Chi desidera farsi un’idea di passato e presente degli ebrei sloveni può guardare a due città. Una è la capitale, Lubiana, l’altra si trova a nordest ed è Maribor
Non sono mai stati in tanti, gli ebrei in Slovenia. Ma i numeri di oggi sono probabilmente tra i più bassi mai toccati nella loro pur lunga storia. Si parla di appena un centinaio di persone che a Lubiana fanno riferimento a tre luoghi di preghiera. In compenso, le prime tracce della loro presenza risalgono all’antichità, così com’è innegabile la loro importanza nel costituire l’immagine economica e culturale del Paese.
Oggi chi desidera farsi un’idea di passato e presente degli ebrei sloveni può guardare a due città. Una è appunto la capitale, l’altra si trova a nordest ed è Maribor, o Marburgo. È qui che nel Medio Evo era stata fondata una sinagoga ancora oggi visitabile, unica dell’epoca nel Paese e tra le più antiche dell’intera Europa centrale. Non più sede religiosa, l’ex tempio è oggi sede di un interessante centro culturale, particolarmente attivo nel mantenere viva la memoria degli ebrei sloveni e dare loro un presente fatto di numerosi eventi culturali. Prova di lodevole tenacia è il programma di iniziative previste tra il 23 settembre e il 7 novembre, in concomitanza con le Giornate Europee del Patrimonio. Sarà l’occasione non solo per visitare mostre e assistere a conferenze e concerti, ma anche per ripercorrere secoli di vicende intricate e spesso drammatiche.
Cercando le prime tracce di antichi insediamenti si dovrà allargare il campo a quelli che i documenti locali indicano come “area etnica slovena” e spingersi più a ovest, verso territori di confine come Grado e Aquileia. È qui che nella tarda antichità si erano insediati i primi gruppi ebraici della regione, peraltro anche piuttosto consistenti, ma per avere notizie più circoscritte al territorio sloveno si deve arrivare al IX e X secolo. Grazie a traffici a più lunga gittata, dai primi villaggi ebraici nell’area alpina orientale dalla fine del XII secolo si sarebbe passati a insediamenti in città mercantili più grandi, prima in Carinzia e poi in Stiria. Pare che ai tempi fossero circa una decina i centri abitati dagli ebrei, tra cui appunto Lubiana e Maribor.
Sede di un Centro Culturale Ebraico, della Comunità Ebraica della Slovenia e dell’Associazione Ebraica della Slovenia (con una sinagoga inaugurata nel 2021), la capitale non ha molto da mostrare del suo passato ebraico. Resta solo il nome di due strade, Zidovska ulica e Zidovska steza, rispettivamente la via e il passaggio degli ebrei, poste nel centro storico lungo il fiume Ljubljanica, nei pressi del Ponte dei Calzolai. È al numero 4 di Zidovska steza che sorgeva l’antica sinagoga, mentre diverse abitazioni ebraiche si sarebbero trovate intorno all’attuale deliziosa piazza Jurcicev. Tra le vie dove oggi è così bello passeggiare o sedersi a bere una birra si concentrava la vivace comunità medievale: artigiani, commercianti e prestatori che secondo gli storici non superarono mai le trecento unità. Sarebbero stati espulsi nel 1515 dall’imperatore Massimiliano I, in risposta alle pressioni dei cittadini e alle purtroppo già note assurde accuse di avvelenamento di pozzi e omicidi rituali. Nel 1672, sotto Leopoldo II, l’intera Krain, o Carniola (la regione storica di cui Lubiana era la capitale), sarebbe stata loro preclusa. I commercianti ebrei avrebbero potuto ricominciare a frequentarne le fiere sotto Giuseppe II, tornando però a viverci stabilmente solo nell’Ottocento, dopo l’emancipazione del 1867. Nel 1910 i 116 ebrei che vivevano a Lubiana non erano organizzati in una comunità e fino al 1918 erano stati aggregati a quella austriaca di Graz, passando sotto quella di Zagabria con l’annessione della Slovenia alla Jugoslavia. Nel 1941, quando i tedeschi consegnarono la città agli italiani, vi rimase a vivere solo una grande famiglia ebraica.
L’attuale comunità è stata rifondata dopo la guerra. Nel 1969 contava appena 84 membri e nei decenni successivi non ha mai superato il centinaio di persone. Nonostante questo e anzi proprio perché la storia degli ebrei sloveni non vada perduto con lo sfrangiarsi della popolazione, nel 2013 è stato fondato il Centro Culturale Ebraico di Lubiana. Ospitato in un palazzo del centro storico, al numero 3 di via Križevniška, il JCC si definisce “l’epicentro di eventi critici e festival che promuovono la tolleranza, l’inclusione, la storia e l’istruzione dalla Slovenia occidentale all’Italia nordorientale”. La storia di questo luogo, che dal 2016 ospita anche una delle sinagoghe cittadine, è uno splendido esempio di collaborazione e incontro tra persone e idee. La sua fondazione si deve al suo direttore, Robert Waltl, attore, regista e impresario teatrale che dal 1999 stava ristrutturando un edificio abbondonato nel cuore della città per trasformarlo in teatro. Strada facendo, e riscoprendo la sua stessa storia ebraica, aveva scelto di destinare un piano del palazzo alla vita religiosa e culturale della comunità.
