Cultura
Commissione UE ed antisemitismo: le critiche delle comunità ebraiche

Quello che viene rimproverato a Bruxelles è non avere preso una posizione netta riguardo all’ingerenza dei governi dei singoli Stati sulle pratiche rituali, inficiando sostanzialmente la libertà di culto

Non è una cosa seria. In sintesi, sarebbe questo il giudizio espresso da alcuni leader delle comunità ebraiche europee riguardo al piano strategico della Commissione Europea per combattere l’antisemitismo e promuovere la vita ebraica. Questo, nonostante nel documento presentato lo scorso 5 ottobre a Bruxelles si tocchino punti nodali quali l’adozione della definizione di antisemitismo dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto e vi si programmino campagne di sensibilizzazione in collaborazione con le comunità ebraiche per aumentare la conoscenza e la comprensione della vita ebraica.

Come riporta JTA, i rappresentanti delle comunità riunitisi a Bruxelles il 12 ottobre hanno dedicato una conferenza al piano presentato sette giorni prima. Ne è emersa la sostanziale mancanza di riferimenti nel testo alle libertà religiose e, in particolare, ai divieti messi in atto recentemente in diversi paesi della UE riguardo alla macellazione rituale e ai tentativi di proibire la circoncisione non medica dei bambini. Secondo il rabbino Menachem Margolin, presidente dell’Associazione ebraica europea con sede a Bruxelles, i membri della Commissione Europea «hanno preso la strada facile e non sono riusciti a fare la cosa giusta». Quello che viene rimproverato a Bruxelles è di non avere preso una posizione netta riguardo all’ingerenza dei governi dei singoli Stati sulle pratiche rituali, inficiando sostanzialmente la libertà di culto. Secondo i leader ebraici, nell’imporre lo stordimento degli animali prima della macellazione si vieterebbe di fatto la produzione di carne kasher (nonché halal). Questo è quanto già avviene nei due stati belgi che dal 2019 hanno messo fuori legge l’uccisione degli animali senza prima stordirli, privandoli quindi di quella consapevolezza nel momento della morte richiesta invece dai precetti ebraici.

Il 17 dicembre del 2020 la Corte della Comunità Europea aveva legittimato tali divieti, suggerendo a ebrei e musulmani di trovare un modo per consentire agli animali di essere storditi usando l’elettricità. E mentre l’ambasciatore israeliano in Belgio Emmanuel Nachson definiva la sentenza «catastrofica e un duro colpo alla vita ebraica in Europa» e Yohan Benizri, presidente del gruppo ebraico belga CCOJB, dichiarava che l’Europa «non protegge più le minoranze religiose», i sostenitori della norma la vedevano come il primo passo per limitare la macellazione rituale in tutto il continente. Tra questi, Ben Weyts, il ministro incaricato del benessere degli animali nella regione fiamminga del Belgio, dichiarava che «come fiamminghi possiamo essere molto orgogliosi di questa sentenza, che è storica ​​e apre la porta a un divieto in tutta Europa». Dal canto suo, la Corte negava che il divieto violasse la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea stabilendo che ne fosse invece rispettata l’essenza «poiché è limitato a un aspetto dello specifico atto rituale di macellazione, e tale atto di macellazione non è, al contrario, proibito».

Già intervenuto all’epoca, quando aveva dichiarato che «l’ebraismo non cambierà i requisiti halakhici secondo le richieste della Corte di giustizia dell’UE», il rabbino Menachem Margolin è tornato sulla questione la settimana scorsa a Bruxelles ricordando che «la Commissione europea non è riuscita ad affrontare questo problema per evitare conflitti con i paesi in cui esistono divieti e tentativi di divieto».

Al riguardo va ricordato che attualmente la macellazione rituale è illegale in Danimarca, Svezia, Finlandia, Estonia e Slovenia, mentre il Senato olandese nel 2012 ha annullato un divieto approvato l’anno precedente, citando la libertà di culto, e la Polonia ha bandito la pratica nel 2013, pur ridimensionando il divieto per includere solo la carne destinata all’esportazione.

Nel piano della Commissione si affronta il tema della shechita solo marginalmente, quando si citano le pratiche culturali, tradizionali e religiose con cui gli ebrei esprimono la propria ebraicità. Pur ricordando in nota che per il 69% degli ebrei la proibizione della macellazione tradizionale sarebbe un problema, il testo si limita a confermare la sentenza della Corte di giustizia dell’UE sulla macellazione rituale del dicembre 2020 affermando che gli Stati membri “possono adottare norme diverse in base al contesto interno, pur garantendo il rispetto dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, trovando un giusto equilibrio tra il rispetto della libertà di manifestare la propria religione e la protezione del benessere degli animali”.

Tra le voci critiche al testo della Commissione c’è anche Joel Mergui, presidente del Consistoire, importante organizzazione franco-ebraica responsabile dei servizi religiosi. Durante la discussione sul piano, Mergui ha dichiarato: «Se dici di volere la continuità ebraica, la prima cosa che devi fare è assicurarci di poter continuare a praticare la macellazione rituale e la milah», estendendo così il discorso anche alla circoncisione, pratica fortemente criticata ad esempio in Danimarca e in diversi altri paesi europei, dove sono in corso da anni campagne per vietarla. Secondo Finn Rudaizky, ex leader della comunità ebraica della Danimarca intervistato nel 2018 da JTA, anche questa campagna contro la circoncisione nasconderebbe in realtà un fondo di antisemitismo e di xenofobia più che un sincero interesse per il benessere dei bambini. Tornando alle ultime proteste, tra i partecipanti alla discussione della scorsa settimana spicca anche il nome del rabbino capo olandese Binyomin Jacobs secondo il quale le carenze citate del piano della Commissione europea lo renderebbero «non serio e vuoto, una raccolta di belle dichiarazioni in teoria senza alcuna possibilità di follow-up».

 

 

 

 

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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