itinerari
Emilia Romagna, antica terra ebraica

Da Ravenna a Bertinoro un percorso lungo la storia

Dei primi ebrei che giunsero in Emilia Romagna è difficile trovare traccia. E non solo perché la storia e gli uomini si sono messi di impegno nel cancellarne il ricordo, ma anche perché i primi insediamenti risalgono piuttosto indietro nel tempo, all’epoca romana. Si parla comunque già di comunità di un certo peso, stabilitesi inizialmente nei centri lungo la costa o comunque non troppo lontane dal mare, in località collegate all’Adriatico da un efficace sistema di canali. Sono proprio queste città, dove da tempo non esistono più congregazioni ebraiche, ad avere accolto i primi nuclei più importanti della regione.

 

Ravenna

A Ravenna è arduo oggi ritrovarne memoria nel tessuto cittadino, ma gli storici raccontano che qui gli ebrei costituirono una realtà importante almeno dal V secolo. Si legge ad esempio che nel 498, alla morte di Odoacre, il re degli Eruli e conquistatore d’Italia vi fu sepolto in un’arca marmorea collocata presso le sinagoghe. Sempre dai libri sappiamo che quelle stesse sinagoghe nel 519 furono date alle fiamme dal popolo dopo un dissidio con gli ebrei. Che però non erano degli sprovveduti. Rivoltisi a re Teodorico, ottennero che i templi fossero ricostruiti a spese dei loro distruttori e che quanti non avevano i mezzi per rimediare al danno fossero puniti con la flagellazione pubblica.
Nell’Alto Medioevo gli ebrei di Ravenna erano perlopiù impegnati nel commercio d’oltremare, passando alle attività di prestito solo dopo, nel XIII secolo, quando il potere marittimo era stato ormai trasferito a Venezia. Anche di questa epoca sono giunti a noi diversi documenti. Come la lettera del 1225 indirizzata all’arcivescovo di Ravenna in cui Onorio III proclamava la remissione dei debiti con i prestatori ebrei per i partecipanti alla sesta crociata. Nei secoli successivi l’attività feneratizia sarebbe stata quella prevalente.
Tra una bolla papale restrittiva e una vertenza giudiziaria si arriva alla fine del Quattrocento, tra il 1487 e il 1491, anni in cui Bernardino da Feltre predicò a Ravenna chiedendo la fondazione di un Monte di Pietà. Carestia e penuria di denaro contribuirono a mettere in ulteriore cattiva luce l’attività feneratizia ebraica e la comunità nel suo complesso, sfociando nella distruzione della sinagoga e negli attacchi agli ebrei da parte del popolo. Nel 1492 fu istituito il Monte e il Doge ordinò la fine del prestito ebraico. Nello stesso anno si arrivò prima all’imposizione del segno distintivo e poi all’espulsione dalla città, con la distruzione della sinagoga che si trovava nei pressi della Cattedrale.

Il passaggio nel 1509 sotto il dominio della Chiesa avrebbe portato alla conferma delle bolle pontificie contro le attività feneratizie degli ebrei, anche se questi, pur rinchiusi dal 1515 in un ghetto nella zona dell’attuale via Luca Longhi (nota in seguito come “la strada del ghetto”), continuarono ad abitare e a lavorare a Ravenna almeno fino al 1593, data della loro definitiva espulsione. Di questa lunga e tormentata vicenda storica restano purtroppo solo documenti riservati agli addetti ai lavori e ai fortunati che hanno la possibilità di accedere ai documenti dell’Archivio Arcivescovile e della magnifica Biblioteca Classense, dove sono conservati preziosi frammenti di manoscritti ebraici.

Lugo

Restando in provincia di Ravenna e spostandosi nella cittadina di Lugo il viaggiatore troverà maggiori soddisfazioni nella sua ricerca di memorie ebraiche. In questo centro che oggi conta poco più di 30mila abitanti gli ebrei avevano costituito a partire dal Quattrocento una importante realtà. Provenienti perlopiù dalla dorsale adriatica e dalla zona laziale, si occupavano principalmente di prestito e di gestioni di beni immobili e risiedevano liberamente nel centro storico, in particolare nell’antica via del Limite, oggi Corso Garibaldi. Qui dalla metà del Quattrocento si trovavano anche la sinagoga, il bagno rituale e il cimitero. La loro presenza è oggi testimoniata non solo da libri, manoscritti e frammenti di documenti conservati presso la Biblioteca Comunale Fabrizio Trisi , ma anche dall’interessante cimitero ebraico e dalle stesse strade cittadine. L’attuale Corso Matteotti, ad esempio, un tempo si chiamava via Codalunga e si trovava lungo il decumano che collega Bologna a Ravenna. È nella sua parte terminale, verso il fiume Senio, che tra gli anni 1635 e 1639 era stato istituito il ghetto, con l’istallazione di due cancelli che sarebbero stati abbattuti solo nel 1797 per decreto napoleonico.

