Cultura
1849-1871: ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione

In mostra a Roma un percorso composto da circa settanta opere prese in prestito dai più importanti musei italiani del Risorgimento e da collezioni private, con lo scopo di raccontare il coinvolgimento degli ebrei italiani nel processo unitario nazionale.

Nella tradizione ebraica la parola chiave per fissare gli eventi è Zakhor, “ricorda”, che ha un significato molto diverso dalla parola storia, che deriva dal greco o dal latino historia o istoria e significa “ricerca, indagine, cognizione”. È interessante riprendere le parole di Yosef Hayim Yerushalmi, il quale afferma: «Il verbo zakhar, nelle sue varie forme, ricorre nella Bibbia non meno di centosessantanove volte […] Il verbo trova il suo completamento in quello di segno opposto: dimenticare. Al popolo di Israele, come viene ingiunto di ricordare, viene anche imposto di non dimenticare».

Il ricordare in senso ebraico, si avvicina così ad una concezione particolare dell’idea di tempo, di redenzione e di libertà. «La storia degli ebrei ingloba, ma allo stesso tempo va oltre la storia della religione ebraica […] dal momento che la religione è solo un aspetto della cultura ebraica, che». È di grande interesse la mostra curata da Francesco Leone e Giorgia Calò, 1849-1871 Ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione recupera una memoria particolare della storia ebraica che si intreccia con quella italiana. Qui i curatori presentano al pubblicoun denso percorso composto da circa settanta opere, tra dipinti, sculture, documenti inediti, opere prese in prestito dai più importanti musei italiani del Risorgimento e da prestigiose collezioni private, con lo scopo di far conoscere e raccontare l’impegno e il coinvolgimento degli ebrei italiani nel processo unitario nazionale.

Come nasce l’idea di questa mostra?

L’idea della mostra nasce nel 2019, con l’intento di celebrare i 150 anni della Breccia di Porta Pia, che può essere definito l’episodio del Risorgimento che ha sancito l’annessione di Roma al Regno d’Italia, evento che celebra sia la presa di Roma che la liberazione degli ebrei dal ghetto. Infatti la mostra si sarebbe dovuta realizzare nel 2020, proprio per sottolineare come il coinvolgimento degli ebrei fosse evidente già a partire dalla presenza del capitano Giacomo Segre, di origini ebraiche, che quel giorno ordina di aprire il fuoco contro Porta Pia. La mostra è stata poi rinviata al 2021, anno che è coinciso con l’anniversario di Roma Capitale, e anche qui ritroviamo la presenza di un ebreo, Samuele Alatri, che ha fatto parte della delegazione che offrì a Vittorio Emanuele II il risultato del plebiscito. Quindi la mostra nasce con l’intenzione di raccontare degli avvenimenti storici che coinvolgono sia la storia ebraica che quella italiana, come appunto vediamo durante il Risorgimento, dove gli ebrei sapevano che solo attraverso l’Unità d’Italia si sarebbero potuti emancipare e soprattutto avrebbero potuto godere finalmente di una certa libertà di culto. Gli ebrei italiani parteciparono quindi con molto coinvolgimento ai moti rivoluzionari sia come soldati che come statisti, tra cui ritroviamo Isacco Artom, e il loro coinvolgimento avviene infatti di pari passo alla loro emancipazione, fatto che possiamo vedere soprattutto nelle altre parti della penisola. Infatti nella mostra sono presenti anche artisti toscani, che aderiscono alla corrente artistica dei macchiaioli, dimostrando un’emancipazione anche culturale ed artistica e non solo militare.

L’esposizione si trova nel Museo Ebraico di Roma, visitabile fino al 27 maggio 2022, è stata organizzata dalla Comunità Ebraica di Roma e della Fondazione per il Museo Ebraico, con la collaborazione del Dipartimento Beni e Attività Culturali e della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Il percorso espositivo ripercorre le tappe che vanno dall’eroica Repubblica Romana del 1849 alla proclamazione di Roma capitale nel 1871, un periodo storico in cui è possibile rintracciare l’identificazione tra lo spirito risorgimentale degli ebrei italiani e la millenaria storia ebraica: qui una comune idea di riscatto e orgoglio identitario portò contemporaneamente alla costruzione dell’Italia unita e all’uscita degli ebrei dai ghetti.

Da un punto di vista esclusivamente espositivo e narrativo in che modo sono stati evidenziati questi avvenimenti?

Il percorso della mostra è diviso in tre sezioni: la prima di carattere storico, dove sono presenti importantissime opere d’arte moderna, attraverso cui vediamo alcuni importanti vicende risorgimentali a partire dal 1849, cioè dall’eroica Repubblica Romana, che però durerà solo pochi mesi. Con il ritorno di Pio IX e l’occupazione francese si assiste ad una regressione che riconduce allo status quo. La seconda sezione è dedicata alla comunità romana e ai suoi rapporti con l’esterno, in particolare qui troviamo esposto il libricino di Massimo D’Azeglio Sull’emancipazione degli israeliti, pubblicato nel 1948, per la cui stesura si fece aiutare da Samuele Alatri. Nella terza e ultima sezione troviamo esposte le opere realizzate dagli artisti ebrei soldato, tra cui D’Ancona, De Tivoli, Pontremoli, Issel.

