Cultura
“Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”, nuova mostra al MEIS

Dialogo con Simonetta Della Seta intorno all’esposizione ferrarese

Non sono solo i confini fisici a distinguere l’interno dall’esterno. Così, sarebbe riduttivo pensare a Oltre il ghetto, nuova mostra del Meis che ha come sottotitolo proprio Dentro&Fuori, come a una semplice contrapposizione tra la segregazione dentro le mura del ghetto e la libertà dopo l’abbattimento delle sue porte. Certo, c’è anche questo, ma la narrazione va ben oltre, scegliendo questo concetto come una chiave per parlare della stessa identità ebraica, aprendone l’esperienza anche a realtà che ebraiche non sono.
Terza tappa di un percorso cronologico iniziato nel 2017 con Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni e proseguita nel 2019 con Il Rinascimento parla ebraico, la mostra che si inaugura a Ferrara venerdì 29 ottobre è anche l’ultimo tassello di un progetto che va a comporre l’esposizione permanente del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. L’esposizione focalizzerà l’attenzione sull’esperienza ebraica italiana dall’epoca dell’istituzione del primo ghetto a Venezia nel 1516 allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, passando quindi anche attraverso l’emancipazione ottocentesca e la partecipazione degli ebrei ai moti risorgimentali prima e al conflitto mondiale poi. Come spiega Simonetta Della Seta, direttrice fino al giugno 2020 del museo e ora curatrice di Oltre il ghetto con Andreina Contessa, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel, questa non è solo la terza tappa e la conclusione di un percorso cronologico, ma «si ricongiunge anche al percorso multimediale dedicato alle leggi razziali, mostra che era stata inizialmente concepita per il Quirinale e che è stata poi allestita al Meis».

Nel raccontarci come la nuova esposizione abbia visto la luce, Della Seta ne mette in chiaro il principio fondante: «L’intero racconto che va dai ghetti alla piena emancipazione è stato sviluppato intorno all’idea del dentro e fuori. Si tratta di un concetto identitario della storia ebraica. Non c’è ebreo che non si sia mai sentito sia dentro la cultura ebraica sia parte del “fuori”, appartenente al paese, alla società in cui vive». E questa dicotomia, questo sentirsi contemporaneamente dentro e fuori è un’idea che si presta magnificamente al tipo di polo culturale che il Meis vuole essere, ossia, come ricorda la sua stessa ex direttrice: «Un museo che parla degli ebrei ai non ebrei». «Si tratta di una chiave di lettura molto attuale – prosegue Della Seta – che può essere compresa e condivisa anche da chi ebreo non è. Più ancora che in altre epoche storiche, con la globalizzazione e l’immigrazione oggi siamo tutti immersi in una cultura multi identitaria, con tante persone che si sentono appartenenti a una identità pur essendo inserite in un contesto diverso». Mantenendo il fuoco sulla storia ebraica italiana, l’installazione allarga lo sguardo oltre la dialettica del fuori e dentro il ghetto, spingendosi anche «fuori e dentro l’emancipazione, dentro la cultura italiana e fuori come ebrei, riproponendo una condizione che si ripete spesso nella storia».

Attraverso circa cento pezzi tra opere d’arte, manufatti e oggetti religiosi o di uso domestico, la mostra intende dunque offrire al visitatore un quadro complesso e sfaccettato. Senza mai perdere di vista l’abominio di una segregazione durata quasi tre secoli, quanto esposto testimonia anche la resilienza e la forza degli ebrei nel far fronte alla durezza delle condizioni di vita, trovando soluzioni possibili con i mezzi, materiali e non solo, di cui ancora potevano disporre. Come scrive il nuovo direttore del Meis, Amedeo Spagnoletto, nel corposo catalogo che accompagna la mostra, il ghetto finisce così col rappresentare “un filtro culturale e fisico che ha plasmato la vita ebraica a 360 gradi, agendo in profondità, dalla sfera sociale a quella familiare, modellando il lessico, rendendo più resistenti che altrove aspetti della vita religiosa, ma anche soffocando l’energia che in condizioni di libertà sarebbe fiorita più vigorosa in tante discipline”.
Al visitatore tale dialettica viene spiegata non tanto con le parole scritte quanto con l’immersione in una esperienza che, letteralmente, porta dentro la storia e la cultura ebraica. Allestita dallo Studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni, lo stesso che aveva curato le due precedenti cronologiche «in un’ottica di continuità funzionale anche alla trasformazione della temporanea in parte della permanente», la mostra, spiega ancora la curatrice, «si articola come un percorso di narrazione, dove a parlare sono gli oggetti e le opere d’arte affiancati da installazioni audiovisive, musiche e fotografie. Cuore dell’esposizione è la sala allestita come il ventre di una balena, chiaro richiamo al Libro di Giona, ma se vogliamo anche a Pinocchio… Ecco, questo ambiente chiuso e in un certo senso protettivo rappresenta il luogo in cui l’ebreo si chiude quando fuori le acque sono tempestose, trovandovi rifugio in attesa di tempi migliori».
Oltre al percorso esperienziale, che avvolge il visitatore conducendolo per mano alla scoperta di un mondo fatto di chiaroscuri, spiccano testimonianze materiali di quella resilienza di cui si diceva. Si troveranno allora oggetti che parlano della vita ebraica quotidiana, da quella religiosa all’impegno civile. La parte legata al rito è magnificamente rappresentata dalla porta dell’Aron Ha-Qodesh, l’Armadio sacro dorato in legno intagliato proveniente da una delle sinagoghe del ghetto di Torino che fu donato nel 1884 dalla Università Israelitica locale al Museo Civico di Torino. Tra le testimonianze di impegno personale, spicca invece, tra gli altri, il baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo.
Non mancano poi notevoli opere d’arte, con prestiti importanti come i dipinti provenienti dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze, Interno di Sinagoga di Alessandro Magnasco (1703) e, mantenendo la dialettica tra fede “dentro” e vita “fuori”, la Battaglia del Volturno di Giovanni Fattori, del 1899, testimonianza di come gli ebrei presero parte ai moti del Risorgimento in quanto si sentivano (anche) profondamente italiani. Da segnalare infine due dipinti che costituiscono, ognuno a suo modo, un’eccezionalità. «Ester al cospetto di Assuero di Sebastiano Ricci è la prima volta che viene esposto fuori dalle Gallerie del Palazzo del Quirinale – ricorda con giusto orgoglio Simonetta Della Seta – e ci è stato prestato in esclusiva. Così come Il rapimento di Edgardo Mortara di Moritz Daniel Oppenheim». Ispirato al tragico caso del bambino ebreo bolognese di sei anni che nel 1858, quindi in pieno Risorgimento, fu rapito alla famiglia dalla polizia dello Stato Pontificio e poi cresciuto come cattolico a Roma, il dipinto datato 1862 mostra una delle tante zone d’ombra che l’emancipazione non aveva rischiarato. «Si tratta di un’altra esclusiva: battuto all’asta nel 2013 a New York, è un quadro che non era mai stato esposto al pubblico. Nessuno l’ha mai visto prima se non in foto».

Oltre il ghetto. Dentro&Fuori, dal 29 ottobre al 15 maggio 2022
MEIS, via Piangipane 81, Ferrara

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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