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Non esistono i “mezzi ebrei”. Solo gli ebrei

Figlia di padre ebreo e madre non ebrea, Alyssa PInsker spiega come ci si sente a crescere in un mondo che la considera”metà e metà”: respinta dalla comunità ebraica da un lato e vittima di episodi antisemiti dall’altro.

Durante la mia infanzia a Philadelphia, quando gli adulti facevano domande sulla mia religione, con un sorriso rispondevo: “Io non sono niente!”. Il risultato era un sorriso di circostanza venato di compatimento e perplessità.

Mia madre, cattolica di origini greco-ucraine, ha sposato un ebreo, così come due delle sue quattro sorelle. Probabilmente scelse mio padre, nato nel Bronx e fuggito da una yeshivah, per fare dispetto ai suoi genitori. Non che la madre di lui fosse molto più entusiasta. L’unica cosa condivisa da entrambi i lati della mia famiglia era il fatto che, alla fine dei conti, Hitler li aveva odiati tutti: dopotutto, i miei nonni materni si erano conosciuti in un campo di lavori forzati in Germania.

I due lati della famiglia andavano d’accordo anche su un altro punto: la religione era l’oppio delle masse, e pertanto noi bambini dovevamo starne lontano. Non ci fu permesso di imparare le basi delle due religioni: mi fu detto che il Bat Mitzvah era “capitalistico”, e mi fecero ritirare dalla scuola cattolica di lingua e cultura ucraina quando tornai a casa con dei disegni di Gesù.

Alle elementari, quando chiedevo ai miei insegnanti ebrei e ai miei genitori e amici se io dovessi essere considerata ebrea, la risposta era sempre la stessa: “Non sei ebrea, perché tua madre non è ebrea”. Così, la mia risposta standard divenne: “L’ebreo è mio padre…quindi tecnicamente io ebrea non sono”.

I miei compagni di classe ci misero poco a farmi notare che non facevo parte del club e non potevo andare in sinagoga. E ai miei vicini Lubavitch piaceva tenerci buoni come aiutanti, “mezzi goy”[1]: ci chiedevano di accendere le luci di Shabbat e a Pesach ci vendevano il loro chametz[2].

Tempo dopo, in università, l’insegnante di Studi di Genere ci divise in piccoli gruppi in base al nostro status di “minoranza” e mise me e un altro studente nel “gruppo ebrei”. Alla mia protesta, “Ma tecnicamente non sono ebrea”, mi interruppe dicendo “Interessante come tu non smetta mai di ripeterlo!”.

 

Essere mezza ebrea è diverso da ogni altra esperienza biculturale o bi-etnica: una parte di te è rifiutata dai tradizionalisti e l’altra dagli antisemiti.

Il mio non era un atteggiamento di diniego: è che per tutta la vita mi avevano inculcato che legalmente (secondo la legge ebraica) non essere schietta sul mio esatto “status” non avrebbe cambiato il mio essere una mera imitazione.

Poi, a 27 anni, quando vivevo a Brooklyn conobbi un artista australiano: alto, bello, si faceva chiamare “Zeek” e si definiva un ebreo ortodosso post-moderno. Era capace di far sembrare la fede qualcosa di cool, come Matisyahu, il cantante rap e reggae di formazione chassidica, ed era attivamente impegnato nel movimento Chabad. Andammo insieme a diverse serate underground a sentir suonare Y-Love. Quando mi aveva chiesto se fossi ebrea, lì per lì avevo risposto: “Ma certo, sono una reform”. Ma quando i dettagli vennero fuori, mi disse che halachicamente non ero ebrea, e senza tante cerimonie mi scaricò. Per fargliela pagare, da brava persona adulta e matura, decisi di fare un viaggio in Israele; se sono abbastanza ebrea per essere ammessa in un Birthright[3], pensavo, forse sono ebrea quanto basta.

Sono ormai undici anni che pratico l’ebraismo, eppure in qualche modo sono sempre considerata “metà e metà”.

Lo scorso Rosh Hashanah, un’amica ebrea progressista mi ha chiamata “mezzosangue”. Di fronte al mio sgomento, si è affrettata a mettere in chiaro che questo era come i “chassidim” mi avrebbero chiamata. Eh no, così era come lei mi aveva chiamato. Mi è stato detto, più e più volte, che come non si può essere mezze incinte non si può essere mezze ebree, e che la mia identità è quindi da dichiarare nulla.

Essere mezza ebrea è diverso da ogni altra esperienza biculturale o bi-etnica: una parte di te è rifiutata dai tradizionalisti e l’altra dagli antisemiti.

Chiedete alla maggior parte degli israeliani, degli ebrei conservatori e a qualsiasi ebreo ortodosso: vi risponderanno subito che non sono ebrea. Dall’altra parte, nel corso di un’esperienza di insegnamento in Svizzera, ho perso il lavoro perché praticavo l’ebraismo e ne parlavo apertamente; e dato il mio background ebraico non potrei mai lavorare in Arabia Saudita. Questo pone me e tutti gli altri cosiddetti “mezzi ebrei” in una difficile zona grigia, né qui né lì.

Ma il concetto di discendenza matrilineare ha origini molto oscure. Benché possa apparire come un’audace dichiarazione di femminismo, con tutta probabilità fu stabilito per poter identificare l’ascendenza in caso di stupro o adulterio.

