Cultura
Omer Yankelevich, donna, haredi e ministro della Diaspora

Critiche, apprezzamenti e speranze: ecco che cosa ha suscitato la nomina di Omer Yankelevich al MInistero della Diaspora

C’è una donna a capo del ministero della Diaspora in Israele. Il suo nome è Omer Yankelevich, la prima donna haredi a occupare un ruolo così importante nel governo israeliano.

Un compito decisamente complesso, controverso per natura: è la responsabile della gestione delle relazioni dello Stato ebraico con le comunità ebraiche all’estero. Da lei dipendono decisioni sociali, politiche, religiose di primaria importanza.

Il magazine americano JTA, Jewish Telegraphic Agency propone un ritratto della Yankelevich che vi suggeriamo. L’articolo originale è disponibile cliccando qui

La prima questione da affrontare è come agisce concretamente il ministro della Diaspora, che tradizionalmente è una delle strutture governative più piccole e meno finanziate ed è incaricato di occuparsi delle relazioni con le comunità ebraiche all’estero. Appare scontato leggendo l’articolo del JTA, Jewish Telegraphic Agency quanto siano complesse e problematiche le relazioni Israele-Diaspora: uno dei principali punti di contatto tra Israele e l’ebraismo americano è la gestione degli accessi al Muro occidentale. Il sito sacro è supervisionato da un ente governativo noto come Western Wall Heritage Foundation. Ci sono sezioni separate per donne e uomini, ma non c’è uno spazio equo per la preghiera non ortodossa. L’autentica identità ebraica è un altro importante punto di tensione. L’anno scorso è emerso che il Gran Rabbinato ha chiesto ad alcuni immigrati di lingua russa di fare il test del DNA per dimostrare la loro origine ebraica.

Omer Yankelevich non è il tipico ministro ortodosso. Per svariate ragioni. Nonostante sia haredi ortodossa, Yankelevich non è membro di un partito religioso. Infatti, fa parte della coalizione centrista di Benny Gantz. Yankelevich, 42 anni, è stata eletta in parlamento l’anno scorso alla sua prima apparizione in politica. Nata da immigrati secolari dell’Unione Sovietica, è cresciuta nella comunità haredi insulare ma anche nel mondo laico (suo padre era un attore del famoso teatro israeliano Habima). Ovvio che a questo punto ci si chieda come potrebbe concretamente sviluppare la sua azione di governo. Finora, da quando è entrata in carica, Yankelevich ha lanciato appelli per una maggiore unità tra Israele e la diaspora, e si è impegnata a offrire aiuti alle comunità ebraiche colpite dalla pandemia da COVID-19. Secondo il Jerusalem Post, alla fine di maggio ha offerto il suo “impegno incondizionato”, durante una conferenza via Zoom con i funzionari dell’Agenzia Ebraica, descrivendo la “necessità di lavorare insieme nel rispetto reciproco e nella comprensione per il bene del nostro mondo ebraico”.

Non era difficile immaginare che  in questo delicato ruolo la neo ministra avrebbe attirato su di sé consensi e dure critiche dai vari schieramenti: “È importante che le donne di diversa provenienza assumano la leadership”, ha detto Sheila Katz, CEO del Consiglio nazionale delle donne ebree. Katz ha detto che non vede l’ora di lavorare con Yankelevich. Il rabbino capo polacco Michael Schudrich ha poi dichiarato che è stato un “passo importante avere un ministro haredi donna”. Viceversa, lo scorso giugno, il deputato del parlamento Moshe Gafni, il cui partito, United Torah Judaism, non ammette candidati donne, ha criticato un seminario tenutosi a Bnei Brak per aver permesso alla Yankelevich di partecipare. “Sono rimasto scioccato nel sentire che un membro della Knesset di un partito laico il cui scopo è di danneggiare tutto ciò che è sacro e prezioso per il popolo d’Israele abbia visitato e sia stato accolto con grande rispetto dalla direzione del seminario”, ha scritto Gafni.


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