Cultura Di canto in canto
Leah Goldberg, poesia per un nuovo anno. Anzi, per un nuovo giorno

Rosh haShanah sta per arrivare e con lui un nuovo ciclo. Di rinnovamento, di cambiamento. E qui lo celebriamo con i versi di una preghiera per non cedere all’abitudine

Per diversi giorni ho cercato nella mia memoria una poesia che potesse essere adatta a questo momento del calendario ebraico, teso ormai verso l’imminente Capodanno. O, viceversa, un testo poetico che fosse stato scritto per celebrare l’occasione. Esclusi pochi brani destinati all’infanzia, non ho trovato granché. E successive indagini in biblioteca e in rete non hanno prodotto risultati più confortanti. A dispetto della delusione iniziale, ho concluso che si tratta comunque di un fenomeno affascinante. Non è casuale, infatti, che rispetto a Yom Kippur, ad esempio, la celebrazione di Rosh Ha-Shanah abbia ispirato in minor grado i poeti, almeno quelli “laici”. È verosimile che il giorno dell’espiazione susciti sensazioni più radicali e sconvolgenti, maggiormente adatte a una rielaborazione poetica.
Esiste, però, una poetessa che più di ogni altro ha saputo interpretare l’atmosfera di compimento e di promessa che ogni capodanno reca con sé, benché le intenzioni originali della sua scrittura fossero del tutto diverse. Mi riferisco a Leah Goldberg e alla lirica conclusiva del ciclo Shirey sof ha-derekh (“Poesie di fine cammino”), pubblicato per la prima volta sul mensile femminile Devar ha-po῾elet nel 1954. È vero, di Leah Goldberg ho già scritto in marzo, in piena pandemia, rievocando un testo divenuto ormai un grande classico: “Davvero ancora verranno giorni” . Tuttavia, è stata, la mia, una scelta quasi imprescindibile.
Il cammino citato nel titolo della serie allude all’esistenza umana, spesso rappresentata nella lingua ebraica attraverso metafore analoghe. “Sappi da dove sei venuto, dove stai andando, davanti a chi dovrai rendere conto e ragione”: così recitano i Pirqe Avot, riassumendo il significato ultimo del passaggio dell’uomo in questo mondo, dalla creazione, al trapasso e fino al giudizio divino. Nello stesso modo, la morte, la vita e il ciclo dell’esistenza umana cercano una spiegazione tra le pieghe dei versi di Leah Goldberg, culminanti in una semplice, straordinaria preghiera finale. “Insegnami, o Dio, / a benedire e a pregare / per il mistero di una foglia seccata / per lo splendore di un frutto maturo”. Quanta morte e quanta vita sono racchiuse in queste parole, che invitano ad accogliere con le braccia e i cuori spalancati ogni possibilità dell’esistere, sia esso colto nell’inizio o nel suo compimento! E quale augurio migliore per il tempo che rinnova in questi giorni il suo corso se non quello di vivere rifiutando ogni assuefazione a se stessi e ai propri limiti? Perché non sia ogni giorno un’abitudine.

Insegnami, o Dio,
a benedire e a pregare
per il mistero di una foglia seccata
per lo splendore di un frutto maturo
per questa libertà
di vedere, di sentire, di respirare
di sapere, di sperare, di cadere.

Insegna alle mie labbra
una benedizione e un canto di lode
nel rinnovarsi del tuo tempo con il mattino e con la notte,
perché non sia questo mio giorno come ieri e l’altro ancora,
perché non sia per me ogni mio giorno un’abitudine.

Sara Ferrari
Collaboratrice

Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).

 


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