Cultura
Analisi dello Shabbàt dal punto di vista filosofico, etico, normativo e culturale

In un volume curato da Dario Coen, le conversazioni tra il rabbino Riccardo Shemuel Di Segni e il professor David Meghnagi

“E il settimo giorno Dio si riposò”, Genesi 2:2. Com’è noto, è il verso che stabilisce l’istituzione dello Shabbat e la sua santificazione, uno dei più noti e citati delle Scritture. Di recente la scrittrice Enrica Tesio e la musicista Andrea Mirò ne hanno elaborato una parafrasi ironica nel titolo dello spettacolo “E il settimo giorno lui si riposò, io no”, sulla fatica delle donne multitasking del nostro tempo, un tema che la Tesio affronta anche nel romanzo autobiografico di discreto successo Tutta la stanchezza del mondo (Bompiani 2022). Nonostante la diffusione ormai trasversale di questa immagine, il “riposo” di Dio, confesso che questa traduzione del testo biblico non mi è mai parsa troppo soddisfacente. Da un punto di vista etimologico, infatti, la parola Shabbàt – così come la radice š-b-t dalla quale essa è tratta – non indica il riposo in senso stretto, quanto piuttosto la cessazione del lavoro, l’astensione dalle proprie attività. Che poi quest’azione si traduca facilmente in riposo è piuttosto comprensibile, ma l’etimologia rimane comunque differente. Ne leggiamo una testimonianza concreta nell’ebraico moderno, dove troviamo, ad esempio, il sostantivo švitah, il cui primo significato è l’astensione volontaria dal lavoro per ragioni di protesta, ossia il più comune “sciopero”. Al contrario il concetto proprio di “riposo” è assegnato a un’altra radice, n-h-w, da cui deriva il termine di uso quotidiano menuhah.

Al comandamento dello Shabbat inteso nel suo significato più profondo è dedicato il bel volume Shabbàt Shalòm. Il rinnovamento dell’umanità, in cui il giornalista Dario Coen raccoglie le conversazioni tra il rabbino Riccardo Shemuel Di Segni e il professor David Meghnagi, pubblicato poco tempo fa da Gangemi Editore. Questo breve volume è un viaggio intenso ed emozionante attraverso ogni aspetto dello Shabbàt, interpretato sia in ambito più strettamente normativo, sia etico, filosofico e culturale. Nulla è trascurato, nulla è lasciato privo di spiegazione: dalla minuziosa preparazione che precede l’ingresso dello Shabbàt, alle norme poste a regolamentare le azioni dell’uomo durante la giornata, fino alla sua conclusione, non meno importante poiché già ci proietta verso il sabato successivo. Non si pensi però che si tratti di un testo meramente erudito, incapace di coinvolgere il lettore. La levatura dei protagonisti del dialogo di certo anticipa lo spessore della trattazione, la quale tuttavia tocca spesso momenti di notevole bellezza. Ad esempio nel dettagliato excursus di David Meghnagi sullo Shabbàt nelle parole dei filosofi ebrei del XX secolo, tra i quali compare anche il poeta nazionale Haim Nahman Bialik, o nelle pagine finali sull’Havdalah, dove apprendiamo il significato del riso in conclusione dello Shabbàt, in uso presso le comunità ebraiche del mondo arabo: “Allo stesso modo in cui lo Shabbàt è stato accolto con gioia, lo si accompagna alla sua uscita”, scrive sempre Meghnagi. A corredare le parole di rav Di Segni e David Meghnagi le notevoli illustrazioni di Micol Nacamulli, le quali conferiscono ulteriore vivacità alla pubblicazione, e soprattutto una serie di box cui sono affidati ulteriori approfondimenti testuali, lessicali e halakhici. Così nello stesso libro ritroviamo le traduzioni di Lekhà Dodì e Nishmàt kol hài accanto a un ricordo di George Moustaki, la ricetta della Challà poco distante da citazioni da Il sabato di Avraham Joshua Heschel. Di queste ultime desidero ricordarne una più di altre: “Il Sabato è fatto per celebrare il tempo, non lo spazio. Per sei giorni alla settimana noi viviamo sotto la tirannia delle cose dello spazio; il Sabato ci mette in sintonia con la santità nel tempo: in questo giorno siamo chiamati a partecipare a ciò che è eterno nel tempo, a volgerci dai risultati della creazione al mistero della creazione; dal mondo della creazione alla creazione del mondo”. In questo risiede la soave bellezza dell’astensione, della cessazione delle attività.

Nell’introduzione al volume il curatore Dario Coen si chiede a chi sia destinato davvero questo libro. Di sicuro esso può rappresentare un utile strumento di conferma per gli ebrei italiani, tuttavia mi permetto di auspicare che il volume raggiunga in particolare i non ebrei, al fine di colmare in maniera valida e rigorosa la curiosità che spesso ho incontrato nei miei anni di insegnamento, un sentimento talvolta viziato sia dal pregiudizio – sottile, talvolta impercettibile anche ai suoi portatori – sia da un’autentica ignoranza. Testi come Shabbàt Shalòm. Il rinnovamento dell’umanità sono qui per dirci che in questa Italia, nel 2022, non esistono più scuse.

Shabbàt Shalòm. Il rinnovamento dell’umanità. Dialoghi tra Riccardo Shemuel Di Segni e David Meghnagi , a cura di Dario Coen con le illustrazioni di Micol Nacamulli, prefazione di Stefano Folli, Gangemi Editore

Sara Ferrari
Collaboratrice

Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).

 


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