Israele
L’unità speciale Nili

Storia e attualità di una struttura operativa segreta che nasce più di cento anni fa

Come esiste una guerra visibile, tangibile, così si dà, del pari, un conflitto di ombre, che si accompagna alla guerra combattuta sul campo. Quest’ultima non è mai uno scontro diretto, immediato, come tale identificabile secondo criteri e parametri tanto certi quanto sicuri. Semmai si tratta di una sorta di conflitto parallelo, fatto di immagini ed immaginazione prima ancora che di soggetti identificabili. Israele, antecedentemente alla sua nascita nel 1948, ha costruito una parte delle sue fortune coltivando – e quindi alimentando – una solida raffigurazione di sé, che come tale non è solo di superficie, per la quale all’attività visibile si accompagna quella segreta o comunque clandestina. Non è un caso, infatti, se il suo nome sia stato ripetutamente accostato a quello dei suoi servizi segreti. Proverbiali, al riguardo, solo le diverse azioni che questi ultimi, in origine assai spesso più organizzazioni di taglio artigianale che non vere e proprie centrali operative, hanno comunque saputo compiere nel corso del tempo passato. Rafforzandosi nel corso del tempo.

Con esiti tra di loro a volte contrastanti. Basti pensare, tra gli altri, alle operazioni contro i criminali nazisti in libertà (come l’identificazione e la cattura di Adolf Eichmann a Buenos Aires, nel 1960), la risposta al massacro degli atleti israeliani a Monaco di Baviera nel 1972 (la lunga impresa conosciuta come Mivtza Za’am Ha’el, «Ira di Dio», ovvero anche «operazione baionetta»), la liberazione ad Entebbe, il 4 luglio 1976, di 102 ostaggi tenuti in mano dagli uomini del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e così via. La lista sarebbe in sé lunga, sommando la caccia agli sterminatori della Seconda guerra mondiale, l’eliminazione di esponenti del terrorismo prima arabo e poi musulmano, la neutralizzazione preventiva di potenziali pericoli, la dissuasione di eventuali avversari dal cercare di colpire sia Israele, così come i cittadini israeliani, al pari degli obiettivi ebraici sparsi un po’ in tutto il mondo.

Naturalmente, i risultati se, in più di un caso, si sono rivelati premianti, in altri, invece, non hanno prodotto gli effetti sperati. Più in generale le complesse e composite attività dei servizi segreti, così come delle forze speciali dell’esercito, sono il prodotto dell’intreccio di più fattori. Alcuni di essi senz’altro manifesti, a partire dall’impegno all’azzeramento del pericolo incombente. Altri, invece, per così dire latenti ma, non per questo, meno importanti, cercando i garantire due scopi: da un lato il rassicurare la propria opinione pubblica sul fatto che si è in grado di gestire il contesto ostile, senza risultarne travolti; dall’altro, comunicare al proprio nemico che qualsiasi sua operazione gli comporterà dei costi che, in prospettiva, potrebbero risultargli più onerosi degli immediati utili. Si tratta anche di un cinico bilanciamento, almeno in quest’ultimo caso, che tuttavia risponde a criteri di politica concreta, dove non si può mai cercare il risultato ottimale ma si deve comunque raggiungere il target effettivamente perseguibile.

Per essere più chiari, venendo così all’oggi: neutralizzare i capi di Hamas, quanto meno quelli raggiungibili fisicamente – e non la leadership che da tempo si è consegnata ad un dorato esilio tra il Qatar e altri paesi – comporta molti costi e rischi. Non di meno, se eliminato un capo del terrorismo ad esso, in una prevedibile linea di successione, se ne sostituisce come alternativa, da subito un altro, cosa ne deriverà concretamente per il più generale conflitto che, dai primi anni Novanta, si è innescato tra Gerusalemme e Gaza? Le valutazioni sono sempre problematiche e suscettibili di costanti mutamenti.

