Cultura Cibo
Se un medicinale fa la fortuna di un’azienda alimentare…

Storia di un antico rimedio chiamato yogurt, che dall’Anatolia ha conquistato il mercato globale

Lo yogurt esiste da quando esiste l’uomo. O quasi. Ma non è tanto la sua nascita ciò che interessa qui raccontare, quanto il modo in cui questo prodotto si è affermato nella cultura mondiale. In un modo o nell’altro, questo semplicissimo derivato del latte è stato più volte protagonista di scoperte clamorose.
Una delle più recenti risale ai mesi scorsi ed è legata alle ricerche del professore Raz Jelinek della Ben Gurion University di Be’er Sheva, in Israele. Il suo studio si concentra sul trattamento tramite probiotici della cosiddetta tempesta citochinica, la famigerata reazione immunitaria che causa le infiammazioni che accompagnano, tra gli altri, i casi più gravi di Covid. Da quanto riportato nello studio, sembra che somministrando ai topolini con una sindrome simile delle molecole di un particolare tipo di yogurt probiotico, un kefir appositamente creato in laboratorio, le bestioline abbiano risposto positivamente, con conseguente guarigione. Le ricerche ovviamente sono ancora in fase di definizione, ma non partono certo da zero. Sullo yogurt e il suo

, infatti, gli studiosi si interrogano da secoli. Sotto lo sguardo benevolo della saggezza popolare, che sui suoi effetti prodigiosi non ha mai avuto dubbi. Meglio comunque procedere per gradi, e distinguere il discorso scientifico da quello folkloristico.
Si diceva che lo yogurt esiste dai tempi più remoti. Va aggiunto che, prima dell’alimento che oggi conosciamo, era comunque nota la possibilità di far fermentare il latte per agevolarne la conservazione. Un esempio lo fornisce la Bibbia, dove Giobbe si rivolge a Dio dicendogli di averlo “versato come il latte fermentato e cagliato come il formaggio”. Sempre nell’Antico Testamento si parla della “cagliata” (termine traducibile sia con yogurt sia con latte acido) come di un prodotto che Abramo offriva agli ospiti della sua tenda. Dal canto loro, gli scritti persiani attribuirebbero la longevità e la virilità del patriarca proprio al consumo massiccio di tale cibo. Protagonista della dieta degli Israeliti, secondo ricerche archeologiche lo yogurt sarebbe stato presente nell’attuale regione dell’Anatolia fin dal 6500 a.C..
Per non sorprendersi troppo di questa diffusione basta pensare a questo prodotto come a un metodo per conservare il latte in tempi e in luoghi in cui la refrigerazione era un’utopia. Perché quanto munto da mucche, capre e pecore non facesse male ai suoi poveri consumatori, infatti, andava reso resistente anche alle temperature ambientali.
Lo yogurt era la risposta al problema, generato com’era proprio da microorganismi attivati dal calore. Nel rintracciarne l’origine, leggenda vuole che un pastore dell’Asia Centrale si fosse dimenticato l’ultima mungitura in un otre di pelle e che l’avesse poi ritrovata tempo dopo, trasformata in un composto denso e dal sapore acidulo. Non si sa se sia andata davvero così, ma resta il fatto che quella crema candida sarebbe entrata velocemente nelle abitudini del mondo mediorientale espandendosi poi verso est.

Le prime notizie sulla diffusione dello yogurt nell’Europa occidentale risalgono invece a un’epoca relativamente recente. Siamo nella prima metà del Cinquecento, e Francesco I di Francia pare soffrire di un tremendo mal di stomaco. Non sapendo più a chi chiedere aiuto, su consiglio di Solimano il Magnifico si rivolge a un luminare ebreo di Costantinopoli, che giunge da lui a Parigi (si dice a piedi, visto che non cavalca di sabato) con tanto di gregge di 40 pecore al seguito. La cura somministrata al re avrà un effetto miracoloso. Manco a dirlo, si tratta di un robusto trattamento a base di yogurt, presumibilmente ottenuto proprio dal latte delle fedeli compagne di viaggio del medico.

