Cultura
Natan Elkanovich e l’arte israeliana a Huston per celebrare i 75 anni dello Stato

Intervista al pittore che, insieme ad altri artisti, rappresenta Israele a Huston. Tra passato, presente e (immediato) futuro

Classe 1966, Natan Elkanovich è stato scelto tra gli artisti che rappresenteranno Israele a Huston per celebrare i 75 anni di rapporti diplomatici tra USA e Israele. Ma la sua storia, come quella di molti altri artisti israeliani, comincia in URSS e il suo percorso artistico si snoda lungo la storia dell’arte israeliana. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della sua partenza per il Texas.

Come è cominciato il tuo processo artistico?
Sono nato in un piccolo shtetl ebraico, Orgeyev, vicino alla capitale della Moldavia. Fin da piccolo mi piaceva l’arte, ho ereditato questa passione da mio padre, un grande artista che non ha mai avuto la possibilità di trasformare la sua passione in una professione. Ha lavorato tutta la vita nell’industria dei metalli, sia in Unione Sovietica sia qui in Israele, dove ci siamo trasferiti nel 1976. Siamo arrivati a Bat Yam, nella periferia di Tel Aviv, dove immigrarono molti olim hadashim arrivati dall’Unione Sovietica.
Anche se mio padre non era affatto religioso, ci siamo trasferiti qui per seguire il suo ideale sionista, perché aveva intuito che la situazione in URSS sarebbe peggiorata e che invece Israele, anno dopo anno, diventava un Paese sempre più in crescita e in fermento, e sarebbe stato il luogo ideale dove poter cominciare una nuova vita. Siamo stati i primi a lasciare il nostro villaggio, percepiti e trattati come dei dissidenti da parte del regime, fino a quando, dopo un anno di attesa, abbiamo avuto l’autorizzazione per raggiungere la Terra Promessa.
Mi ricordo quel giorno ancora come uno dei più belli della mia vita, anche se non sapevo cosa mi aspettasse, né conoscessi una parola di ebraico. 

1994, Meir Dizendof

Quale è stato il tuo primo approccio con Israele?
Me ne sono innamorato fin da subito e mi sono sentito immediatamente a casa. Ma ho capito presto che per farne davvero parte, oltre alla lingua, era necessario assimilare la cultura locale. Allora ho cominciato a studiare tutto ciò che era parte della cultura nazionale: dalla musica alla letteratura, ma soprattutto l’arte. Avrei voluto studiarla a livello accademico, ma la mia famiglia era contraria perché temeva che non avrei potuto sopravvivere economicamente. Quindi, dopo l’esercito, ho cominciato la Facoltà di Economia presso l’Università di Tel Aviv, ma proprio non faceva pe me. Così, l’anno successivo, mi sono iscritto alla Facoltà di Fashion Design presso lo Shenkar Institute di Tel Aviv: una sorta di compromesso tra la mia passione e i desideri della mia famiglia.
Oltre agli studi, in cui ho imparato moltissimo, questa esperienza mi ha permesso di lavorare accanto ai più grandi designer israeliani con cui ho collaborato per 25 anni mentre, in parallelo, continuavo a dipingere per me stesso. Subito dopo gli studi, quando avevo 25 ani, ho cominciato a sviluppare la mia tecnica pittorica in 3D, che ho continuato a portare avanti fino al 2017 quando ho deciso di abbandonare la mia carriera di costume designer per cinema e televisione e ho deciso di dedicarmi esclusivamente alla mia arte.

1994, Bialick

Cosa è successo, in particolare, nel 2017?
Ero arrivato al picco della mia carriera e avevo vinto tutti i possibili premi nella mia professione: sentivo che in quel campo non potevo più crescere. Era arrivato il momento di dedicarmi solo alla pittura. In quegli anni ho conosciuto anche mio marito, Rosario Nisticò, ex ballerino professionista che, come me, era entrato a sua volta nel mondo del costume design. Quando ha capito cosa desideravo veramente, ha deciso di seguirmi, dedicando tutte le sue energie al lato operativo e al marketing, mentre io mi dedicavo giorno e notte alla pittura.

