Cultura
L’universo di Leo Contini Lampronti in mostra a Ferrara

Una personale al MEIS racconta l’artista e risponde alla domanda: cosa significa arte ebraica?

Lo sviluppo creativo di un artista è spesso scandito dalle tappe salienti della sua esistenza. E viceversa. Nel caso di Leo Contini Lampronti si può azzardare una suddivisione di vita e lavori in momenti ben distinti, individuandone una correlazione. È quanto capita ammirandone le opere in mostra dal 9 novembre al MEIS di Ferrara nella monografica Ritorno a Ferrara – L’universo di Leo Contini Lampronti.

Porte a Parigi, Parigi, 1987, tempera e olio su tela, 63×54 cm, Collezione Anna e Lamberto Piperno Corcos

L’esposizione curata da Hava Contini e Yael Sonnino-Levy mette in chiaro fin dal titolo uno dei punti cardine della vita del pittore, grafico e scultore scomparso nel 2020, ossia il suo legame con la città emiliana, luogo d’origine dei genitori alla quale consacra parte del proprio immaginario. Nato a Nizza nel 1939, Contini era figlio di Nino, avvocato antifascista e sionista, detenuto e confinato durante la Seconda Guerra Mondiale, e di Laura Lampronti, pianista e assistente sociale. Entrambi morti prematuramente, il padre per un malore a 37 anni, la madre il giorno del suo 45esimo compleanno a seguito di un intervento chirurgico, i genitori segneranno la vita del figlio, che nel 2011 deciderà di accostare il cognome della madre al proprio e nel 2012 pubblicherà con il fratello Bruno i diari del padre (Nino Contini (1906-1944) quel ragazzo in gamba di nostro padre, edito da Giuntina).

Bici su mura, Ferrara, 1985, tempera su tela, 63×55 cm, Collezione Bruno e Laura Contini

Sul piano squisitamente artistico, la memoria famigliare troverà espressione in una serie di pitture dedicate proprio alla città natale dei genitori. Tra i quadri in mostra al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah si troveranno dipinti permeati di nostalgia come le tempere Bici su mura e Strada del Ghetto di Ferrara, dove le memorie più intime dell’artista trovano espressione in atmosfere dai richiami metafisici. Entrambe datate 1985, sono opere realizzate in un’epoca in cui Contini già da tempo non abitava più in Italia. Dopo aver vissuto prima a Roma e poi a Milano, città dove nel 1964 si era laureato al Politecnico in Ingegneria nucleare, nel 1967 il futuro pittore si era trasferito con la moglie Marcella Mayer e i loro due figli, Saul e Rosa, a Tel Aviv, dove sarebbe nata Hava.

Finestra con donna, Tel Aviv, 1990, tempera e olio su tela, 146×127 cm, Collezione privata

Fino a quel momento Contini aveva lavorato nel campo dei propri studi, pur coltivando in contemporanea l’interesse per il disegno e per la stampa artistica. Continuerà a sdoppiarsi tra il lavoro di ingegnere e la ricerca creativa per tutto il decennio successivo, scegliendo di dedicarsi totalmente all’arte solo negli anni Ottanta. Prima, l’incontro con il pittore e scultore Naftali Bezem e la frequentazione del suo atelier gli avevano comunque già prospettato l’abbandono dell’ingegneria per l’arte plastica. Partendo da un’abilità nel disegno innata, aveva affinato i propri talenti frequentando corsi di pittura e disegno, di stampa d’arte, di tecniche pittoriche classiche e di affresco in diverse istituzioni sia in Israele e all’estero. Tra gli eventi che gli cambieranno la vita, l’incontro del 1982 con Pietro Maria Bardi, direttore del Museo delle Arti di San Paolo. Ci saranno poi le mostre, sempre più frequenti e organizzate in diverse parti del mondo, da Tel Aviv a San Paolo, da Milano e Torino a Parigi. Nell’amatissima Ferrara sarà protagonista nel 1985 di un’esposizione presso le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, organizzata nell’ambito delle celebrazioni dei 500 anni della comunità ebraica locale.

