Cultura
Barcellona ebraica

La storia degli ebrei della capitale catalana è una presenza che va cercata con occhio attento e che chiede di essere conosciuta, studiata e scoperta

Camminare lungo le strette e a volte oscure vie del Barrio Gotico, a Barcellona, consente di immergersi in un passato lontano. Eppure, nonostante l’innegabile suggestione di questi luoghi rimasti (o riportati) all’epoca medioevale, c’è una parte di storia che resta nascosta. E che solo con qualche dritta è possibile ricostruire.

La storia degli ebrei della capitale catalana è un po’ questo, una presenza che va cercata con occhio attento e che chiede di essere conosciuta, studiata e scoperta in tutta la sua bellezza e ricchezza. Come ogni guida turistica si premura di ricordare, le tracce rimaste dell’importante passato ebraico di questa splendida città sono davvero poche, ma questo non significa che non siano importanti. Anzi, è proprio la presenza di pochi ma significativi indizi che impone una ricerca più accurata.

Deve averla pensata così il medioevalista Jaume Riera y Sans che nel 1987, vestendo i panni dell’investigatore, si mise sulle tracce della Sinagoga Mayor, il più antico luogo di culto della Spagna e forse d’Europa. Lo studioso ricostruì il percorso seguito da un esattore delle tasse nel 1396, avvenuto tra le vie dell’antico quartiere ebraico e conclusosi davanti alla Vecchia Sinagoga, confermando in questo modo i suoi sospetti su dove si trovasse il tempio. Complice nell’indagine sarebbe stato negli anni successivi un uomo d’affari ebreo giunto dall’Argentina, il signor Miguel Iaffa. Indagando sull’orientamento della presunta sinagoga, l’imprenditore concluse che sia la posizione di una facciata, inclinata rispetto agli altri edifici in modo da essere rivolta a sud est, verso Gerusalemme, sia la presenza di due grandi finestre nella stessa direzione, confermava la destinazione religiosa del palazzo in epoca antica.

Nonostante l’importante scoperta dei due, per diversi anni il sito non avrebbe comunque smosso gli interessi delle autorità (e alcuni storici ne mettono ancora in dubbio le intuizioni), tanto che ci sarebbe voluto un nuovo intervento privato per cambiare le cose. Nel 1995, lo stesso Iaffa, venuto a sapere che i locali dell’antica sinagoga, fino a quel momento occupati da un bar, erano in vendita, si premurò di fare un’offerta al proprietario, acquistando l’edificio.

Tanta sicurezza nel ritenere che si trattasse di un tempio era data ovviamente anche da altre informazioni, prima tra tutte la collocazione nel cuore del Call, termine probabilmente derivato dalla parola ebraica kahal, comunità, con cui in Spagna erano indicati i quartieri ebraici. Quello all’interno del Barrio Gotico, in particolare, era il cosiddetto Call Major, collocato tra le strade de l’Arc de Sant Ramon, Call, Bisbe e Sant Sever. Qui sembra che fino alla fine del XIV secolo vivessero ben 4.000 ebrei, membri di una comunità che rappresentava circa il 12% della popolazione totale della città.

Questo però prima che il 5 agosto del 1391, in anticipo di un secolo rispetto all’annientamento delle comunità iberiche del 1492 per mano di Isabella e Ferdinando d’Aragona, gli ebrei di Barcellona non finissero vittime di un pogrom. Nel giorno di San Domenico, la popolazione inferocita si scagliò infatti contro gli abitati del Call, uccidendone pare almeno 200, con l’accusa di aver portato la peste in città.

Oggi la via che un tempo ospitava uno degli ingressi al quartiere e che ai tempi ne costituiva l’arteria principale è intitolata a quel Sant Domènec indirettamente legato all’attacco alla comunità. Dalle ricostruzioni degli storici risulta che davanti alla porta, appena fuori dal quartiere, si trovasse il panificio, mentre il macellaio si sarebbe trovato proprio all’ingresso, accanto all’arco, sulla via chiamata, appunto, della Carnisseria. La pescheria si trovava invece in quella che oggi è Carrer de la Fruita, mentre la fontana che serviva il quartiere si trovava nell’attuale Carrer de Sant Honorat (allora chiamato, appunto, de la Font).

Sempre in questa zona sono stati individuati i luoghi in cui abitavano alcuni notabili della comunità. I medici, ad esempio, pare che risiedessero nell’area oggi occupata dal Palau de la Generalitat, alla confluenza con Plaça Sant Jaum, mentre tale David de Bellcaire era il proprietario di una serie di locali accanto alla porta del quartiere, tra cui quello del macellaio. Il Castell Nou, luogo in cui si rifugiarono gli abitanti del Call dopo il pogrom, si trovava nell’attuale Carrer dels Banys Nous, all’angolo con Carrer del Call.

Tornando alla Sinagoga Maggiore, questa si collocava nel prolungamento della via della Carnisseria, conosciuta anche come quella della Scuola Maggiore, e sembra che costituisse un edificio indipendente, delimitato a nord da Carrer de l’Escola Major, a est da Carrer Marlet, a sud da Carrer dels Dons (su cui fu costruito uno stretto edificio nel XIX secolo), mentre a ovest aveva un atrio, oggi occupato da un locale commerciale. All’indomani dell’attacco del Call, con gli ebrei scacciati da quello che per secoli era stato il loro quartiere, la sinagoga, insieme a tutti i beni della comunità, passarono nelle mani del re di Spagna.