Golda Meir

Cosa ti premeva raccontare e con quale tecnica?
I miei lavori sono, nella maggior parte dei casi, ritratti. Inizialmente dipingevo persone famose, personaggi del cinema e dello spettacolo, in parte influenzato dal mondo da cui provenivo, per poi cominciare a ritrarre persone che vedevo per strada ma che suscitavano in me un’emozione che sentivo il bisogno di esprimere attraverso la mia tecnica 3D, che oggi chiamo “natanismo”: un lavoro possibile grazie all’utilizzo di utensili da cucina. Fin da piccolo ho aiutato mia madre a cucinare e col tempo, mi sono reso conto che questi attrezzi potevano essere utilizzati per dipingere. Negli anni ho messo a punto la mia  “formula segreta” che permette all’impasto (di acrilico e altri pigmenti, ndr.) di rimanere ancorati saldamente alla tela. Tanto che incoraggio sempre il mio pubblico a toccare i miei lavori per stimolarne la partecipazione. Per me dipingere è come una forma di meditazione, e amo coinvolgere il pubblico in questo processo.

Itzhak Rabin

Quando la politica israeliana ha cominciato a far parte di questo processo?
Fin dal mio arrivo in Israele mi sono innamorato dei pionieri e degli statisti che hanno fondato il Paese e lottato per questo.
Anche quando dipingo gli altri personaggi famosi, da Albert Einstein a Marilyn Monroe, scelgo sempre figure che in qualche modo hanno influenzato la mia vita e la mia carriera artistica. Ma il mio primo ritratto, nel 1994, fu quello di Eliser Ben Yehuda (inventore dell’ebraico moderno, ndr.). Da lì ho cominciato a ritrarre i pionieri e gli statisti israeliani: da Dizengoff a Bialik, da Ben Gurion a Golda Meir, da Moshe Dayan a Shimon Peres. È interessante che quasi tutti questi personaggi hanno origini russe, come me, e che dall’Unione Sovietica hanno cercato di portare il meglio: il lato socialista e umano, adattandolo alla realtà israeliana dei kibbutz e trasformando Israele in una grande democrazia,  mantenendo gli ideali socialisti da cui provenivano e che hanno reso questo Paese un luogo in cui poter crescere, nella libertà.

Menahem Begin

Come sei arrivato a ritrarre Sarah Netanyahu?
Era il 2019 quando, per la prima volta – ben prima che si arrivasse a votare cinque volte in tre anni – ho capito che eravamo seriamente in pericolo a causa del conflitto di interessi, vero motore dell’agenda politica portata avanti dal nostro premier. Più leggevo e mi informavo per cercare di capire, più realizzavo che eravamo finiti nelle mani di Sarah: non una first lady, bensì una Maria Antonietta in chiave contemporanea. E quindi, attraverso un approccio satirico, invece di dipingere il nostro primo ministro ho dipinto chi era il vero decison maker: sua moglie.
Se dovessi continuare in questa direzione oggi dovrei dipingere suo figlio Yair, ma preferisco non farlo.

E oggi, chi sono i protagonisti dei tuoi lavori?
Nell’ultimo periodo mi sto dedicando alle persone comuni, come quelle che, come me e la mia famiglia – incluso nostro figlio Michael, che ha solo sei anni – ogni sabato, partecipano alle manifestazioni per proteggere la democrazia del Paese. Sono persone come noi i nuovi eroi israeliani, come un tempo lo erano i grandi statisti che dipingevo.

Genesis 13-15

Qual è il tuo prossimo progetto?
Sto per partire per Huston dove, in occasione dei 75 anni di Israele, in collaborazione con l’Ambasciata israeliana negli USA, parteciperò con altri artisti israeliani (nomi prestigiosi, tra cui Sigalit Landau, Ilan Adar, Dorit Levinstein, Kfir Moyal e Rina Peleg ndr.) ad una grande mostra dove, oltre a esibire i miei lavori, avrò la possibilità di partecipare a gallery talk, e rappresentare di fronte a un pubblico internazionale non solo me stesso come artista ma anche il mio Paese.
In questi giorni così delicati è per me un grande onore, oltre che un dovere, poter rappresentare Israele e quello che sta succedendo in questo importante momento storico. Sarà come chiudere un cerchio: e questo per me è parte integrante del mio  percorso artistico.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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