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Malta ebraica

Tra conquistatori non sempre benevoli verso le comunità non cristiane, conversioni forzate ed espulsioni, spesso la presenza ebraica è stata ridotta a poche unità, ma ha conosciuto anche epoche gloriose

Si ritiene che Ggantija, il sito archeologico sull’isola di Gozo, a Malta, sia il più antico complesso monumentale di questo tipo al mondo, anteriore persino a Stonhenge e alle piramidi d’Egitto. Databile tra il 3600 e il 3200 a.C., conserva ancora importanti resti delle sue strutture religiose in pietra, giganteschi blocchi che miracolosamente resistono alla forza degli elementi e del tempo. È in questo complesso che si possono rintracciare anche i primi segni della presenza ebraica sulla piccola isola mediterranea posta a un tiro di schioppo dalla Sicilia, una presenza che sarebbe iniziata in epoca fenicia, intorno al 750 a.C., e non avrebbe mai subito interruzioni.

Certo, i numeri sono stati spesso esigui, paragonabili a quelli di oggi, quando non più di 200 ebrei sembrano costituire la comunità locale, concentrata sull’isola principale e in particolare nella capitale, La Valletta. Tra conquistatori non sempre benevoli verso le comunità non cristiane, conversioni forzate ed espulsioni, spesso la presenza ebraica è stata ridotta a poche unità, ma ha conosciuto anche epoche relativamente gloriose. Pare ad esempio che l’antica cittadina fortificata di Mdina, oggi quasi disabitata ma ancora meta ambita per i turisti che ne percorrono le fascinose viuzze, nella seconda metà del Quattrocento fosse abitata per un terzo da ebrei e che questi possedessero beni e terreni sparso un po’ in tutta l’isola. La presenza di targhe e nomi di vie che ricordano gli abitanti e gli usi dell’antico insediamento ne sono la prova. In particolare, è in Carmel Street che si può ammirare la fotografatissima insegna in ceramica che indica in ebraico e in inglese il luogo in cui si trovava il vecchio mercato ebraico della seta.

Tornando alle testimonianze archeologiche, le cosiddette Catacombe di San Paolo, nei pressi di Rabat, altra destinazione sull’isola, sono la prova del passaggio di Paolo di Tarso, nato ebreo come Saulo, che qui si sarebbe fermato nel 60 d.C. a causa di un naufragio subito durante il suo viaggio verso Roma. Nell’intrico di cunicoli e cripte che costituiscono il sito sono emerse iscrizioni che provano la presenza ebraica, prima fra tutte una menorah incisa nella roccia, e sono state identificate diverse sepolture di ebrei risalenti all’epoca romana. In particolare, sarebbero state ritrovate circa 200 ossa umane che si immagina appartenenti a ebrei che si erano probabilmente stabiliti a Malta dalla Sicilia.

L’ingresso del cimitero ebraico di Marsa

Oggi queste ossa sono conservate nel cimitero ebraico di Marsa, dove una lapide commemorativa ne segnala la presenza. In questo stesso luogo di sepoltura, l’unico ancora attivo dei tre ebraici presenti sull’isola, dal 1887 sono state sepolte circa 120 persone, tra cui George Tayar, che era stato il presidente della comunità ebraica di Malta, e Abraham Ohayon, morto nel 2017 e padre dell’attuale leader della comunità, Reuben Ohayon. Malta ha altri due cimiteri ebraici, quello di Kalkara e il Ta’Braxia. Il primo contiene solo otto tombe identificabili, datate dal 1820 al 1833, ma la sua fondazione è precedente. È legata infatti all’attività di quelle organizzazioni ebraiche che in gran parte d’Europa si battevano per la liberazione degli schiavi. Sull’isola, molti ebrei erano stati ridotti in schiavitù e fatti prigionieri dai Cavalieri di San Giovanni, saliti al potere nel 1530 e per la loro liberazione si erano mobilitati in particolare i rappresentanti delle comunità di Venezia e Livorno. Kalkara sarebbe stato istituito nel 1784 proprio allo scopo di accogliere alla loro morte questi ex prigionieri ed è per questo conosciuto come “cimitero degli schiavi”. Quello di Ta’ Braxia si trovava a Gwardamanġa, accanto al cimitero multireligioso britannico, ed era  stato invece istituito nel 1830. Rimasto in uso fino al 1880, data in cui raggiunse la sua piena capacità, conserva 56 tombe identificabili.