Violino, Giaffa, 2009, acciaio inossidabile traforato al laser, tempera e acrilico, fondo in velluto, 66×95×10 cm, Collezione Bruno e Laura Contini

Accanto ai dipinti che alternano immagini dei luoghi in cui aveva vissuto a ritratti e autoritratti, Contini introdurrà anche altre espressioni artistiche, specchio della ricerca di un uomo che non dimentica la propria formazione scientifica. La retrospettiva del MEIS testimonia così anche il suo passaggio dalla ritrattistica all’astrattismo, con un evidente interesse per la scomposizione e la ricomposizione del reale attraverso le forme geometriche. Sarà sempre l’originaria formazione scientifica a spingere il pittore e grafico verso i mosaici dipinti – o pseudo-mosaici – le figure punteggiate, i cerchi geometrici e le lacune. Queste ultime saranno alla base di una nuova produzione che lo impegnerà negli ultimi vent’anni della sua vita: le anasculture.

Pianta, Giaffa, 2003, acciaio inossidabile traforato a laser, tempera e acrilico, fondo in velluto, 62×48×10 cm, Collezione Leo Contini Lampronti

Ben rappresentate a Ferrara da opere come Morandiana del 2004 e Violino del 2009, queste non-sculture sono il risultato di una raffinata ricerca verso il superamento della bidimensionalità. Più semplici da apprezzare e comprendere dal vivo che da descrivere, sono opere a metà strada tra il dipinto e, appunto, la scultura, composte da una lastra di acciaio su cui sono dipinti in modo quanto più possibile realistico dei soggetti che vanno dalle nature morte alle figure umane. Tale base appare punteggiata da fori circolari ed ellittici attraverso cui lo sguardo si posa su uno sfondo scuro. Foderato di velluto nero, quello che viene indicato con il neologismo di “b(l)ackground” è posto a qualche centimetro di distanza dal supporto metallico e insieme alla particolare forma dei buchi è essenziale nel dare l’illusione di tridimensionalità dell’opera.

In primo piano nella produzione di Contini a partire dal 2001, anno in cui l’artista si sposa in seconde nozze con Anne Hovanessian, le anasculture non sono l’unico oggetto di ricerca di questo ingegnere capace di spaziare tra i mezzi espressivi così come tra le tematiche. Accanto alle sperimentazioni nella pittura e nella grafica, l’artista si è confrontato infatti anche con gli oggetti della religione ebraica. Sperimentando nuove tecniche dell’artigianato applicato alla Judaica, si è misurato con la rielaborazione di oggetti rituali, riletti in modo creativo pur mantenendone e anzi accentuandone l’originario significato religioso. Dalle mani dell’abile artista, trasferitosi ormai da diversi anni nel quartiere Adjami di Giaffa, sono uscite opere sorprendenti come la hannukkah double-face, leggibile dai suoi due lati, o i particolarissimi bicchieri da kiddush dalla superficie riflettente. Denominati ARKS (Anamorphis Reflection Kiddush Sets), sono abbinati a piattini dal bordo inciso le cui scritte, riguardanti i più svariati temi, finiscono con l’essere leggibili sul bicchiere stesso.

Calice da Qiddush Gradient su zampe, Giaffa, 2015, argento, altezza 13 × diametro 6,5 cm, Collezione Hava Contini

Perfetta sintesi tra espressione artistica e artigianato e tra arte e religione, i risultati di questa ricerca parallela di Contini ne completano la figura di artista ebreo a tutto tondo. Di un uomo, come ricorda il presidente del MEIS Dario Disegni, “che vive in un nuovo mondo, Israele, e si confronta con le sue radici e le sue nuove scoperte; che gioca con lingue e linguaggi senza mai dimenticare il suo rapporto con il Paese da cui discende”. Capace di conciliare l’amore per i luoghi delle origini con il rigore di una mentalità scientifica e la passione per la ricerca artistica, per Amedeo Spagnoletto, direttore del Museo, Contini rappresenta anche il superamento di un’altra contrapposizione: “Il dilemma su cosa si intenda per arte ebraica – se arte fatta da ebrei o espressione di temi ebraici – trovo che giunga a sublimazione con Contini e la sua opera: uno spazio ideale nel quale i due concetti si incontrano e trovano armoniosa compenetrazione”.

Ritorno a Ferrara. L’universo di Leo Contini Lampronti
MEIS – Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah
Dal 9 novembre 2023 al 4 febbraio 2024

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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