Cultura
Belgrado ebraica

Oggi la comunità ebraica di Belgrado si impegna sia sul fronte religioso sia su quello sociale e artistico. Tra le sue numerose attività, può vantare sezioni che promuovono la cultura e la tradizione attraverso il folklore, la letteratura, la recitazione e le arti

L’unica sinagoga ancora attiva di Belgrado si trova in una tranquilla via, non troppo lontano dal Sava, affluente del Danubio che scorre poco lontano. Alla confluenza tra i due fiumi sorge anche la cittadella fortificata, tra i luoghi più belli della capitale serba, circondata da parchi e giardini con punti panoramici e luoghi di ritrovo e di svago. La si raggiunge percorrendo la Knez Mihailova, una lunga via pedonale fiancheggiata da edifici delle epoche e gli stili più diversi. Sono lo specchio di una città che ha subito duramente i colpi della storia, passata attraverso la dominazione ottomana e asburgica prima di ottenere l’indipendenza e vivere poi gli effetti devastanti dei conflitti che ne hanno cambiato l’assetto e messo alla prova l’identità.

Gli ebrei sono presenti nella Città Bianca ufficialmente dal XVI secolo, ma testimonianze anteriori ne riportano le gesta risalenti probabilmente all’epoca romana e medioevale. Quel che è certo è che la comunità ebraica di Belgrado e quelle della Serbia in genere non sono passate indenni a nessuno degli stravolgimenti che hanno coinvolto le terre della ex Jugoslavia. Partendo dal presente per andare a ritroso nel tempo, siamo di fronte a una comunità i cui numeri sono, come spesso accade, inversamente proporzionali al suo orgoglio.

I dati ufficiali più recenti risalgono a una decina di anni fa e parlano di appena 787 persone che nell’ultimo censimento del 2011 si dichiaravano ebree. Tra queste, solo 578 indicavano l’ebraismo come propria religione. Considerando che Belgrado accoglie circa la metà dell’intera popolazione ebraica serba, i conti sono presto fatti, ma la cosa non deve portare a facili deduzioni.

La comunità di Belgrado è viva e vegeta. Come la sinagoga, anche il suo quartiere generale si trova a pochi passi dalla fortezza, in un palazzo affacciato su una bella via lastricata della città vecchia, al numero 71a di Kralja Petra. L’edificio che ospita gli uffici risale al 1928 ed era stato progettato inizialmente per la comunità sefardita, già ai tempi ben più popolosa di quella ashkenazita. Oggi la comunità ebraica di Belgrado raccoglie l’eredità di entrambe le congregazioni, ponendosi, come si legge nel suo sito, quale “il legittimo successore delle comunità sefardite e ashkenazite che esistevano prima della seconda guerra mondiale con tutte le società e le organizzazioni che avevano lavorato all’interno di quelle comunità che non avevano ripreso il loro lavoro dopo la guerra”. A questo riguardo è doveroso ricordare che alla vigilia della seconda guerra mondiale vi erano in Serbia circa 12mila ebrei, gran parte dei quali residenti a Belgrado e perlopiù di origine sefardita. Questi erano i discendenti degli esuli spagnoli e portoghesi che all’inizio del Cinquecento si erano affiancati agli ebrei italiani e ungheresi giunti in Serbia tra il XIII e il XIV secolo. Affermatisi nel commercio tra le diverse province dell’Impero ottomano, i nuovi arrivati si sarebbero distinti nella vendita del sale, intessendo importanti rapporti tra il nord e il sud del regno.

Nel 1663 a Belgrado vivevano 800 ebrei e la loro influenza era tale che tra il 1642 e il 1688 la yeshiva locale era conosciuta in tutta Europa grazie alla reputazione di rabbini come Meir Andel, Yehuda Lerma e Simha ha-Kohen. Le sorti della comunità avrebbero cominciato a peggiorare con il declino dei turchi alla fine del XVII secolo. Nel 1688, mentre gli austriaci si avvicinavano alla città, le truppe turche saccheggiarono e incendiarono il quartiere ebraico. E una volta che gli austriaci ebbero conquistato la città, i soldati attaccarono sia la popolazione turca sia quella ebraica. Stritolati tra turchi e austriaci, gli ebrei subirono così le accuse, le ritorsioni e gli attacchi di entrambe le parti. L’indipendenza della Serbia non avrebbe facilitato di molto le cose, tanto che nel 1807 gli ebrei furono cacciati da Belgrado. L’ascesa al potere di Miloš Obrenović nel 1815 migliorò le loro condizioni di vita, ma la situazione tornò a peggiorare con Aleksandar Karađorđević, che introdusse una serie di nuove restrizioni economiche e di residenza.

Solo con il Trattato di Berlino del 1878 gli ebrei della Serbia ottennero pieni diritti dal Parlamento con il risultato, tra gli altri, che i più ricchi della comunità iniziarono a integrarsi nella società serba. Questa nuova generazione parlava serbo, i suoi figli frequentavano scuole statali e università e potevano finalmente studiare e lavorare come medici e dipendenti pubblici, tutte professioni che fino quel momento erano state loro precluse. A testimonianza del segno lasciato dagli ebrei nella storia, nella cultura, nella scienza, nella politica e nella vita sociale di Belgrado, oggi una ventina di vie cittadine sono intitolate a scrittori, artisti e accademici ebrei.

Jewish Memorial

La realtà odierna è quella di una comunità che ha dovuto ripartire quasi da zero dopo la seconda guerra mondiale. Dei circa 12mila ebrei che vivevano a Belgrado quando i tedeschi invasero la città nell’aprile del 1941, solo 1.115 erano sopravvissuti, con il 95% della popolazione ebraica serba uccisa durante il conflitto. Nonostante gli enormi sforzi per ricostituire la comunità, compresa la fusione tra le comunità sefardita e ashkenazita, gran parte dei 2.271 ebrei che vivevano a Belgrado nel 1947 emigrarono poco dopo in Israele o in America. Ma i numeri, come si è già detto, non dicono tutto.