Secondo Shaye Cohen, professore di Letteratura e Filosofia Ebraica a Harvard, autore di The Matrilineal Principle in Historical Perspective, nella Bibbia non si parla del principio di matrilinearità. Il primo testo che ne discute appartiene alla letteratura rabbinica, in Mishnah Kiddush 3:12. La regola potrebbe essere stata introdotta verso il primo o secondo secolo e.v., come risultato dell’influenza della legge romana o come risultato di una nuova teoria rabbinica riguardo lo status dei matrimoni misti. Prima dell’introduzione di questa legge rabbinica, sostiene Cohen, lo status dei nati da matrimoni misti era quasi sempre determinato dal criterio patrilineare.

Per quanto mi riguarda, ho deciso di intraprendere la conversione – un giorno, non adesso, magari dopo il matrimonio, così i miei figli non dovranno passare ciò che ho passato io.

“Perché mai diventar matta con la conversione ortodossa se sai che subito dopo farai una vita da non ortodossa?”, mi ha chiesto il mio amico chassidico, che mi ha insegnato così tanto sull’ebraismo e che mi vendeva il chametz quando eravamo vicini di casa.

“Voglio avere il timbro, così poi mi posso ribellare”, ho scherzato, perché come molti baale’ teshuvah coi quali mi identifico, mi sono ribellata ai miei genitori avvicinandomi alla religione. E ho fatto la mia scelta su chi sono, malgrado le difficoltà e indipendentemente da un’eventuale conversione. Perché, baruch Hashem[4], io non sono altro che un’ebrea. Punto.

 


 

[1] Non ebrei.

[2] Cibo contenente lievito.

[3] Taglit-BirthRight Israel è un’organizzazione no-profit che sponsorizza viaggi in Israele di “scoperta delle radici” per giovani ebrei di età tra i 18 e i 32 anni.

[4] “Grazie a Dio”.

 

Alyssa Pinsker
Giornalista presso Forward

Alyssa Pinsker, alias Girl Gone Global, ha vissuto in India, Giappone, Svizzera, Francia e New York e ha visitato 40 Paesi e sei continenti come scrittrice, insegnante, studentessa e artista. Scrive di viaggi, fede e cibo per  BBC, Cosmopolitan, New York Mag e Forward.


7 Commenti:

  1. Se hai vissuto la doppia discriminazione sei doppiamente ebrea, de facto se non de jure. C’è chi dice che la matrilinearità derivi dal vecchio detto “mater semper certa, pater quondam” e temo proprio sia vero e infatti Yoshua ben Jussef poi tanto ebreo non doveva essere se fu concepito in quel modo bislacco, o forse da una relazione adulterina con un legionario romano… Meglio così, non trovi? Mio figlio Gabriele Levi, per la nostra Legge non è ebreo, essendo figlio di una ex cattolica mentre i miei nipoti Mattone, figli di mia sorella e di suo marito, ex cattolico, lo sono. Anche se mio figlio mi assomiglia tantissimo, non così i miei nipoti, tutti il loro padre 🙂

  2. dimenticavo: mi spieghi questa storia della Svizzera dove non potevi insegnare perché… ebrea?

    1. A quanto pare l’autrice del pezzo, che abbiamo tradotto dall’inglese, in quell’occasione ha avuto a che fare con un ambiente avvelenato dal pregiudizio, purtroppo non racconta altro sul contesto preciso (città, tipo di progetto, ecc), perciò anche noi non abbiamo altre informazioni! Shabbat Shalom! 🙂

  3. L’Ebraismo esiste perchè SARA, REBECCA, RACHELE, LEA, e altre non dovettero presentarsi davanti ad un tribunale rabbinico. I rabbini non capiscono che la Shoah ci insegna che essere ebreo è una sorte dalla quale non si sorte e con noi sciupa il priore l’acqua battesimale e quando si rimuore ci ruba il funerale. All’epoca della Shoah anche figli e nipoti di ebrei battezzati e coniugi non ebrei di matrimoni misti sono stati perseguitati.

  4. Volevo ricordare che molti degli Ebrei più noti ,come è appunto il Re Davide ,ad un’esame rabbinico non supererebbero il test di purità della razza ebraica visto che aveva tra i suoi antenati una prostituta sacra e una pagana . Dio non cerca puri genetici ma puri di cuore.

  5. Per una errata convinzione di mio padre sono stata educata come se avessi avuto una antenata ebrea.
    Molto verosimilmente non era vero nulla, ma io mi sento comunque legata alla cultura sefardita.
    Di recente una signora mi ha fatto un predicozzo per farmi capire che lei è ebrea, ma io no.
    Che dire?
    Mi sento un po’ come la scrittrice, anche se non intendo fare il ghiur.
    Comunque vi ringrazio perché leggendovi mi sento accolta con amore e non è poco.

  6. bellissimo ed emozionante questo pezzo di biografia .Proprio dai bordi dell’ebraismo, dai confini esterni, se non addirittura da fuori del confine ortodosso, vengono gli stimoli, gli imput migliori , l’anima di chi sceglie :dove vai tu io andro’, dove è il tuo popolo io andrò, il tuo D sarà il mio D. Dove la tua sepoltura sarà la mia.
    L’ebraismo che accoglie e che include è un sogno. L’ebraismo riformato, progressiv, liberal nasce e cresce proprio per questo. Per la inclusione, per il rispetto, per la vitalità del popolo ebraico , perchè nessun ebreo , nessun ebreo che sia di nascita paterna o che sia per scelta, si debba sentire di serie B .
    Perciò di Alyssa Pinsker siamo orgogliosi. Ma spero anche che venga un giorno che tali sofferenze non debbano più esserci.


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