Cultura
Musica ebraica nordafricana: i 500 dischi dell’archivio di Montreal

Chris Silver, professore di Storia ebraica, ha nel suo archivio centinaia di album incisi nei primi decenni del Novecento da cantanti e strumentisti ebrei marocchini, algerini e tunisini

Il primo archivio di musica ebraica nordafricana ha per sede un appartamento di Montreal. A curarlo, ormai da diversi anni, è Chris Silver, professore di Storia ebraica alla McGill University. Come racconta JTA, Silver è ebreo, ma è cresciuto a Los Angeles senza un forte senso di identità ebraica. Mentre frequentava l’Università della California, a Berkeley, ha cominciato a conoscere la storia del Nord Africa ebraico, ma è stato solo dopo la laurea, durante un viaggio in Marocco, che è entrato in contatto con l’universo musicale ebraico del Maghreb.

Oggi la sua collezione comprende circa 500 dischi incisi da cantanti e strumentisti ebrei marocchini, algerini e tunisini nei primi decenni del Novecento, l’epoca d’oro di questo genere. Famosi e universalmente adorati, questi musicisti si presentavano apertamente come ebrei e, anche quando ciò non avveniva, i loro dialetti e l’accento non lasciavano dubbi sulla loro identità. Cresciuti musicalmente tra le feste e le funzioni religiose, hanno generato uno stile che secondo Silver molti non ebrei volevano emulare, al punto che, racconta, «ci sono molte storie di musicisti musulmani che si appostavano fuori dalla sinagoga il sabato mattina per imparare una melodia nuova e diversa».

All’inizio, l’interesse dello studioso era concentrato su quanto fosse accaduto alle star della musica del Nord Africa dopo che, con lo smantellamento delle colonie da una parte e la fondazione di Israele dall’altra, avevano lasciato le terre in cui erano nate e vissute e si erano trasferite in paesi in cui l’arabo non era la lingua dominante. Con il tempo, Silver ha cominciato a volerne saperne di più sul periodo precedente, quello del massimo splendore di questi musicisti. Da bravo storico, si chiedeva come acquisire informazioni più ricche rispetto ai documenti d’archivio tradizionali.

Da qui che è nato l’interesse per i 78 giri e per il loro particolare supporto in gommalacca. Ogni disco, infatti, indica non solo il l’esecutore, ma spesso anche il compositore e il paroliere. Allo stesso modo, il nome dell’etichetta discografica e il luogo di stampa rivelano dettagli importanti. Una fonte storica non convenzionale anche se dalla fragilità estrema. «Ogni volta che ne trovo uno – spiega Silver – indipendentemente dalle sue condizioni, penso sempre che sia un miracolo perché, anche solo per la natura del materiale, non avrebbe dovuto sopravvivere».

I delicatissimi dischi della collezione, recuperati da ogni parte del mondo attraverso una intricata rete di contatti, con periodiche perlustrazioni nei mercatini delle pulci, rappresentano non solo un mondo musicale passato, ma sono anche vestigia delle grandi comunità ebraiche un tempo onnipresenti in tutto il Maghreb. Silver stima che il genere comprenda migliaia di titoli oltre a quelli finora recuperati e che la loro sopravvivenza sia a rischio proprio per l’estrema fragilità del supporto. Basta che cadano a terra per andare in pezzi.

L’obiettivo di Silver non è né il possesso né la collezione in sé, ma la comprensione della storia degli ebrei nordafricani nella prima metà del Novecento attraverso le opere dei loro artisti più rappresentativi. Per lo storico è fondamentale sia proteggere le sue fragili fonti sia rendere il più possibile alla portata di tutti le sue scoperte. A questo scopo, condivide brani e commenti sui social e attraverso un sito web dedicato, Gharamphone , che prende il nome dall’unione tra la parola gharam, che in arabo significa amore o passione (oggetto frequente della canzone nordafricana) e grammofono. Tra i suoi fan più accesi, una nuova e giovane generazione di musicisti che sia dal Nord Africa sia da Israele può oggi connettersi con la banca dati per ascoltare dozzine di artisti e centinaia di canzoni fino a oggi dimenticate.

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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