Oggi la comunità ebraica di Belgrado si impegna sia sul fronte religioso sia su quello sociale e artistico. Tra le sue numerose attività, può vantare sezioni che promuovono la cultura e la tradizione attraverso il folklore, la letteratura, la recitazione e le arti in genere. Tra le varie iniziative si ricordano quelle del teatro amatoriale King David, fondato oltre 30 anni fa, ma soprattutto quelle della società di canto serbo-ebraica Braća Baruch, attiva dal 1879 e tra i più antichi cori ebraici della regione. C’è poi il gruppo di ballo Nahar Haesh, che promuove danze e folklore israeliani, e se per i più piccoli è attivo il Children’s Day Center, per i più anziani sono attivi i programmi di socializzazione di Zlatno Srce.

Il museo ebraico

Accanto alle attività ricreative ci sono poi quelle di studio. Al primo piano del centro comunitario di Kralja Petra ha sede così anche il Museo Storico Ebraico. Inaugurato nel 1948, il museo racconta la storia degli ebrei in tutta l’ex Jugoslavia con un’esposizione permanente istituita nel 1969 che occupa circa 200 metri quadri con immagini, documenti, opere d’arte e una notevole collezione di giudaica, tra cui una Megilat Esther portoghese del XVII secolo. Oltre alle collezioni e alle mostre temporanee, l’ente ospita anche un importante archivio, con un database di registrazioni di nascita, matrimonio e morte degli ebrei di Belgrado dalla metà del XIX secolo fino al 1941. Da segnalare anche un’attività editoriale ben sviluppata che fornisce assistenza professionale quotidiana e informazioni a ricercatori, studenti e artisti.

Non troppo lontano dal centro comunitario, a una decina di minuti a piedi nel centro storico, all’interno di un cortile in Marsala Birjuzova 19 si trova come anticipato l’unica sinagoga funzionante di Belgrado, la Sukkat Shalom. Dalla facciata neoclassica caratterizzata da un imponente scalone e con un’elegante sala di preghiera più simile a un salone delle feste che a un luogo sacro, fu profanata dai nazisti che ne utilizzarono gli uffici come bordello e riconsacrata il 2 dicembre del 1944. Nota un tempo come Tempio Kosmajska dal precedente nome della strada in cui si trova, fu inaugurata nel 1926 dalla comunità ashkenazita, anche se oggi la maggior parte dei suoi fedeli sono sefarditi.

I discendenti degli esuli spagnoli avevano ai tempi una loro sinagoga in via Cara Dušana, nel quartiere di Dorćol, antico centro della vita ebraica sefardita ai piedi della cittadella digradante verso il Danubio. Era stata costruita in stile neomoresco tra il 1905 e il 1908 per servire le necessità della principale comunità cittadina, che all’epoca costituiva l’80% della popolazione ebraica, ma sarebbe stata devastata dai bombardamenti nel 1941 e quindi distrutta dopo la guerra.

Oggi dell’antica sinagoga non resta che una targa, ma non troppo lontano, al 16 di via Jevrejska (ossia “ebraica”), si può in compenso ammirare lo splendido palazzo che da pochi mesi ospita il Centro Culturale Ebraico Oneg Shabbat. Eretto nel 1923 in stile eclettico su progetto dell’architetto Samuel Sumbul, fino al 1941 era stato la sede della Società ebraica sefardita, luogo di ritrovo degli ebrei di Dorćol. Ospitava una casa per anziani e i locali di un circolo giovanile, nonché una sala per lo svolgimento di riti religiosi. Adibito in seguito a funzioni totalmente diverse, tra cui quello di cinema, l’edificio è rientrato in possesso della Comunità ebraica di Belgrado grazie alla legge del 2016 che regola la restituzione dei beni confiscati delle vittime dell’Olocausto che non hanno eredi legali viventi. Ristrutturato tra il 2020 e il 2021, l’edificio si sviluppa su due piani, con una parte centrale degli spazi interni adibita a salone delle cerimonie, un palcoscenico e un auditorium. Sopra la sala cerimoniale si trova una galleria con uffici amministrativi.

Sempre in quello che era l’antico quartiere ebraico di Dorćol, sulle sponde del fiume, si trova anche il memoriale dell’Olocausto Burning Menora. Inaugurato nel 1990, il monumento è opera dallo scultore Nandor Glid, un sopravvissuto alla Shoah nato in Jugoslavia e noto per avere progettato tra gli altri anche la scultura commemorativa nel campo di Dachau. Una seconda opera dedicata alle vittime dei nazisti si trova all’interno del cimitero ebraico, al numero 1 di Mije Kovacevica. Il monumento, una menorah collocata davanti a due grandi tavole di pietra, era stato eretto nel 1952 dal governo jugoslavo con il sostegno della comunità ebraica. Il cimitero ospita anche un imponente monumento dedicato ai soldati ebrei uccisi nelle guerre balcaniche del 1912-1913 e nella prima guerra mondiale.

Sull’altra sponda del Sava, nella parte della città detta Nuova Belgrado, ci sono infine i resti del campo di concentramento di Sajmište, dove furono assassinati circa 8.000 ebrei, per lo più donne e bambini. La torre di guardia del campo e una parte della caserma sono ancora in piedi. A metà degli anni Novanta, sulla riva del fiume, è stato eretto un grande memoriale in ricordo dei 40.000 ebrei, serbi e rom che qui trovarono la morte.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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