Aperto dal 2013 a tutti gli ebrei e i turisti sloveni, il Jewish Cultural Center punta oggi a supportare sia la storia, sia la religione, sia la cultura ebraica. Da qui l’istituzione di un museo che ripercorre le vicende degli ebrei sloveni dagli esordi alla Shoah, la creazione di una sinagoga con salone delle feste e infine di uno spazio dedicato a laboratori, spettacoli e mostre. Pare che Waltl vi sia stato spinto dalla consapevolezza che i bambini sloveni sapessero poco o niente sulla storia degli ebrei. Olocausto compreso. Oggi grazie all’impegno del JCC è stata posta una targa commemorativa sul luogo dove fino al 1515 sorgeva la sinagoga medievale così come sono state installate 68 pietre di inciampo per altrettante vittime della Shoah. Promotore del Festival della Tolleranza, il Centro ha coinvolto sopravvissuti, artisti e studiosi per far conoscere a un pubblico il più vasto possibile la storia degli ebrei, rivolgendosi in particolar modo alle generazioni più giovani.
Lasciando la capitale e spostandosi a nord-est si raggiunge l’altro centro simbolo dell’ebraismo sloveno. Bagnata dalla Drava, secondo fiume più lungo d’Europa che dall’Italia sbocca nel Danubio passando da Austria, Slovenia, Croazia e Ungheria, Maribor deve la sua antica fortuna commerciale (nonché il nome italiano storico, Marburgo sulla Drava) proprio al suo corso d’acqua. Navigabile, la Drava aveva fatto della città un importante punto di snodo per traffici e scambi, ponte tra il mondo germanico e quello balcanico. Tra quanti gestivano i commerci si contavano diversi ebrei, abbastanza numerosi in città da giustificare la costruzione di una sinagoga a metà del Duecento. L’epoca d’oro degli ebrei di Maribor avrebbe comunque toccato l’apice all’inizio del Quattrocento, quando il loro numero raggiunse le trecento unità. Un documento del 1477 attesta inoltre che accanto alla sinagoga sorgeva anche una scuola ebraica. Purtroppo subito dopo era iniziato il declino. A fine secolo, a causa di una grave crisi economica che esigeva un capro espiatorio, gli ebrei subirono gli attacchi dei cristiani. Come già visto per Lubiana, anche qui i regnanti accolsero le richieste del popolo e tra il 1496 e il 1497 Massimiliano I espulse tutti gli ebrei dalla Stiria e dalla Carinzia. La diffusione del cognome ebraico Morpurgo in Italia come in tante altre parti del mondo, da Israele agli Stati Uniti, sarebbe dovuto proprio all’esodo seguito al decreto imperiale. Costretti ad abbandonare la città per trasferirsi in Austria come in Moravia, in Polonia come in Italia, da Trieste a Gorizia, da Padova a Venezia, gli ebrei di Maribor assunsero il nome medievale del loro luogo di origine, appunto Morpurgo o Marpurgo.
Come per Lubiana, anche il ritorno a Maribor tra il XIX e il XX secolo avrebbe riguardato solo poche persone, appena un centinaio ridotto ulteriormente alla vigilia della guerra dalle misure antisemite del Regno di Jugoslavia. Non organizzati in comunità, gli ebrei di Maribor non avevano da tempo neppure più una sinagoga. Quella che sorgeva nel cuore del loro antico quartiere era stata trasformata in chiesa già nel 1501, all’indomani della grande espulsione. Prima di allora, aveva costituito il centro non solo religioso ma anche spirituale e culturale della comunità locale. Semplice e non troppo grande se paragonata agli edifici cristiani della stessa epoca, era comunque la costruzione più bella e imponente della zona, oggi indicata come quartiere culturale Židovska (ebraico) e considerata “il balcone più bello della città”. Dalla struttura squadrata prevalentemente in pietra e un soffitto inizialmente piano e ligneo, aveva la particolarità di riservare all’interno tre o quattro posti per gli ospiti cristiani. Sede occasionale a fine Quattrocento del Rabbinato Supremo di Stiria, Carinzia e Carniola, dopo la trasformazione in chiesa di Ognissanti era stata chiusa nel 1785 su ordine di Giuseppe II. Utilizzata come deposito militare, a partire dal 1811 era poi stata sede di mercanti e commercianti. Dopo un lungo restauro iniziato alla fine del secolo scorso, nell’aprile 2001 l’antico tempio ha riaperto le sue porte al pubblico come nuovo spazio culturale urbano e nel 2011 ha iniziato a funzionare come istituzione pubblica indipendente sotto il nome di Centro del patrimonio culturale ebraico Sinagoga di Maribor.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.