Gli ebrei di Lugo vi erano stati rinchiusi su richiesta della stessa popolazione locale, che già nel 1613, spinta da interessi e pregiudizi di ordine economico, aveva fatto pressione per la loro segregazione. In questo tratto di strada lungo appena 90 metri giunsero a concentrarsi fino a più di seicento persone, impegnate in attività commerciali e artigianali presso le botteghe e i laboratori affacciati sulla via o nelle stesse abitazioni private. C’era naturalmente anche la sinagoga, nel luogo indicato come lo slargo, all’interno di un modesto edificio non distinguibile da quelli circostanti. Nel palazzo più o meno di fronte è oggi ben visibile una grande targa in marmo. Voluta nel 1995 dalla Municipalità Lughese con la Comunità Ebraica di Ferrara e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sotto gli stemmi del Comune di Lugo e della sua antica Comunità Ebraica reca una iscrizione che ricorda i cittadini che per due secoli, dal XVII al XIX, vissero nel ghetto. Tra i questi si contano e ricordano anche importanti rabbini e studiosi oltre che importanti uomini di affari e banchieri, in parte provenienti dalle località vicine di Bagnacavallo, Cotignola, Massa e Fusignano. Tra le famiglie più importanti, quelle dei Finzi, dei Sinigaglia e dei Del Vecchio.

Notabili e non solo sono ricordati anche nella trentina di lapidi, molte risalenti al Cinquecento, conservate presso il Cimitero Ebraico ottocentesco di via di Giù 37. Oltre a essere scritte in italiano con una sintesi in ebraico, le epigrafi più belle riportano una parte in prosa e un brano in poesia insieme all’indicazione delle parentele, risultando così una sorta di anagrafe su pietra. Tra le più notevoli, quella del rabbino David Del Vecchio, l’ultimo grande rabbino della Comunità di Lugo, che andò tra l’altro anche a discutere a Parigi con Napoleone per decidere i nuovi statuti con le comunità ebraiche. Gran parte dei testi manoscritti dai grandi rabbini e studiosi nati a Lugo tra il Sei e Settecento sono ormai dispersi nelle biblioteche di tutto il mondo, da Mosca a Gerusalemme, da New York e Los Angeles a Varsavia e Londra. Restando in città, la Biblioteca Trisi ne conserva a sua volta dei notevoli esemplari, tra cui dei fogli pergamenacei di manoscritti medievali compilati nei secoli XIII e XIV.

Forlì

Forlì è un altro dei luoghi che recano ancora memoria dell’importante passato ebraico romagnolo. Come nel caso di Ravenna e di Cesena (che presso la Biblioteca Malatestiana  conserva importanti testi ebraici), però, le tracce sono ormai solo quelle chiuse negli archivi.
Le carte più antiche di Forlì risalgono al XIV secolo, per la precisione al 1359, e trattano della posizione degli ebrei in ambito giudiziario, con riferimento alle loro attività in città. Se ne deduce che fin dal secolo precedente gli appartenenti alla comunità potevano, tra le altre cose, acquistare e prendere in affitto abitazioni. Nel corso del Quattrocento gli ebrei forlivesi sarebbero stati in qualche modo protetti dai Papi, che per tutto il secolo tutelarono le loro attività, in particolare quelle bancarie e di prestito, consentendo una vita sociale e religiosa e imponendo che non fossero molestati nelle sinagoghe né sottoposti a battesimi coatti. Le cose sarebbero cambiate nel Cinquecento, con Papa Paolo III che impose nel 1535 il segno distintivo pur consentendo di proseguire l’attività feneratizia nonostante l’istituzione nel 1511 del Monte di Pietà.
La città di Forlì oggi ricorda il ruolo chiave giocato dagli ebrei nel contesto cittadino dedicando loro una parte del percorso espositivo di Palazzo Romagnoli . Inaugurata il 9 novembre 2021 dall’Amministrazione Comunale con la Comunità Ebraica di Ferrara, la sezione Forlì Ebraica del museo ripercorre la presenza degli ebrei forlivesi a partire dal XII secolo, il loro rapporto con la società, l’economia e l’amministrazione cittadina. Un settore del percorso espositivo è dedicato alle conseguenze delle leggi razziali del 1938 e dei provvedimenti successivi, compresi quelli emanati dalla Repubblica Sociale Italiana. Tra gli altri materiali esposti, una selezione di testimonianze ebraiche e di volumi appartenenti alla Biblioteca Saffi.