Entrambi i cimiteri più antichi, così come gran parte del patrimonio ebraico di Malta sono tutelati con grande impegno e passione dalla Tayar Foundation, associazione che comprende sia ebrei come Reuben Ohayon, rabbino ad interim della comunità maltese, sia non ebrei, tra cui diversi studiosi, professori universitari e uomini d’affari accomunati dal desiderio di preservare l’importante passato dell’isola, intraprendere campagne di raccolta fondi per restauri nonché farlo conoscere attraverso percorsi guidati, lezioni, pubblicazioni ed esposizioni.

Ta Xbiex

Concentrando l’attenzione sul presente ebraico dell’isola, la piccola comunità guidata da Reuben è composta da una insolita miscela di sefarditi, ashkenaziti, ortodossi, riformisti e liberali. La sua vita ruota intorno alla sinagoga ospitata in un vecchio edificio residenziale chiamato Florida Mansions e sito nella cittadina di Ta’Xbiex, un tempo villaggio di pescatori e oggi sede di molte ambasciate straniere. Attiva dal 2000, la sinagoga occupa un appartamento al secondo piano della palazzina che funge anche da centro comunitario ed è nata grazie a una raccolta di fondi promossa dalla stessa famiglia Ohayon e supportata da finanziatori ebrei soprattutto britannici e americani. Dall’aspetto modesto, il tempio conserva comunque nella sua Arca in legno un tesoro straordinario, cioè sette rotoli della Torah, di cui uno inciso su pergamena di pelle di capra, portati a Malta da Tripoli da ebrei libici quasi due secoli fa. Risale più o meno alla stessa epoca anche l’arrivo degli antenati degli attuali ebrei maltesi.

Dopo le espulsioni del 1492, che non risparmiarono neppure le isole mediterranee, e la successiva schiavitù sotto i Cavalieri, i pochi ebrei maltesi tornati liberi con l’avvento dei francesi nel 1798 due anni dopo passeranno con tutta la popolazione sotto il dominio inglese. L’inizio del XIX secolo vedrà l’afflusso di nuovi coloni da diverse basi britanniche del Mediterraneo e dai paesi del Nord Africa. Per quanto fossero in pochi, i nuovi arrivati poterono finalmente concedersi una prima sinagoga, all’estremità inferiore dell’arteria principale de La Valletta, che però oggi non esiste più, così come non sono sopravvissute quelle successive, vuoi perché abbattute durante lavori di riqualificazione del quartiere, vuoi perché costruite su fondamenta troppo fragili.

L’attuale sinagoga di Ta’Xbiex è la prima a essere di effettiva proprietà della comunità negli ultimi cinquecento anni e, per il momento, è anche l’unica. Le cose potrebbero cambiare se andrà in porto un’altra e ben più importante campagna di raccolta fondi, questa volta indetta dal locale centro Chabad. Presenti dal 2013 con una filiale che fino a un paio di anni fa comprendeva anche il primo e unico ristorante kosher sull’isola (attualmente chiuso), gli Chabad sarebbero stati accolti a Malta grazie all’intercessione di Reuben e di suo padre, che sono riusciti a convincere le autorità maltesi per l’immigrazione inizialmente un po’ scettiche. Considerando che i nuovi arrivati avrebbero portato non solo scuole per i bambini ma anche attività di aggregazione e di svago, preziosissime per incrementare il turismo ebraico, gli Ohayon hanno promosso il loro insediamento e insieme intrapreso un inedito quanto proficuo cammino di collaborazione tra comunità e Chabad House.

Ora, per quanto i nuovi arrivati abbiano già ovviamente una propria sala di preghiera, frequentata non solo dagli ebrei di passaggio per lavoro o turismo ma anche dagli stessi ebrei maltesi, un nuovo ambizioso progetto potrebbe far sorgere quello che i promotori definiscono il primo vero centro ebraico di Malta. Per il momento esistono solo i progetti e i rendering, e i soldi raccolti coprono meno della metà degli oltre due milioni di euro richiesti per la costruzione, ma entrambe le parti sembrano essere coinvolte nell’operazione e, soprattutto, convinte che la nuova casa porterà nuovi turisti ebrei sull’isola. E, perché no, anche nuovi membri alla piccola comunità maltese.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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