Vediamo quindi percorrendo gli spazi espositivi come durante il Risorgimento, gli ebrei compresero e appoggiarono con tutti i loro mezzi e le loro capacità il desiderio d’indipendenza degli italiani e, al contempo, i patrioti sostennero, con scritti e petizioni, le richieste di emancipazione degli ebrei. È ben evidenziato come per la prima volta nella storia, l’emancipazione ebraica viene considerata un atto dovuto che faceva parte del programma delle rivendicazioni italiane e, come tale, era auspicata e richiesta da autorevoli menti liberali come Cattaneo, Gioberti, Tommaseo, Balbo e i D’Azeglio. Mai come durante il Risorgimento e le lotte per l’Indipendenza, gli ebrei si sentirono parte attiva, vitale, carne e sangue della Penisola. Da Torino a Trieste, da Modena a Livorno, ovunque ci fosse una Comunità Ebraica, i giovani abbracciavano con entusiasmo mai provato le istanze liberali e, per la prima volta, potevano identificarsi con una nazione da individui paritari, ma senza dover rinunciare ai propri valori identitari.

Si può ritenere che vi fosse un’autentica assonanza culturale e ideale tra ebrei e patrioti che chiedevano la libertà religiosa per tutti gli a-cattolici?

Certamente, ci sono grandi patrioti come Mazzini e D’azeglio che si battono anche per questo, indipendentemente dall’ideologia, ma che si basano proprio sulla tradizione ebraica.

Il percorso espositivo sembra essere organizzato per integrare il visitatore in una fetta della storia italiana solo raramente associata alla presenza degli ebrei nel territorio italiano; le opere, inserite in perfetta armonia con il resto del museo della Sinagoga ebraica di Roma, ripercorrono le storie di artisti ebrei e italiani, di soldati e protagonisti risorgimentali. Il contributo degli ebrei al Risorgimento si riesce a ricostruire anche attraverso l’esposizione di alcuni dipinti di pittori-soldato ebrei e grazie al racconto delle loro storie personali. La presenza degli ebrei nei fatti del Risorgimento ha coinciso con la fase più feconda della loro emancipazione, ossia il riconoscimento dei pieni diritti civili e della libertà di culto alla minoranza israelitica, dimostrando come la partecipazione ai moti risorgimentali e il desiderio di affiancamento ai soldati italiani siano state le due facce di una stessa medaglia. Così le grandi figure patriottiche del Risorgimento intrecciarono le loro vicende personali e politiche con il mondo ebraico, trovando anche il sostegno di coloro che combatterono in prima linea in nome della futura patria.

Quali tra gli artisti proposti riesce ad esprimere meglio l’integrazione tra ebrei e italiani, e quali artisti sono più rappresentativi di quelli che definisci “artisti ebrei assimilati”?

Sicuramente Vito D’Ancona, Serafino De Tivoli, Raffaele Pontremoli, Alberto Issel rappresentano profondamente l’emancipazione degli ebrei. In particolare D’ancona e De Tivoli sono fondamentali per la loro attività artistica anche perché sono anche tra i pionieri dello stile macchiaiolo. Partecipano alle ai moti risorgimentali, portando avanti l’idea di un’Unità d’Italia fino a alla salita al trono di Vittorio Emanuele II. Inoltre rappresentano anche la figura dell’artista ebreo assimilato, cioè un ebreo emancipato all’interno del mondo moderno. E in tal senso, l’ebraicità si rivela proprio nella causa risorgimentale, dove viene seguita la filosofia di Mazzini, poiché il tema della libertà da sempre ricercata dall’antico popolo d’Israele si era allineato con quello del popolo italiano, oppresso da tiranni stranieri, intrecciando forse per la prima volta nel corso della storia moderna i valori ebraici ai valori italiani.

Insieme ad alcune opere dei pittori-soldato ebrei sono esposti alcuni capolavori dell’arte italiana dell’Ottocento (Caffi, Induno, Fattori) che richiamano le battaglie e le sanguinose vicende che condussero alla presa di Roma e alla sua proclamazione come Capitale d’Italia. Una sezione è dedicata alla documentazione delle vicende di alcuni volontari e soldati ebrei che hanno partecipato attivamente all’Unità d’Italia, e in particolare alla breccia di Porta Pia: da Giacomo Segre ad alcune particolari figure come Isacco Artom, segretario personale di Cavour nel periodo decisivo dell’unificazione.

Infine, è interessante sottolineare come durante la Seconda guerra mondiale, la situazione che si crea in Italia dopo l’8 settembre 1943 rappresenti proprio un canale di continuità con l’esperienza delle brigate internazionali della guerra di Spagna e, più indietro nel tempo, con il Risorgimento. Anche in questo caso, gli ebrei sono presenti e danno un apporto al movimento partigiano italiano: oltre un migliaio sono i volontari ebrei nelle brigate Garibaldi e nelle formazioni di Giustizia e libertà; fra loro il commissario politico Emanuele Artom, i partigiani poi catturati e deportati: Luciana Nissim, Vanda Maestro e Primo Levi, i dirigenti Leo Valiani e Umberto Terracini. Per gli ebrei la partecipazione alla Resistenza non è solo una risposta alla persecuzione di cui sono vittime, ma anche un’affermazione della propria identità di italiani, in continuità con lo spirito che sin dal Risorgimento ha visto nel volontarismo tra i garibaldini un canale di emancipazione e integrazione nel tessuto nazionale.

N.B: gli interventi di Giorgia Calò sono trascritti in corsivo.

 

 

Eirene Campagna
collaboratrice

Classe 1991, è PhD Candidate dello IULM di Milano in Visual and Media Studies, cultrice della materia in Sistema e Cultura dei Musei. Studiosa della Shoah e delle sue forme di rappresentazione, in particolare legate alla museologia, è socia dell’Associazione Italiana Studi Giudaici.


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