Questa premessa serve per comprendere quanto da almeno un paio di settimane si va dicendo negli ambienti dei “bene informati”, una notizia puntualmente arrivata alla stampa israeliana ed internazionale. Lo Shin Bet, l’intelligence che si occupa del controspionaggio e che, come tale, lavora anche sui dossier relativi alla Striscia di Gaza e al West Bank, ha creato un’unità operativa speciale, denominata Nili (acronimo di Netzach Yisrael Lo Yeshaker  ovvero, l’«eternità [gloria] di Israele non tradirà [mentirà]», una frase che ha le sue radici nella Bibbia, precisamente in 1 Samuele 15:29, che afferma: «Inoltre, l’Eterno d’Israele non mente e non si pente, poiché non è un essere umano che dovrebbe pentirsi»). Il suo compito è quello di identificare i responsabili dei massacri compiuti il 7 ottobre per neutralizzarli. La qual cosa è, al medesimo tempo, un esercizio di controguerriglia e una risposta, non importa se considerata da certuni come vendicativa, nei confronti dei mandanti della strage di quasi un mese fa. Oltre che, si intende, dei rapimenti e dell’alto numero ostaggi, circa duecentoquaranta, attualmente in mano ai gruppi terroristici.

Il primo obiettivo è quello di localizzare ed eliminare i componenti della Nukhba («élite»), gruppi di commando che operano perlopiù dal mare costituendo un reparto specializzato delle brigate Izz ad-Din al-Qassam, ossia l’ala militare di Hamas. La convinzione dell’intelligence israeliana è che siano state proprio tali unità ad avere diretto militarmente l’aggressione del 7 ottobre. Per le stesse forze armate israeliane i commando di Nukhba «sono costituiti da terroristi selezionati da agenti senior di Hamas, designati a compiere attacchi terroristici come imboscate, raid, assalti, infiltrazioni attraverso tunnel» oltre a tutte le attività di guerriglia di questi ultimi anni. Ed ancora, «il loro obiettivo principale è attaccare sopra o sott’acqua e infiltrarsi in Israele attraverso le sue spiagge, utilizzando esplosivi sottomarini e missili guidati che non sono influenzati dal sistema di difesa aerea Iron Dome. I target includono infrastrutture israeliane in mare, navi militari e civili e centrali elettriche».

Per quello che è dato sapere, il reclutamento dei miliziani privilegia quanti, soprattutto tra coloro che vivono di pesca, hanno una maggiore confidenza con l’acqua e, quindi, con il mare, nonché una buona conoscenza della topografia relativa alle aree limitrofe alla Striscia di Gaza (che nel suo insieme, va ricordato, non supera i 360 chilometri quadrati). Ai selezionati, e poi ingaggiati – che vengono sottoposti ad un lungo e duro training, di fatto trasformandoli in veri e propri combattenti – è garantita una remunerazione periodica tale da permettere alle loro famiglie di vivere in una condizione economica di relativo agio, comunque molto al di sopra dello standard medio di un qualsiasi abitante di Gaza. Particolarmente incentivato è lo spirito di corpo nonché la determinazione ideologica, oltre che operativa, a colpire gli obiettivi, tanto più se civili. Nukhba, non a caso, pur mantenendo un profilo riservato, pubblicizza la sua presenza – e quindi i suoi atti di terrorismo – attraverso il ricorso ai social network ed in particolare sul canale Telegram delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam.

Di fatto tali commando sono una creazione relativamente recente, voluta da Hamas dopo gli eventi militari che infiammarono la Striscia tra il 2008 e il 2009. Il controllo (sia pure relativo) del mare prospiciente Gaza è poi importante sia per rifornirsi di armi sia per regolare i traffici clandestini di merci, quando le une e le altre riescono a superare i rigidi filtri della marina militare israeliana. Dopo alcune sconfitte tattiche, le unità terroristiche sono state riorganizzate e riequipaggiate con il concorso attivo dell’Iran. Un fatto che tuttavia non ha impedito che alcuni suoi componenti successivamente abbandonassero Gaza per unirsi all’Isis nella penisola del Sinai. Non è un caso, peraltro, che ciò sia avvenuto poiché da tempo altri gruppi jihadisti contedono ad Hamas il palmares della violenza. Rispetto all’organizzazione sunnita, i suoi antagonisti sono invece impegnati nella diffusione di un terrorismo sistematico fuori da qualsiasi confine, intendendo espandersi ovunque gli sia possibile. Da ciò anche il fatto che considerino la «Palestina» come uno dei diversi obiettivi da praticare. Non l’unico e neanche necessariamente quello principale. La consistenza di Nukhba è calcolata sul migliaio di uomini, attualmente impegnati, insieme alle altre formazioni paramilitari di Hamas, Jihad islamico e a gruppi minori, nel conflitto in corso da terra contro Israele.