Una tappa più vicina dell’inarrestabile avanzata dello yogurt si corre invece in Spagna, a Barcellona. Sono i primi del Novecento e il dottor Isaac Karasu giunge nella città catalana da Salonicco, in fuga dalle guerre balcaniche. Il suo in realtà sarebbe un ritorno, dato che la sua famiglia viveva proprio in questi luoghi, prima di esserne cacciata nel 1492 e di trasferirsi quindi in Grecia. L’uomo cambia il suo nome in Carasso e allestisce il proprio ambulatorio in casa, dove inizia a ricevere sempre più frequenti richieste d’aiuto per problemi digestivi. In particolare, la faccenda diventa preoccupante all’indomani della Prima Guerra Mondiale, quando a soffrire di questi disturbi sono soprattutto i bambini.
A venire in soccorso del buon medico sono i suoi studi, soprattutto quelli legati alle ricerche di Elie Metchnikoff, biologo russo che un decennio prima, nel 1908, era stato insignito con Paul Ehrlich del Nobel per la medicina, primi ebrei della storia a ricevere il prestigioso premio. Si tratta di una figura straordinaria nell’ambito della ricerca, legato sia alla scoperta del meccanismo della fagocitosi e dei relativi processi immunitari, sia agli studi sulla longevità delle popolazioni caucasiche. Merito della lunga vita di queste genti, secondo lo scienziato, ormai titolare acclamato di un laboratorio presso l’Istitut Pasteur di Parigi, sarebbe l’assunzione regolare di acido lattico e di fermenti lattici. Di yogurt, insomma.
Studiando i processi di invecchiamento, Metchnikoff era giunto a sostenere che la causa principale delle atrofie senili fosse l’avvelenamento cronico delle cellule da parte delle tossine prodotte dai microbi nell’intestino, arginate però dall’azione del latte acido. Osservando questa sostanza al microscopio, il biologo aveva scoperto che l’acidità che impediva la putrefazione della preziosa flora intestinale si concentrava in un batterio benefico, quel Lactobacillus bulgaricus che ancora oggi, con lo Streptococcus thermophilus, è alla base della produzione dello yogurt.

Certamente bene informato sulle scoperte del Premio Nobel, il dottor Carasso pensa bene di impiantare una propria produzione di yogurt con colture di batteri bulgari provenienti dall’Istitut Pasteur. L’idea iniziale pare sia quella di produrre più un farmaco che un alimento, tanto che ai tempi lo yogurt è venduto in farmacia dietro raccomandazione medica. Di lì a poco, però, arriverà alla produzione anche alimentare, portando a livello industriale quello che fino a quel momento è stato solo un prodotto casalingo o tutt’al più artigianale. Nello scegliere il nome per la sua nuova avventura, Isaac sceglie il nomignolo del figlio Daniel, Danon, ma le autorità glielo impediscono perché si tratta di un nome proprio. Problema da nulla, visto che al neo imprenditore basterà aggiungere una “e” finale creando così un marchio rimasto pressoché immutato fino a oggi.
Per arrivare al successo planetario dell’azienda, che ai tempi produce solo yogurt rigorosamente bianco in vasetti di vetro, questa dovrà passare nelle mani del giovane Daniel. Con i suoi bravi studi in economia all’École Supérieure de Commerce di Marsiglia e in microbiologia all’Istitut Pasteur di Parigi, l’ormai lanciatissimo rampollo porterà i prodotti del padre in Francia, rilevando l’azienda famigliare nel 1929 e introducendo diverse novità. Tra le più importanti, la trasformazione definitiva di un medicinale, o comunque un integratore alimentare, in un alimento vero e proprio, proposto in una versione meno fermentata ma con più appeal per il mercato occidentale. Sarà con questo tipo di prodotto che nel 1942, fuggendo negli Stati Uniti dalle leggi razziali, ripartirà quasi da zero a New York. Qui, acquisirà un caseificio nel Bronx in società con un vecchio amico di famiglia, Joseph Metzger, ebreo di origini svizzere conosciuto in Spagna, cambiando leggermente il nome del suo marchio in Dannon.
Tralasciando le dinamiche societarie e le scelte commerciali che porteranno Carasso junior a investire in prodotti diversi e a volte un po’ distanti dal principio medico-salutistico originario, quel che conta qui ricordare è la diffusione del marchio e insieme l’affermazione dello yogurt come prodotto gustoso e benefico in 150 Paesi, compresa quella stessa Turchia che millenni prima gli aveva forse dato i natali e senz’altro il nome.
Con l’America ormai conquistata da un alimento che fino agli Sessanta era conosciuto praticamente solo dagli immigrati turchi e greci e il resto dell’Occidente ormai colonizzato, è curioso leggere che fino agli anni Settanta lo yogurt fosse ancora pressoché sconosciuto in Israele. Questo, almeno, è quanto sostiene Gil Marks nell’Encyclopedia of Jewish Food, riconoscendo però come nei trent’anni successivi questo prodotto, altrove così storicamente legato alla tradizione ebraica, si sarebbe definitivamente affermato. All’inizio del nuovo Millennio il morbido latticino avrebbe ormai superato nelle abitudini degli israeliani il tradizionale leben, costituito anch’esso da latte fermentato, ma meno liscio e più acido dello yogurt e, soprattutto, privo di colture vive.