L’antica fortezza di Beritnoro, oggi sede del museo interreligioso

Piccolo centro di poco più di 10mila abitanti in provincia di Forlì-Cesena, Bertinoro è infine il luogo forse più rappresentativo della Romagna ebraica, di grande interesse per quanti desiderano non solo visitare i musei ma anche passeggiare nella storia. Una prima comunità ebraica si sarebbe qui insediata alla fine del XIV secolo e in un contratto del 1419 si parla di una casa di proprietà di Leone ebreo, situata nella contrada dei Mainardi, tra le attuali vie Mainardi e via Fossato. Siamo al centro del quartiere medievale indicato come La Giudecca e il notevole palazzo ha i muri in mattoni e conci di pietra. Su un suo lato si trova una targa che indica i punti della città nei quali gli ebrei potevano abitare, sull’altro si riconoscono delle formelle in terracotta che riproducono la lampada del Ner Tamid e la cornucopia, facendo supporre che l’edificio ospitasse anche una sinagoga. Da un rogito risalente al 1443 si apprende inoltre che tale Abramo del fu Salomone da Cesena aveva preso in affitto dall’arciprete di Bertinoro una casa nella stessa contrada. Questa ospitava anche un banco feneratizio al quale si rivolgevano gli stessi amministratori della città.

A differenza di altri centri vicini, sembra che qui gli abitanti ebrei godessero di una certa libertà, dalla professione del culto all’acquisto degli immobili fino al non dovere indossare segni distintivi. Bertinoro è poi nota per essere la città natale di Ovadyah Yare, conosciuto anche come il Gran Bertinoro e ricordato per essere stato l’autore di un importante commento della Mishnah, riconosciuto a livello internazionale. Dopo avere compiuto gli studi e scritto i primi lavori a Bertinoro, dove era nato intorno al 1450, il commentatore si sarebbe trasferito nel 1487 in Palestina, dove avrebbe raggiunto Gerusalemme. Vi sarebbe morto nel 1500, venendo sepolto ai piedi del Monte degli Ulivi.

Spostandosi in via Frangipane, la gita a Bertinoro si può concludere con la visita al suo interessante Museo Interreligioso. Ospitato nelle segrete medievali e nella cisterna del Cinquecento della Rocca Vescovile, si sviluppa in 15 sale suddivise in tre sezioni. La prima parte è dedicata agli aspetti comuni tra ebrei, cristiani e musulmani, la seconda si concentra sullo sviluppo storico delle tre religioni monoteiste e la terza ripercorre le esperienze che hanno portato alla definizione dei valori di ciascuna delle tre fedi.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


2 Commenti:

  1. Articolo molto interessante con notizie dettagliate. Sono da sempre per lunghi periodi a Bertinoro,ho visitato il museo intereligioso e non sapevo della presenza a Bertinoro di una fiorente comunità ebraica nel corso della sua storia

  2. Articolo di rilievo, che sottolinea indirettamente anche il potenziale del turismo ebraico nella (mia) Regione. Sottolineo come tracce ebraiche siano presenti, oltre a Bologna, anche ad Imola. In particolare c’è un interessante volume che tratta l’ambito imolese: “La comunità ebraica di Imola dal XIV al XVI secolo. Copisti, mercanti e banchieri”, con due studi di Carmen Ravanelli Guidotti e Mauro Perani, pubblicato dalla casa editrice Leo S. Olschki di Firenze nella collana “Storia dell’ebraismo in Italia” diretta da Cesare Ioly Zorattini.


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