedizione sulle spighe raccolte, che bastano per il pasto, e invia a Boaz una visione nella quale gli annuncia che per ricompensare il bene fatto a Noemi Ruth avrebbe dato vita a una discendenza di re e profeti. Poi Boaz insiste perché Ruth raccolga una maggiore quantità di cereale, convincendo i mietitori a lasciare cadere a terra apposta intere fascine di spighe. Ruth prende con sé soltanto lo stretto necessario per il fabbisogno giornaliero. Nella meghillà si legge però di un ricco raccolto da parte di Ruth, al punto che Ruth Zutà suggerisce il sospetto, da parte di Noemi, che la giovane lo abbia ottenuto come dono dai suoi amanti.

Noemi, spiega il midrash, capisce che dietro la gentilezza di Boaz c’è qualcosa di più. Allora studia un piano per costringere l’uomo, vedovo anch’egli, a fare il passo decisivo. Ruth, come sempre, accetta senza discutere quanto le viene detto dalla suocera: “Farò tutto ciò che hai detto”. Seguendo le indicazioni di Noemi, Ruth si lava, si unge e indossa il mantello migliore, poi si reca all’aia dove Boaz è solito dormire (chiaro segno di tempi di crisi, commenta il midrash, se anche i benestanti si coricano sul fieno!). Per alcune fonti Ruth è inquieta a muoversi da sola di notte, tanto più vestita in modo appariscente, perché teme di attirare sgradite attenzioni. Per la sua bellezza nessun uomo può guardarla senza innamorarsene, chiosa Ruth Rabbà.

Quando nell’aia avviene l’incontro notturno Ruth racconta di essere stata più volte molestata da giovani uomini senza scrupoli e chiede protezione. Boaz, che secondo il midrash ha appena terminato uno studio di Torà, le spiega che il giorno seguente la riscatterà se non lo farà suo fratello. Poi la congeda con sei misure di orzo, che stando a numerose fonti indicano che Ruth sarà l’antenata di sei uomini giusti: David, Daniel, Anania, Misael, Azaria e infine il messia. L’indomani Boaz prende dieci uomini – così la meghillà; per il midrash convoca il Sinedrio – per regolare la questione. Come previsto il fratello di Boaz, Tov, persona ignorantissima quanto a Torà, rifiuta di sposare Ruth, che per Giuseppe Flavio compie il rituale dello sfilamento del calzare del congiunto che ha rifiutato di sposarla. Si può così celebrare il matrimonio tra Ruth e Boaz: quarant’anni lei, ottanta lui, specifica Ruth Rabbà. Serve un miracolo perché nasca una discendenza, ma è proprio quello che succede secondo la tradizione. Il figlio che nasce un anno più tardi tra lo stupore generale viene chiamato Oved, cioè servo (di Dio). La vita coniugale è però di brevissima durata. Il midrash Leqach Tov descrive nei dettagli la morte di Boaz durante la prima notte di nozze e Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche parla della nascita di Oved a un anno dal matrimonio. Ruth è nuovamente vedova. A parziale risarcimento, spiega il Talmud, vivrà fino ai tempi di Salomone, di cui è trisavola.

Gli ultimi versetti, in cui troviamo l’albero genealogico di re David, sono forse i più celebri della meghillà. E Orpà? Per il midrash a ricompensa delle quattro lacrime sparse al momento dell’addio a Noemi dà origine a quattro giganti. Tra questi, il più forte sarà il grande nemico di David, il gigante Golia. La tradizione rabbinica interpreta le figure delle due sorelle anche attraverso il confronto tra i rispettivi discendenti.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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