Oggi è tornato possibile accedere a questa importante testimonianza del passato ebraico di Barcellona. Mentre in origine l’ingresso era sulla parete di nord ovest, l’accesso attuale avviene da una porticina da Carrer de Marlet 5, da cui è necessario scendere di due metri rispetto alla strada per raggiungere l’antico pavimento della prima stanza. Superato l’atrio, e scesi altri gradini, si entra nella sala di preghiera originaria, con le mura tardo romane rivolte verso Gerusalemme. Oggi vi è stata ricollocato l’Aaron Hakodesh, dove sono conservati i rotoli manoscritti di una Torah del XVI donata da un privato.

Anche se non effettua servizi regolari, la Sinagoga Maggiore è comunque aperta su prenotazione ai membri della comunità che desiderano celebrarvi privatamente i riti nuziali così come i Bar Mitzvah e Bat Mitzvah. Per chi invece ne desidera conoscere la storia e visitarne gli spazi e i diversi ritrovamenti archeologici qui esposti, la struttura, adibita a museo, è aperta alle visite, individuali o guidate, oltre a rientrare nei percorsi turistici organizzati dall’Associazione Call Barcelona.

Usciti dall’ex sinagoga, lungo Carrer de Marlet, una targa in pietra inserita nel muro di un palazzo adiacente ricorda quello che un tempo era un centro di studi, con una scritta in ebraico dedicata a “Rabbi Shmuel Hasardi, la sua luce arde per sempre”. Purtroppo si tratta di una copia, dato che l’originale pare fosse oggetto di continui atti vandalici.

Tra i segni di una presenza ebraica ancora viva e attiva, non troppo lontano dalla Sinagoga, in calle Sant Honorat 9, si può fare un salto presso il piccolo ma fornitissimo Call Barcelona, negozio di libri, oggetti e vini kasher. Il punto vendita è anche l’indirizzo di riferimento nella città vecchia per il Centro Chabad, la cui sede principale, comprendente anche una sinagoga, si trova in Carrer del Montnegre 14, fuori dal centro storico. L’altro tempio ortodosso di Barcellona, il Centro Bet David Barcelona, fondato nel 2018, è invece più vicino all’antico quartiere della comunità, in Placa de Ramon Berenguer el Gran 2.

Bisogna allontanarsi di nuovo da El Call per trovare la Gran Sinagoga Maimonides, tempio della Cib, la Comunità Israelita di Barcellona. Si tratta di una realtà relativamente giovane, fondata nel 1918 sulla scia dell’arrivo nelle principali città spagnole di uomini d’affari e finanzieri ebrei dalla Francia e dalla Mitteleuropa. Iniziato a fine dell’Ottocento dopo un’assenza durata quasi mezzo millennio, questa nuova immigrazione ebraica era principalmente composta da ashkenaziti di origine tedesca o austroungarica, anche se con l’inizio della Prima Guerra Mondiale sarebbero arrivate anche diverse famiglie sefardite, perlopiù dalla Francia. Con una popolazione ebraica che a quel punto si aggirava intorno alle mille unità, si arrivò così alla fondazione di un’organizzazione capace di offrire un quadro educativo, culturale e liturgico ai membri della comunità, oltre a occuparsi dell’assistenza dei più bisognosi.

Dal 1936 Barcellona accoglierà gli esuli in fuga da Germania, Polonia, Austria, Ungheria e Romania fino a contare una presenza in città di circa 5.000 ebrei. La vittoria dell’esercito franchista e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale trasformeranno la capitale catalana in un precario rifugio dalla barbarie nazista, con la sinagoga saccheggiata e i suoi membri costretti a praticare i riti religiosi in clandestinità, pur continuando ad aiutare qualunque esule arrivasse o passasse dalla città. La sconfitta del nazifascismo porterà, nel 1948, all’apertura di una piccola sinagoga in un appartamento in Carrer Muntaner 183, mentre dalla fine degli anni Cinquanta, con l’arrivo di un gran numero di famiglie ebree dal Nord Africa, la Comunità si arricchirà di nuove tradizioni, rinforzate poco dopo, negli anni Sessanta, grazie ai nuovi membri provenienti dalle comunità dal Sud America. Oggi la Comunidad Israelita de Barcelona ha come sede la Sinagoga di Carrer de l’Avenir 24, un edificio di tre piani che rappresenta un centro sia culturale sia religioso, aperto sia ai membri della comunità sia ai visitatori.

Per completare la conoscenza dalla Barcellona ebraica di oggi e di ieri, è inevitabile l’ascesa al Montjuic. Monte degli Ebrei in catalano antico (anche se alcune guide azzardano la traduzione in Monte di Giove), fin dal nome questa collina è la prova più evidente dalla presenza degli ebrei in città fin dai tempi antichi. Oggi sede di parchi, musei e dello stadio olimpico, almeno mille anni fa l’altura a sud della città accoglieva uno cimitero ebraico del quale sono state ritrovate circa 500 lapidi, di cui circa 140 risalenti ai primi decenni dell’anno Mille. Alcune delle più antiche oggi si trovano esposte al Castell de Montjuic, una fortificazione del XVII secolo adibita a museo militare. Non troppo lontano da qui, nella sede di un’antica cava posta sulla stessa collina, su un terreno donato dalla città, nel 1995 alcuni membri della comunità ebraica hanno eretto un Memoriale dell’Olocausto composto da semplici monumenti in pietra e piedistalli con i nomi dei campi di concentramento liberati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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