Altrove, la tradizione ebraica non si era quasi mai fatta mancare questo benefico ingrediente. Gli esempi si estendono geograficamente dai Balcani all’India e vanno dalla Bulgaria, dove si prepara una zuppa fredda, il tarator, a base di yogurt mescolato con acqua, sale, olio d’oliva, aceto, cetrioli e noci tritate, di probabile ascendenza ottomana, allo Yemen, dove il digiuno di Yom Kippur viene interrotto da una zuppa calda a base di yogurt chiamata zom.
Orgogliosamente di ascendenza sefardita è l’uso dello yogurt da parte dei Nash Didan, la piccola comunità ebraica che vive ai confini di Iran, Turchia e Kazakistan e che impiega il cremoso ingrediente come fosse una salsa per arricchire i piatti tradizionali o per preparare bevande. Diffuso storicamente un po’ ovunque, lo stesso alimento compare poi in preparazioni come il borani persiano così come in accompagnamento di insalate e legumi, con il riso o come dessert, unito all’hummus, nonché come base del labneh, quel formaggio denso e pastoso onnipresente sulle tavole ebraiche mediorientali.

Borani
Spinaci allo yogurt alla persiana

Ingredienti
800 g di spinaci freschi (o 500 g surgelati)
2 cipolle grandi
4 spicchi d’aglio
500 g di yogurt bianco
un mazzetto di menta o di aneto
60 ml di olio extravergine d’oliva
sale
pepe in grani

Sbucciare le cipolle e gli spicchi d’aglio, poi tritare entrambi finemente, tenendoli separati. Pulire, lavare e tritare gli spinaci, se sono freschi (o lasciarli scongelare, strizzarli e tritarli). Scaldare l’olio in una casseruola e farvi rosolare le cipolle a fiamma bassa per 20 minuti, mescolando, poi unire l’aglio e cuocere per 1 minuto ancora.
Aggiungere gli spinaci e cuocerli dai 5 agli 10 minuti, mescolando, fino a quando saranno appassiti, poi lasciarli raffreddare.
Mescolare in una ciotola lo yogurt con una grossa presa di sale e una macinata di pepe, poi unirvi gli spinaci freddi, mescolare e riporre in frigo il composto, che dovrà essere piuttosto denso. Lasciare riposare da 1 ora a 1 giorno e servire a piacere come antipasto, contorno o salsa.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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