Lo Shin Bet ha denunciato il fatto che ai commando, adeguatamente armati, attrezzati e predisposti ad agire nel territorio meridionale d’Israele, sia stato dato l’ordine di uccidere sistematicamente chiunque avessero incontrato durante le loro incursione del 7 ottobre, senza escludere bambini, anziani e comunque persone completamente indifese. La tattica usata, in più di un caso, dopo lo sfondamento delle linee di separazione nel nord della Striscia, oltre all’abbondante ricorso ai pick-up, agilissimi e molto veloci, è stata quella di impadronirsi delle auto con targa israeliana, per meglio confondersi in mezzo ai civili, impedendo inoltre un’immediata reazione delle forze armate e di sicurezza di Gerusalemme.

Nili, in un tale frangente, utilizzando il know-how già sviluppato in altre esperienze di controterrorismo, ha un mandato esclusivo, quello di concentrarsi sulle teste pensanti, ed operative, di Nukhba. Si tratta di eliminarle o comunque di renderle inoffensive. Il contributo deriverebbe anche dal Mossad, nel caso l’obiettivo sia all’estero o in situazioni dove sia necessario il suo intervento. Inoltre, considerando il teatro di guerra e quanto avvenuto in passato, è prevedibile il supporto e l’azione dei commando delle forze speciali, dalla Flottiglia 13 della Marina alla Sayeret Matkal. Anche per questo l’unità è mista, ossia composta di agenti di intelligence, di militari professionisti, di analisti e di infiltrati sul campo. La sua operatività è indipendente dalle attività che l’esercito israeliano sta svolgendo nella Striscia. A Nili prima ancora che riguardare l’azione, compete la precisa individuazione dei target. Tuttavia, in quanto team, opera secondo il criterio «Search and Destroy». Di fatto non è una nuova struttura dei servizi di intelligence e neanche delle forze armate ma un sistema di coordinamento a rete per obiettivi di lungo periodo che, in tutta probabilità, permarranno come tali anche quando le operazioni di terra dovessero esaurirsi. Poiché si parla, complessivamente, di circa 2.500 ricercati.

Dall’arresto di due membri operativi di Nukhba, Amer Abu Awash e Hassan Zaarab, e dai loro interrogatori, le autorità israeliane hanno avuto il riscontro che diverse strutture mediche e sanitarie di Gaza, a partire dall’ospedale Shifa, sono abitualmente utilizzate, nei loro sotterranei, come depositi di armi, rifugi per i miliziani, centri operativi.
Rimane un riscontro: per chi conosca la storia d’Israele e del sionismo l’acronimo Nili è per nulla inedito. Si tratta del rimando ad una vicenda di più di cento anni fa, quando una piccola rete, del tutto artigianale, di ebrei presenti nella Palestina ottomana, si adoperò per fornire informazioni e agire a favore del Regno Unito, che dal 1917 avrebbe esercitato prima il controllo militare e poi il potere mandatario sulle quelle terre. A fare da leader di Nili era un agronomo, Aaron Aaronsohn. È stato ricordato che «la vicenda si può anche leggere su The Jewish Virtual Library, dove si racconta nei dettagli come la [sua] famiglia fosse parte del primo insediamento di Zikhron Ya’akov nel 1880. Aaronsohn scoprì una varietà di grano resistente agli agenti atmosferici e, durante la Prima guerra mondiale, fondò una rete di spionaggio ebraica per assistere gli inglesi e denunciare l’oppressione turca sugli ebrei. Usando la copertura delle sue ricerche agricole, le spie comunicavano con gli inglesi attraverso segnali luminosi e piccioni viaggiatori. Nel 1917, i membri del gruppo furono catturati e alcuni subirono torture. Le informazioni raccolte da Nili furono fondamentali per la vittoria inglese a Beersheba. Un museo dedicato a Nili è stato inaugurato nel centro storico di Zikhron Ya’akov, dove sono esposte foto, lettere, documenti e diorami che illustrano la storia della rete di spionaggio ebraica durante la Prima guerra mondiale.

 

 

 

 

Claudio Vercelli
collaboratore

Torinese del 1964, è uno storico contemporaneista di relazioni internazionali, saggista e giornalista. Specializzato nello studio della Shoah e del negazionismo (suo il libro Il negazionismo. Storia di una menzogna), è esperto di storia dello stato di Israele e del conflitto arabo-israeliano.


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